Sismicità e grandi rischi

Tre km sopra l'ipocentro del terremoto doveva esserci un deposito di gas metano

Era previsto dentro la piattaforma carbonatica un deposito strategico completamente nuovo. Queste riserve vengono situate in giacimenti esauriti

di Ey de Net

Tre km sopra l'ipocentro del terremoto doveva esserci un deposito di gas metano

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

San Felice sul Panàro – Rivara: il 20 di maggio ha registrato una scossa di magnitudo locale 5.9 avvenuta nelle prime ore del mattino, tragicamente risvegliando popolazione e una fetta di scienziati su gli enormi rischi teorici che quelle persone hanno corso.

Il 29 maggio è arrivata una seconda, o nuova, scossa forte: magnitudo locale 5.8, epicentro tra Medolla, Mirandola e Cavezzo.

Il 3 giugno magnitudo 5.1, con epicentro ad ovest rispetto al baricentro della sequenza in atto. Dall’inizio della crisi, sono state sei le scosse con magnitudo uguale o superiore a 5, con apparente migrazione delle rotture verso ovest.

Si sono aperte due questioni: cosa sta succedendo, è la prima umana e logica domanda, che si lega alla seconda: la zona è sismica o no?

Cosa sta succedendo? Partiamo dalla sequenza, fatta di almeno due scosse principali. Una più faglie? Uno o più terremoti? Da tempo (anni 80-90) si teorizzava la possibilità che un terremoto con un rilascio energetico importante ne potesse innescare altri, su strutture sismogenetiche contigue. E, il contiguo era genericamente la placca contigua.

L’approfondimento delle conoscenze, coadiuvato pesantemente dalla tecnologia, cambiò scala e spostò l’attenzione nella stessa placca.

Il terremoto umbro marchigiano del settembre 1997 ne è stato un tipico esempio. Il 26 settembre, la scossa di magnitudo 5.8 fu considerata la scossa principale. Meno di dodici ore dopo la prima scossa, seguì un evento di magnitudo 6.1. Qui, pare, su una struttura sismogenetica contigua. Il che, secondo i sismologi, spiega la magnitudo più alta registrata con la seconda scossa.

Friuli. La prima scossa (maggio 1976) fu di magnitudo (ricalcolata) di 6.4. Nel settembre dello stesso anno, ci fu una sequenza impressionante con due scosse forti: 5.8 e qualche ora dopo, 6.1. In questo caso, pare che sia stata la stessa struttura, la cui rottura si propagò più ad est. Questo insegna due cose: una sequenza sismica è fatta di molte scosse, la cui classificazione (principale, assestamento) è una classificazione umana e arbitraria.

Una sequenza è fatta di molte rotture (scosse) la cui intensità dipende dal carico di stress sul volume di roccia e della sua potenzialità nello scarico, nell’imminenza del suo carico di rottura. Parametro ad oggi solo intuibile nella migliore delle ipotesi, ma non quantificabile. Soprattutto, purtroppo, non è prevedibile lo sviluppo di dettaglio, sia in senso temporale, sia in senso spaziale.

Dati a parte, preziosi comunque per chi avrà la bontà di leggerli, cosa stia succedendo è abbastanza chiaro. Il carico di stress accumulato dalle strutture geologiche sepolte sotto i sedimenti della Pianura Padana, ed appartenenti alla struttura carbonatica dell’Appennino emiliano, si sta sfogando e le strutture si stanno rompendo. Progressivamente rompendo. Come proseguirà? Due interpretazioni: la più immediata è che, una volta sfogato il carico di stress che sta portando instabilità, i parametri sismici registreranno un ritorno alla normalità, con sismicità medio bassa, con tempi medi di ritorno di 500 anni.

La meno immediata, che però avrebbe bisogno di maggiori indagini e protratte nel tempo, riguarda l’evoluzione geodinamica legata alla spinta della placca africana, che sta arrivando ad interessare anche settori appenninici ritenuti fino a qualche tempo fa, non interessabili dallo stress. Il nodo è l’evoluzione temporale dello scontro tra due placche, scontro del quale l’Appennino tosco emiliano è testimonianza di quanto successo fino ad oggi. Questa spinta può andare anche ad interessare strutture distali, che vengono progressivamente interessate dal campo di stress.  Ciò potrebbe portare ad una accelerazione dei tempi di ritorno.

Una ipotesi remota, molto remota, sulla quale la comunità dei geologi sicuramente rifletterà. Perché il geologo sa perfettamente che l’evoluzione del sistema terra è il motore della stessa, e che le situazioni sono ben lungi dall’essere statiche. E’ una questione molto importante, e strettamente legata anche alla prevenzione.  Parlare di prevenzione, attuandola, avrebbe benefici enormi. Magari riclassificando il territorio. L’aver avuto -sono dati preliminari per carità, vanno verificati con più cura - una accelerazione al suolo di quasi 0.4g lo impone (il terremoto di Fukushima ha fatto registrare una accelerazione al suolo di 0.56g). E lo impone anche la geologia della zona. Costruire un territorio anche per le generazioni future è rispettare il territorio, azione che porta, alla lunga, anche benefici economici. E, iniziare oggi, aiuta.

Sismicità storica. E’ così vero che, come dichiarato da più persone, la sorpresa è stata grande, dal momento che la zona era dichiarata non sismica? Sì e no. Si. L’ultimo grande terremoto della zona, risale a circa 500 anni or sono. No. La sismicità della zona era nota. Anche da alcuni settori della popolazione. Seguitemi ancora.

Un passo indietro in una situazione leggermente ingarbugliata.

A Rivara, frazione di San Felice sul Panàro, avrebbe dovuto sorgere un deposito sotterraneo di gas metano, dentro la piattaforma carbonatica (grosso modo tre chilometri sopra l’ipocentro dell’evento del 20 maggio). Deposito strategico per calmierare le emergenze di fornitura alla popolazione. Bene. Bene? No, affatto. Depositi del genere già esistono. Con una particolarità: sono tutti impiantati in giacimenti esauriti. Questo sarebbe del tutto nuovo.

La Erg Rivara Storage (ERS), ex Indipendent Gas Management, preparò la necessaria documentazione (http://www.ergrivarastorage.it/allegati/sottosuolo.pdf) per l’ottenimento dei permessi di legge per lo sfruttamento di questo potenziale deposito. Due estratti:

“Quanto sinora esposto suggerisce che l’anticlinale di Cavone-Mirandola-Rivara è una struttura attiva che potrà essere interessata in futuro da sismicità a prescindere dall’eventuale utilizzo come serbatoio di stoccaggio di gas.”

Qui si afferma che la struttura è attiva, e che la sismicità futura nulla avrà a che fare con le attività di movimentazione del metano.

“Nell’area di Mirandola, sulla base di anomalie riconosciute nel sistema di drenaggio, è stata ipotizzata la presenza di una sorgente sismogenetica ecc ecc.”

Quindi, già era conosciuta alla società la possibilità che questa struttura, poi effettivamente responsabile del primo terremoto, aveva potenzialità sismogenetiche. Tanto che si premurano di scrivere che qualsiasi terremoto non avrebbe potuto essere imputabile alla movimentazione del metano e collaterali. Iniziano polemiche contro questo progetto. La popolazione locale insorge, viene a conoscenza del problema della sismicità.

Qualche link interessante:

http://www.codacons.it/articoli/deposito_gas_rivara_inoltrata_a_roma_la_richiesta_dei_documenti_124445.html

qui

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00650257.pdf

e qui

http://www.ingv.it/ufficio-stampa/stampa-e-comunicazione/archivio-rassegna-stampa/rassegna-stampa-2008/luglio/nuova-scossa-e-la-quarta-pdl-diviso

La controrelazione, preparata da esperti del settore, tra i quali il  Prof. Francesco Mulargia e il  Prof. Marco Mucciarelli, conclude dando parere totalmente negativo. Ma qualche punto sembra degno di nota:

“In particolare risultano tuttora privi di adeguata dimostrazione i seguenti elementi:

1. resistenza ed impermeabilità della roccia di copertura che dovrebbe costituire la barriera di contenimento del gas; (punto molto critico, n.d.r.);

3. presenza e caratteristiche del sistema di faglie che interessano il complesso strutturale all’interno del quale si propone l’opera; (cioè: grado di fratturazione esistente e tipo di sismicità, n.d.r.);

5. approfondimento delle possibili amplificazioni del moto sismico in zona già dichiarata meritevole di ulteriori approfondimenti per possibili liquefazioni del terreno (fenomeno ampiamente osservato).

San Felice ha rischiato tanto. Troppo. Se non è automatico che un terremoto avrebbe potuto connettere l’ipotetico deposito con la superficie, con gli enormi rischi che voi tutti potete immaginare, nessuno avrebbe mai giurato l’opposto. Nessuno escluderà mai che un terremoto non possa mettere in connessione il presunto deposito e la superficie. In tal senso, esistono da tempo teorie, che addirittura collocherebbero la fratturazione anche superficiale nel periodo immediatamente precedente l’insorgenza della scossa principale.

Sulla dilatanza, osservata è vero solo in roccia, e riprodotta in laboratorio, si basano alcune teorie che tentano di descrivere alcuni precursori dei terremoti (cfr Donald Thomas, Geochemical precursors to seismic activity, 1988, Pure and Applied Geophysics). Perché aggiungere un fattore di rischio, potenzialmente devastante, in una zona che già era conosciuta essere non sicura? Il metano, come molti gas, ha un alto potere di migrazione, molto più alto dell’acqua.

Sia il ministero dell’ambiente, sia il ministero delle attività produttive, hanno messo (per ora) una pietra tombale su quel progetto.

E’ comunque interessante leggere quanto viene scritto il 29 di maggio (da http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/fedora-quattrocchi-opinioni/terremoto-pianura-scosse-valle-po-collasso-1248992/):

  “…perché mai dovremmo tanto temere “a priori” e con pregiudizio, prima ancora che gli studi siano completati e siano verificate le singole specificità locali. lo stoccaggio di metano o di CO2 nel sottosuolo in Val Padana, dove il gas naturale è stato contenuto per centinaia di migliaia di anni, durante i quali, di queste sequenze sismiche, se ne sono avute a centinaia?”

Eh. Perché mai? Io una risposta l’avrei, iniziando da: Rivara non ha mai avuto giacimenti di gas naturali. Eppoi…

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