​Diecimila anni al nostro direttore

Il fascino di Turandot colpisce ancora: un grande spettacolo incanta il pubblico fiorentino

Sin dalle battute iniziali, tutti i colori e i chiaroscuri dell’opera sono stati messi in risalto creando un vero e proprio crescendo non solo sonoro

di Domenico Del Nero

Il fascino di Turandot colpisce ancora: un grande spettacolo incanta il pubblico fiorentino

Diecimila anni al nostro direttore.  Parafrasi senz’altro libera ma per certi versi obbligata del “coro imperiale” della Turandot che ha visto soprattutto il trionfo di Zubin Mehta. Se infatti il fascino dell’ultima partitura pucciniana sta soprattutto nella sua ricchissima tavolozza orchestrale, aperta alle più ardite innovazioni novecentesche (Strauss e addirittura  Schönberg) ma senza rinnegare la secolare tradizione del melodramma italiano, la bacchetta di Mehta ha saputo veramente evocarne in modo travolgente tutta la straordinaria magia, dai foschi notturni iniziali  sino alle ultime battute totalmente pucciniane della morte di Liù; ma riuscendo addirittura nello straordinario miracolo di far avvertire molto meno del consueto lo stacco con il finale elaborato da Franco Alfano, dopo la scomparsa di Puccini.

“Turandot è stata la seconda opera pucciniana alla quale mi sono avvicinato e proprio con Turandot ho un legame molto forte” ha dichiarato Mehta e in effetti la sintonia tra direzione e masse orchestrali e corali è stata semplicemente perfetta. Merito anche dell’ottima acustica del Nuovo teatro dell’Opera (e meno male, con quello che è costato e che ancora costerà!), che ha avuto proprio con questo spettacolo la sua prova del fuoco per il melodramma, ma soprattutto di un direttore che è ormai l’anima stessa del Maggio Musicale fiorentino, capace di esaltare al massimo la professionalità e la bravura di tutti gli artisti, in una sintesi eccezionale e quasi unica di grande fuoriclasse e gioco di squadra. 

Sin dalle battute iniziali, tutti i colori e i chiaroscuri dell’opera  sono stati messi in risalto creando un vero e proprio crescendo non solo sonoro, ma anche di emozioni: i cori notturni della folla ora esaltata dalle esecuzione imminente ora commossa dalla giovane età del condannato, il “tema di Turandot”,  la scena marionettistica dei tre ministri realizzata con una  mescolanza di “scale cinesi ed europee, ritmi binari e ternari e aguzzando legnose armonie politonali” (Roman Vlad), per limitarsi al primo atto; e  in generale tutto il fascino dell’opera  emerso in modo ora commovente  nelle scene patetiche, come quelle legate alla dolce schiava Liù, ora brillante nelle scene ironiche e grottesche caratterizzate soprattutto dalle sonorità orientali,  ora travolgente come negli splendidi pezzi d’insieme, quali il grandioso finale del primo atto.

Oltre alla direzione, di grande levatura anche quasi tutti gli interpreti: Il tipo di tenore adatto per Calaf è senz’altro un tenore lirico  spinto: infatti, la zona  in cui si articola la maggior parte delle sue melodie è nel registro medio-acuto , con maggiore insistenza nell’acuto,  il che richiede un impegno notevole.  Sicuramente apprezzabile da questo punto di vista Jorge de Leon, che ha dato prova di una robusta vocalità e anche di una buona capacità drammatica, con qualche imperfezione (perdonabile) nel fraseggio: il celebre nessun dorma è stato accolto da una vera e propria ovazione. Decisamente più deludente, invece, la prova nello stesso ruolo  di Rubens Pellizzari (28 novembre). Molto apprezzati  anche gli interpreti femminili:   Turandot, ruolo alquanto difficile perché richiede un soprano lirico spinto  o drammatico, capace, soprattutto nel secondo atto, di imporsi alle gradi sonorità  orchestrali, era la bravissima soprano americano Jennifer Wilson (il 28 Elena Pankratova), che proprio con Turandot ha fatto il suo debutto nel 2002: bene anche la Liù di Ekaterina Scherbanechenko,  capace di rendere in modo adeguato la dolcezza anche “vocale” del personaggio. Tra i ruoli maschili da ricordare i “tre ministri” Ping Pong e Pang ( Fabio Previati, Iorio Zennato e Iorio Zennaro) la cui capacità mimica era perfetta per il  ruolo di “maschere” ora grottesche ora sentimentali , ma soprattutto “esotiche” .

E la scenografia, certo, poteva essere la parte debole dello spettacolo, soprattutto per chi conosceva la straordinaria messa in scena di Zhang Yimou: nato nel 1997, portato in tour trionfale a Pechino nella Città Proibita, questo allestimento era già stato riproposto nel 2006, sempre con un travolgente e meritatissimo trionfo. Sarebbe impossibile dire che non se ne sia avvertita la mancanza,  dovuta alle note traversie dei due teatri, ancora in riparazione quello vecchio e con palcoscenico non completato quello nuovo; ma bisogna anche riconoscere che il Maggio sa affrontare i momenti di crisi con grande determinazione e capacità e l’allestimento “semiscenico” è stato sicuramente quanto di meglio si poteva offrire in questa circostanza, evitando in pieno la staticità (con forte rischio di monotonia) della “ esecuzione in forma di concerto”.  Gli interpreti  indossavano comunque i brillanti e fantasiosi costumi di Wang Yin della “China” imperiale, mentre  per realizzare un minimo di movimento scenico è stata  in alcuni momenti abilmente sfruttata anche la platea; di notevole effetto anche la proiezione su uno schermo di alcune immagini “lunari” e di statue cinesi,  oltre ad alcune  scene della rappresentazione a Pechino nel 1998.

Uno spettacolo dunque da ricordare, che il pubblico ha giustamente premiato con un grandi applausi e acclamazioni.  Sicuramente consigliata la partecipazione alle repliche il 2,4, 5 dicembre; non è il caso di dire “Nessun dorma” perché anzi lo spettacolo emoziona e travolge a tal punto da rendere difficile prendere sonno anche dopo!   

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 10:53:48

    Xs235New@163.com

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