Palestina e Israele

I due Paesi visti da nord e da sud

I militari italiani stanno dando al Libano e a Israele ciò che serve loro per capirsi

di Steve Remington

I due Paesi visti da nord e da sud

Militari in Libano

Questione di punti di vista. Anzi di osservazione. Se dal Libano del Sud volgi lo sguardo oltre la Blu line, tracciata dell’Onu e controllata dall’Unifil, vedi la Palestina, non Israele. Secondo il pensiero corrente sul meridiano di Beirut Gerusalemme occupa la terra di altri. Se sei dall’altra parte della barriera metallica e stai calpestando la terra dei figli di Davide, scrutando l’orizzonte verso nord, prima vedi i caschi blu dell’Unifil, in particolare i soldati del contingente italiano, e poi il Libano. Una fastidiosa presenza, secondo il pensiero degli israeliani, che hanno provato più volte a invadere e sottomettere. Altrettanto fastidiosa e fuori luogo la presenza degli israeliani sul territorio palestinese, secondo i libanesi. Ecco, volendo fare un Bignami della storia di questo angolo di Medio Oriente, tanto importante quanto costantemente  accesso e surriscaldato, potremmo giocare su questo visto da destra e visto da sinistra per provare a rendere un idea di ciò che si percepisce stando nel mezzo, ovvero con i soldati italiani dell’Unifil. Ma sarebbe comunque una riduttiva interprestazione di una già ridotta lettura dei fatti. Perché fra i Israele e Libano non si tratta più di una questione di punti di vista, ma di metri. Centinaia o migliaia poco importa, il dato fondamentale è che nessuno riconosce all’altro il diritto di occupare ciò che sta occupando attorno alla blu line. Certo, questa è la storia complessa e, a tratti, incomprensibile di quest’area del mondo, capace di occupare interi capitoli dei libri di testo, ma che non trova mai una sua definizione stabile, accertata e accettata dalle parti in campo. E’ un po’ come se le parole venissero scritte sull’acqua. E proprio per evitare che tutto prosegua senza una sorta di limite, come se la storia fosse finita in una lavatrice senza un programma definito, i militari italiani al servizio dell’Unifil stando provando a fornire a libanesi e israeliani l’inchiostro  e la carta per fissare le parole che non riescono a dirsi. L’impegno non è affatto facile, considerato che la politica di casa nostra, avvitata su se stessa e avvinta come l’edera al proprio destino, al punto da non riuscire più ad alzare lo sguardo oltre la siepe, sembra aver perso la percezione di che cosa stia avvenendo qui. E un po’ come se i nostri militari fossero stati inseriti all’interno di  War game e l’Onu avesse in mano i gettoni. Quello che si gioca in Libano, a due passi da Israele, non è affatto un gioco, ma un esercizio sul filo del trapezista fra politica e azione militare. Della quale la nostra politica estera sembra aver perso la visione completa. Certo, Palazzo Chigi e  Palazzo Grazioli, in questo frangente, sono due fronti caldi, anzi caldissimi. Ma è impensabile che il destino di questi soldati, sempre più preoccupati da quanto avviene a Roma – ”e se cade il governo che succede? Che ne sarà delle missioni?”, si chiedono in tanti – possa restare fuori dal quadro generale. Forse il Libano dovrebbe essere meno lontano dagli occhi e poiù vicino al cuore. Anche a costo di offrire risposte intermedie, che è sempre meglio che nulla. Pur essendo anche questa una questione di punti di vista.

 

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