Mercato del lavoro

Tutti i numeri della recessione

Perché stiamo diventando più poveri

di Laerte Failli

Tutti i numeri della recessione

Nel nuovo millennio la busta paga dei dipendenti rimarrà congelata.

Il posto fisso diventa sempre più un’utopia: tra Luglio e Settembre l’80% dei nuovi assunti sarà precario.

Proprio a causa dell'espansione del part-time, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%.

Le retribuzioni medie reali nette, dal 2000 al 2010, sono aumentate solo di 29 euro, (mentre il costo della vita viaggia a ben altra velocità!) passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Risultati su cui pesa, ovviamente, la crisi economica e gli interventi che hanno toccato in particolare gli statali. Su cui almeno, per il momento, sembra scampato il pericolo di un taglio delle tredicesime.

Le imprese sarebbero comunque orientate a riservare ai giovani fino ai 29 anni una quota del 32,7% delle assunzioni totali: questo accadrà soprattutto nel settore dei servizi; nell’industria invece, la quota dei giovani si contrarrà ancora (dal 29,8 % al 26,8%).

I grafici mostrano anche gli effetti negativi che la crisi ha avuto sulle retribuzioni; secondo le rilevazioni condotte con cadenza biennale emerge che nel 2006 le retribuzioni medie arrivavano a 1.489 euro, due anni dopo (con l'inizio della crisi) erano scese a 1.442 euro, e nel 2010 la situazione era ulteriormente peggiorata, arrivando a 1.439 euro. La riduzione in termini reali, in quattro anni, e' stata di 50 euro (-3,3%). 

Dai dati emerge inoltre che il gap tra centro-nord e sud-isole non arresta la sua corsa: l'incremento e' stato del 2,5% contro lo 0,7%. In termini reali al centro-nord si e' passati da 1.466 euro del 2000 a 1.503 euro del 2010, con un aumento di 64 euro; mentre nel mezzogiorno le retribuzioni passano da 1.267 euro a 1.276 euro, con una crescita di soli 9 euro. Rispetto alla media nazionale le retribuzioni si attestano a un +4% per i lavoratori del centro-nord e -10,1% per quelli di sud e isole, mentre 10 anni dopo di arriva a +4,4% e -11,3%.[1]

Chi è il vero soggetto analizzato e di cui si riportano tutte queste cifre?  Il Valore Aggiunto.

Questo è composto in gran parte dai redditi distribuiti alle persone fisiche o giuridiche che partecipano alla produzione: Il primo tipo di redditi sono i “Redditi da lavoro dipendente”; il secondo tipo è il “Risultato lordo di gestione”. Dovremo poi tenere conto anche delle “Imposte indirette” versate dalle imprese.

Ci conteremo soltanto sul primo tipo: I redditi da lavoro dipendente costituiscono le spese che le imprese effettuano per il fatto di avere lavoratori dipendenti, e nel linguaggio giornalistico sono anche chiamati “costo del lavoro”. Essi possono essere composti in due parti:

a) retribuzioni del lavoro dipendente : sono dette lorde perché sono valutate al lordo dell’imposta diretta, cioè delle imposte sui redditi dei dipendenti, e della parte dei contributi sociali a carico dei lavoratori.  

b) contributi sociali (a carico delle imprese) : sono la parte dei contributi sociali versata dalle imprese per il fatto di impiegare del lavoro dipendente.

I contributi sociali complessivi servono principalmente a garantire ai dipendenti le assicurazioni contro infortuni, malattie, ecc.., oltre che la pensione.

Esempio di come si compone in media il “costo del lavoro” a carico delle imprese in Italia negli anni recenti, poniamo a 100 il costo complessivo che un’impresa deve pagare per un lavoratore dipendente.  La voce “retribuzioni lorde” è pari a circa 70, mentre i contributi sociali a carico delle imprese sono pari a 30 (i contributi a carico delle imprese sono circa il 43% delle retribuzioni lorde). Le retribuzioni lorde, pari a 70, includono poi una parte di contribuiti a carico dei lavoratori, pari a 7 (circa il 10% delle retribuzioni lorde). Dunque rimane un valore pari a 63, che è il cosiddetto “reddito imponibile”: solo su questa parte viene calcolata l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). In media l’IRPEF si aggira intorno al 21-22 % del reddito di un dipendente, e dunque è pari a circa 13 (il 21 – 22 % di 63).

Ne segue che la paga netta di un dipendente è pari a 100 – 30 – 7 – 13 = 50: il netto percepito da un lavoratore è metà di quanto quel lavoratore “costa” all’impresa.

Abbiamo analizzato le fondamenta di questa costruzione del sistema retributivo; in difficoltà per la situazione attuale di crisi, ma non certo recentemente aiutato:

Cosa bisogna fare? Il direttore di “Tempo” Mario Sechi ha spiegato alcune settimane fa  un meccanismo che fotografa la situazione economica italiana europea e che ha avuto sull’Italia stessa un effetto domino nel “gioco” dell’economia: se siamo in recessione; non si deve tassare, non si può tassare, perché in una fase recessiva non puoi comprimere ulteriormente l’economia, perché significa levare liquidità al sistema; se levi liquidità al sistema diminuiscono i consumi, se non ci sono consumi cosa succede? Le imprese chiudono e se queste chiudono c’è disoccupazione.  Per questo, continua Sechi, stiamo per sfondare il muro del 10% di disoccupati; ecco perché il 36 % di giovani italiani è in cerca di lavoro, ecco perché la ricetta del governo tecnico non è così sufficiente,[2]come già si ebbe modo di dimostrare.

Non è poi da sottovalutare il fatto che l’aumento dell’ Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) dal 20 al 21%  va a soffocare quel sistema precedentemente illustrato:

le imprese quando caricano fattura, caricano un 21% sul valore della loro produzione a titolo di IVA, che dunque viene versata loro dai clienti. Nel contempo, quando le imprese pagano i loro fornitori di beni o servizi intermedi, esse pagano loro,  titolo di IVA, il 20 % del valore di quei beni o servizi.

Le imprese restano infine debitrici verso l’erario della differenza tra IVA incassata sulle vendite e IVA pagata sugli acquisti intermedi: questa è l’ IVA “non deducibile” per le imprese, e va versata alla stato.

I veri pagatori dell’IVA sono dunque quei soggetti che non hanno diritto di detrarre l’IVA pagata sui loro acquisti, perché in realtà, non emettendo alcuna fattura non incassano alcuna IVA. Si tratta delle famiglie.

Non è da considerarsi come un “trucco” ai danni delle famiglie in quanto fu pensata come imposta sul consumo; ma il suo aumento è un ulteriore peso su chi dovrebbe far circolare l’economia.

Siamo italiani. Le cose semplici non ci hanno mai esaltato ma non possiamo certo crogiolarci nella speranza di una ripresa basata sui passati e positivi corsi e ricorsi storici secondo i quali ce la siamo sempre cavata.

Nessun lavoro deve essere sottovalutato e rimettersi in gioco e riciclarsi in nuove professioni sono ingredienti più che fondamentali di sopravvivenza.



[1] Cifre contenute nelle tabelle della relazione annuale di Bankitalia del 22.07.2012 elaborate dall'Adnkronos.

[2] Laerte Failli, La fiducia dell'Europa vale la vita dei contribuenti, Totalità.

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