Editoriale

Ha diritto al ricordo ogni volto martoriato di bambino vittima della follia genocida

Troppi olocausti nella storia ma un solo ricordo trascura tanti morti innocenti vittime della furia ideologica

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

ra le tante cose stupide e inutili che si possano fare, il primato va forse ai tentativi di giustificare o mitigare un orrore contrapponendone un altro. Così, i campi di stermino nazisti sono orribili … ma “ Stalin ha fatto peggio”, mettendoci magari di mezzo una macabra contabilità funeraria, quasi il crimine sia solo una questione di numero (che certo può costituire un’aggravante, ma non la sostanza) e non invece di logica criminale e spietata;  e ancora più feroce, quando non si rivolge contro singole persone, ma contro un gruppo, una etnia, una parte politica, “colpevoli” solo di essere tali e pertanto meritevoli di sterminio.

Detto questo però, esiste una cosa altrettanto stupida e criminale: la graduatoria degli orrori, per cui solo alcuni sono degni di essere ricordati. Non vi vuol certo con questo proporre di istituire una giornata della memoria per ogni genocidio, altrimenti purtroppo non basterebbe forse un calendario intero. Non sarebbe però male evitare la memoria a senso unico, quasi di orrori della storia ce ne fosse  soltanto uno.

Verrebbe paradossalmente da affermare: magari.  Se i campi di stermino nazisti (o se si preferisce, i gulag sovietici) fossero stati un caso unico di follia nella storia dell’umanità, potremmo allora sperare che la tendenza dell’uomo, in certi momenti della storia, a far fuori il suo prossimo non solo individualmente ma addirittura per species , sia stato solo il frutto di un momentaneo obnubilamento o di una malefica allucinazione di quel particolarissimo momento che fu il periodo tra le due guerre mondiali (e nel caso del comunismo, anche un pochino oltre, considerando quel che avvenne in Cambogia negli anni ’70 del 900, per non parlare d’altro). 

Invece non è così.  La “giornata della memoria”, allora, dovrebbe, senza nulla  togliere alle vittime della Shoah, anche forse allargarsi a tutte le vittime dei genocidi, almeno a quelli dell’età moderna (la sola, peraltro, a cui sia giusto riferire questo tristissimo concetto).

Perché il problema è che l’idea stessa del “genocidio” viene presentata spesso in una prospettiva che non è – come dovrebbe essere – storica, cercando di risalire alla radice e vedendo come abbia potuto infettare buona parte della storia dell’Otto e del Novecento, ma come frutto malefico di un’unica ideologia. E questo, oltre che essere una mancanza di rispetto verso i morti, non solo quelli ignorati, ma anche quelli ricordati in quanto si mette in pratica una sorta di strumentalizzazione, è proprio il sistema migliore per non far capire quali siano i reali meccanismi che portano a una cosa che dovrebbe essere contraria non solo ad ogni logica, ma anche al più elementare senso di umanità. Ed ecco tutti i nostri bravi studentelli di ogni ordine e grado fremere (giustamente) d’orrore di fronte alle immagini dei campi di concentramento nazisti, ma ignorare che purtroppo cose del genere sono avvenute anche prima,  in un  più recente passato e disgraziatamente ancora accadono oggi in alcune parti del globo, anche se non sempre necessariamente nella stessa forma e con la stessa diabolica sistematicità.

Si può, ad esempio, pensare che l’idea dello sterminio di un popolo o di una determinata categoria di persone sia tipica di un regime o di una ideologia totalitaria. Non è affatto così.  Il primo caso in età moderna (non certo particolarmente famoso o ricordato dai testi scolastici) è quello della Vandea, dove, come ricorda  lo studioso Reynald Secher  “Le analogie con la Shoah sono palesi, a parte una sfumatura: lo sterminio della Vandea è legale, cioè votato dal popolo sovrano; quello degli ebrei fu di tipo amministrativo” E per certi aspetti, le radici di quella strage (più di centomila morti su una popolazione di ottocentomila abitanti) stanno in alcune affermazioni di venerati e “santi” padri del moderno laico pensiero:

“Qualsiasi malfattore che infrange il diritto sociale... diventa... traditore della patria. Cessa di esserne membro violando le sue leggi e gli fa persino guerra. L’integrità dello Stato è incompatibile con la sua, occorre che uno dei due perisca... non è più membro dello Stato. Essendosi riconosciuto come tale... dovrà essere eliminato con l’esilio... o con la morte, come nemico pubblico; poiché un tale nemico non è una entità morale, e un uomo, e il diritto di guerra impone di uccidere il vinto” [1]

Non si tratta del “Mein Kampf”, ma del Contratto  Sociale di Rousseau.  E che la Rivoluzione Francese sia stata per molti aspetti la prova generale di tanti efferati crimini e metodologie di sterminio sperimentate con maggior successo nell’Ottocento e soprattutto per Novecento è un dato di fatto che chiunque lo voglia può tranquillamente constatare di persona, così come dovrebbe pur servire da spunto di riflessione il fatto che nel XIX secolo un genocidio in piena regola è stato compiuto dalla “madre di tutte le democrazie”, ovvero contro i cosiddetti “indiani d’America”. Solo questo piccolo dato: sembra che circa otto milioni di Pellerossa occupassero il Nord America prima dell’arrivo degli Europei. Oggi ne rimangono circa  cinquantamila ….

E fermiamoci qui. Ma  non si capisce perché il volto martoriato di un bambino pellerossa, armeno, kulako, cambogiano (e istriano) non debba destare lo stesso sgomento, la stessa compassione e la stessa riprovazione verso i suoi aguzzini di quello di un bambino ebreo.  Perché di infamie e di genocidi nella storia ce ne sono stati tanti, troppi; ma di Norimberga ce n’è stata una sola ….


[1] Il contratto sociale, libro IV, cap. 8

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