Editoriale

La marcia su Roma, novanta secoli fa

Riflessione semiseria ma super dolente su un anniversario

Marcello Veneziani

di Marcello Veneziani

on sono novant'anni ma novanta secoli oggi dalla Marcia su Roma. Allora c'era lo slancio vitale di una società giovane e audace, c'era una generazione temprata dal fronte e affamata di futuro e c'era l'orrore di una guerra che aveva “rottamato” milioni di ragazzi, tra vittime, feriti e sbandati.

Oggi c'è una società vecchia e sfiduciata, una democrazia di massa avvizzita nel benessere, nel malessere e nel malaffare, e poi c'è la lezione tragica del '900 che ci ricorda come sono andate a finire le rivoluzioni rosse e nere.

Oggi non ci sono condottieri ma conducenti, non ci sono capi ma code, con infiniti colpi di coda.

Non si marcia più su Roma ma si marcia da Roma verso altrove, dove risiede il vero potere. La sovranità è tecno-finanziaria, il potere militare si è trasferito alla magistratura, l'ideologia cede alla tecnologia, la devozione è passata dalla religione al reality, la storia al presente. Non si va in trincea ma on line.

Se oggi dici la marcia su Roma pensano alla Polverini. Marcia non evoca l'incedere ma il marciume.

Il paese si divide in putrefatti e putrefaziosi. Sono grotteschi gli assalti fascisti e i riti riparatori antifascisti: chi grida oggi “viva il duce” fa dello spiritismo, chi grida “a morte il fascismo” stupra un cadavere. Ambedue non fanno storia ma fiction.

L'unica cosa che oggi torna del passato è l'ora solare. Le lancette vanno rimesse indietro di un'ora, non di un secolo. L'autunno avanza e si porta via con l'ora legale la seconda repubblica, i suoi monarchi e i suoi aguzzini. Eja eja trallalà. 

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