Ragioni del conflitto africano del Mali

Tuareg e fondamentalisti islamici

Il primo risultato di questo nuovo focolaio di guerra è la diminuzione del 17% delle importazioni di gas

di Tommaso Luigi Bedini

Tuareg e fondamentalisti islamici

È di pochi giorni fa la notizia dell'intervento militare francese nella complessa situazione di guerra civile in Mali. Paese dell'Africa Occidentale, fu per secoli protagonista della storia, non solo africana, ma di tutto il Mediterraneo, grazie all'immensa ricchezza del suo leggendario re Mansa Musa e ad una delle più importanti università islamiche del mondo antico.

Dall'epoca post coloniale (il Mali faceva parte del Sudan francese) soffre di divisioni interne sfociate in aperta guerra civile nel corso del 2012. La situazione nel nord del Paese, l'Azawad, risentiva di conflitti per l'indipendenza dei tuareg contro il governo centrale di Bamako già da anni, ma a partire dal 2012 la situazione si è fatta critica: i ribelli tuareg del “Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad” (Mnla), laici, si sono alleati con i fondamentalisti islamici guidati da Iyad ag Ghali, gli Ansar Dine collegati ad al- Qaida nel Maghreb, conquistando Timbuktu il primo aprile 2012.

Nel frattempo a Bamako, la capitale del Paese, si è instaurata una giunta militare che, con un colpo di Stato, ha deposto il presidente eletto Amadou Toumani Touré, dando inizio così ad una dittatura militare durata circa un anno.

Il 9 gennaio 2013, Dioncounda Traoré, nominato Presidente ad interim dalla giunta militare dall'aprile

2012, ha comunicato, in un discorso alla nazione, di aver chiesto un intervento aereo alla Francia in accordo con l'Ecowas (la comunità economica dei paesi dell'Africa occidentale) per eliminare i ribelli jihadisti installati nel nord del Paese.

Il 10 gennaio il Presidente francese François Hollande dà il via all' “Opération Serval”, un'operazione di aiuto militare e logistico a supporto delle forze governative del Mali che hanno portato alla riconquista di Bamako nell'arco di un solo giorno.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti, dopo un incontro col segretario della difesa statunitense Leon Panetta, il 16 gennaio 2013 ha dichiarato che l'Italia offrirà supporto logistico all'operazioni attraverso le sue basi NATO.

I contraccolpi dell’intervento militare francese si sono visti subito. L’attacco di al-Qaida all’impianto petrolifero di In Amenas in Algeria è stato la ritorsione contro l’ ”invasione” dei soldati transalpini in Mali.

Lo stato di guerra in quelle regioni africane comporta gravi problemi per il nostro approvvigionamento energetico e rischia di amplificare la crisi che l’Europa e in particolare l’Italia stanno patendo. 

Come informano i portavoce di Snam, «i flussi di gas provenienti dall'Algeria sono scesi a 32 milioni di metri cubi di gas rispetto ai 75,2 milioni importati di media in questo periodo». A Mazara del Vallo ,insomma, arriva il 17% in meno di gas rispetto al periodo che precedeva la crisi. Immaginiamo cosa potrebbe accadere se anche altri impianti strategici fossero oggetto di attacchi terroristici come quello di In Amenas. Senza contare che, come era prevedibile, l'intervento militare è destinato ad aggravare nell'immediato la situazione già esplosiva dei profughi e il dramma delle popolazioni civili.

Secondo le stime dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati sono circa 150mila i maliani che hanno lasciato il Paese nell'ultimo anno e 250 mila gli sfollati interni. La destabilizzazione dell’area nord-occidentale dell’Africa può dunque avere gravi ripercussioni sul piano internazionale e sul nostro Paese in particolare.

La questione adesso è se questa sarà una così detta “guerra lampo”, oppure se diventerà l'ennesimo pantano simil Afghanistan e Iraq. Di contro, la situazione ci impone di riflettere sulle ragioni dell'esasperazione di un'etnia, anzi, di una vera e propria nazione, quella dei tuareg, che ha portato la stessa ad allearsi coi fondamentalisti islamici che possono essere una pericolosissima e vicinissima entità.

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