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Cara Zia, voglio la giustizia della meritocrazia

Il mondo che mi circonda non mi vuole perché sono una sognatrice

di Giulia Bartolini

Cara Zia, voglio la giustizia della meritocrazia

Cara zia,

comincio a credere nei cicli storici, e a pensare che come cerchi concentrici più ci si allontana dal centro, più il cerchio si allarga: la forma sempre perfetta, ma sbiadita, opaca, offuscata dalla distanza. Al centro quella natura umana, così vera, così mortale, così dimenticata, sbiadita, opaca, offuscata dalla distanza. E in ciò vedo un baratro.

Non voglio mettermi a discorrere con te di quanto il continuo e contemporaneo bisogno di progresso sia causa di questo procedere verso l’invisibile, e non voglio neanche chiederti e chiedermi se si tratti di invisibile o inesistente, poiché c’è un enorme differenza e tale divario mi spaventa.

Voglio farti vedere il baratro che vedo. Il buio nascosto da tutta questa luce, e dirti che mi sembra luce di lampade al neon, rotte,vecchie, ma che fanno vedere ogni ruga.

Vedo poli culturali crollare, e io con essi. Io che ho scelto di frequentare lettere, io che ho scelto di sbagliare per l’opinione comune, io che mi sento dire che ho scelto di crollare, di sognare, di ipotizzare e volere un’utopia.

Decido ora tra queste righe di non fare la parte della sognatrice, ma che passerò come tale. Esposta in una vetrina di idealisti ormai invecchiati sotto il peso di idee non più comprate, non più capite, non più volute, io appassirò.

Vorrei spaccare questa vetrina e lasciare che i pezzi di vetro si conficchino profondamente nella mente di una società di cui faccio parte e alla quale do il mio contributo perché riesca a non dissanguarsi col rimpianto, purtroppo.

Voglio la giustizia della meritocrazia, ma la voglio perché desidero che l’intellettuale sia riposto su un piedistallo  perché sa; non voglio un’intellettuale modesto e un popolo presuntuoso, voglio teste pensanti e sapienti che salgano sul muretto che un tempo avevano costruito mattone su mattone, e che lo facciano perché è opera loro, perché hanno studiato, perché lo hanno fatto meglio di tutti gli altri.

Voglio un élite di filosofi del sapere che vendano le proprie idee non solo perché valgono, ma perché c’è chi è disposto a comprarle.

E tutto questo io non lo vedo. La democrazia è una conquista, ma il sapere non è mai stato democratico. I mezzi per raggiungerlo lo sono, ma le menti, i cervelli no.

Perché la crisi? Perché la politica sbagliata (forse è meglio dire i politicanti), perché il caos? io non lo so. Ma so con certezza che non c’è qualcuno che cerchi di rispondere alla domanda guardando la storia.

E non parlo della storia economica, non parlo di quella sociale, parlo di quella CULTURALE, radice di tutte le altre. Un’invettiva contro il capitalismo e il sistema denaroàmerceàdenaro?  Nulla di tutto questo, o poco di tutto questo. Ma vorrei poter comprare sapere, e non solo sapere per il sapere, come denaro per denaro, ma comprare sapere per governare, sapere per giudicare, per saper amministrare.

Mi dirai che oggi è facile comprare il sapere, che con il denaro si compra tutto. L’errore sta nel credere che il sapere si possa comprare col denaro. Finanziamo sì il sapere, diffondiamo, ritroviamo, lodiamo il mecenatismo, e affianchiamolo però ad un’altra lode, ad un’altra verità, quella che il sapere si compra con il sapere. Altrimenti esso rimane merce invenduta, espressione di un mondo scomparso in cui rappresentava il potere. Può chi sa. Non sa chi può (a meno che non possa perché sa).

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