​Una Walkiria davvero …. spaziale

Firenze, Maggio Musicale: trionfo di Wagner e di Mehta

Decisamente positiva nel complesso anche la prova dei cantanti:tra Walkirie realizzate scenicamente in forma decisamente …

di Domenico Del Nero

Firenze, Maggio Musicale: trionfo di Wagner e di Mehta

Una Walkiria davvero …. spaziale. L’allestimento della Fura dels Baus, la pirotecnica compagnia Catalana che aveva già trionfato alcuni anni fa a Firenze proponendo una straordinaria interpretazione registica  della tetralogia wagneriana l’ Anello del Nibelungo,  non ha perduto assolutamente nulla del suo fascino. Merito certo anche di una straordinaria sintonia fra fossa d’orchestra (o meglio golfo mistico, per dirla in termini wagneriani) e palcoscenico, con il maestro Zubin Mehta che ha saputo ancora una volta far vivere tutti i toni e le sfumature di una partitura tanto difficile quanto affascinante. Non è facile reggere cinque ore di spettacolo, eppure la prima giornata della Tetralogia (prima dopo il prologo L’Oro del Reno) scorre più veloce della disperata corsa del “lupo” Sigmund che apre l’opera: l’eroe fugge nella tempesta e la pioggia e la corsa  sono incessanti,  come sottolineano ossessivamente i violini e le viole. E da subito, la tempesta che apre la Walkira rende perfettamente l’idea dell’altissima qualità dello spettacolo: sui pannelli montati sul palcoscenico corre l’immagine di un lupo dallo sguardo di ghiaccio che corre in una foresta cupa, mentre le battute dell’orchestra rendono la sua corsa un qualcosa di vivo e persino angoscioso. La natura, l’uomo, la volontà capricciosa degli dei anch’essi sottomessi a un cupo destino e su tutti l’aleggiare di una catastrofe, originata dal peccato d’avidità che ha portato il Nibelungo Alberich  a sottrarre l’oro al Reno e Wotan, il dio padre delle battaglie, a impossessarsene a sua volta senza restituirlo al legittimo proprietario.

E la natura, insieme alla ferocia umana e divina, è la grande protagonista della regia della Fura e di Carlus Pedrissa  in particolare(oggi ripresa da Alejandro Stadler). A prima vista essa può sconcertare e dare un’idea di una contaminazione tra una tragedia greca con una sorta di Guerre Stellari o di moderno film di fantascienza con abbondanza di effetti speciali. Certo alcuni particolari, come quelle specie di gru che fanno da cavalcature un po’ improbabili alle Walkirie e alle altre divinità, possono sembrare un po’ fuori luogo e irritanti, o persino stridere con la società arcaica che emerge soprattutto nel primo atto, con il  primitivo focolare domestico di Hunding e la povera Sieglinde legata come un animale: ma i grandi pannelli dove scorrono le immagini di paesaggi grandiosi o dettagli inquietanti (stupendo sempre nel primo atto il grande frassino che custodisce la spada magica) o quelle bellissime del sole, della terra nello spazio e degli astri lasciano nello spettatore una sensazione quasi di vertigine. Di grande impatto la scena della celeberrima cavalcata:  le otto walkirie vengono sollevate e abbassate rapidamente nell’aria mentre gridano il loro richiamo, giungendo a proiettarsi persino sulla fossa d’orchestra ( e meno male  che nessuna di loro è piombata addosso a un orchestrale o magari al maestro Mehta!); mentre il “cimitero degli eroi”  è reso con un globo di corpi nudi,feriti e sanguinanti, che oscilla sollevato come un pendolo.

Ma al di là di riserve anche legittime che furono sollevate già nel 2007, il grande pregio di questa regia, oltre che nella sua spettacolarità, sta nel sottolineare la grandiosa attualità, anzi l’eternità, del messaggio wagneriano: la disumanità e la ferocia di un mondo che smarrito la sua purezza originaria, preda dell’avidità, della smania di potere e della ferocia. E’ il dramma di Wotan costretto a chiudersi alla voce del cuore e ad immergersi sempre più nelle sanguinose trame che lui stesso ha contribuito a originare. E questa sorta di violenza primordiale che esplode nella partitura si realizza perfettamente sulla scena.

E parlando di partitura, l’interpretazione di Mehta è stata ancora una volta di qualità eccezionale, sia nei dettagli che nell’insieme. Nessuna “retorica” o eccesso, ma perfetta sottolineatura del gioco dei leitmotive e di un lirismo intimo (stupenda l’evocazione della passione amorosa alla fine del primo atto) che però non esclude certo slanci, impennate e accensioni tempestose.

Decisamente positiva nel complesso anche la prova dei cantanti:   tra Walkirie realizzate scenicamente in forma decisamente … giunonica, spicca la Brunhilde di Jennifer Wilson, già applaudita nell’edizione 2007; cantante di grande tecnica che le consente di affrontare più che degnamente un ruolo il cui spessore drammatico è certo di grande difficoltà; Elena Pankratova è stata una Sieglinde di grande intensità drammatica, capace di notevoli accensioni liriche soprattutto nei duetti con Sigmund, interpretato con voce nobile e squillante da Torsten Kerl.  Deludente invece,  soprattutto nel fraseggio, il Wotan di Juha Uusitalo, che nell’edizione del 2007 aveva riscosso notevoli consensi (insieme però a qualche riserva).

Grandi applausi (meritatissimi)  in particolare a Mehta e all’orchestra, che il direttore ha voluto al completo con sé sul proscenio.  Un pubblico nel complesso entusiasta, a parte qualche raro caso di qualcuno che se ne è andato brontolando per l’eccessiva lunghezza dell’opera. Certo,  le trombette e i pifferi verdiani sono tutt’altra cosa …. 

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