Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La copertina del libro "La barba di Aronne"
Chi ha detto che l’abito non fa il monaco? Leggendo le pagine de La barba di Aronne. I capelli lunghi e la barba nella vita religiosa, ( Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2010, pp. 155, € 8,00) ci si convince del contrario. L’autore, Guidalberto Bormiolini, sacerdote fiorentino della comunità dei Ricostruttori, ci offre in questo libro un agile e prezioso trattato di storia del costume che prende in esame, da un punto di vista antropologico, usanze, abitudini e tradizioni legate ai capelli e alla barba. Bormiolini ripercorre insomma, attraverso sapienti pennellate, la storia “pilifera” dei tanti popoli che, fin dall’antichità, hanno occupato l’area mediterranea e Vicino Orientale, passando in rassegna le mode, il look come diremmo oggi, di personaggi più o meno famosi.
Partiamo dagli egizi, essi erano convinti che “ la capigliatura fosse la parte dell’uomo protesa verso il cielo, verso il mondo divino, quasi fosse un canale di comunicazione col mondo dello spirito”.
Capigliatura egizia
In area ellenistica, siamo al tempo di Alessandro Magno, radersi il viso era invece considerato sinonimo di civiltà, di contro alla barbarie delle popolazioni sottomesse. Prima ancora i Sumeri erano soliti distinguersi dai barbuti semiti proprio radendosi. Tuttavia sia le divinità egizie che quelle assire e babilonesi vengono raffigurate con consistenti barbe, persino le divinità femminili ne mostrano una posticcia, a simboleggiare che essa era un segno di distinzione. Insomma lasciar crescere o tagliare i peli era considerato un autentico spartiacque che aveva implicazioni religiose, sociali e culturali.
Per i greci la barba era un segno di virilità; chi non l’aveva rischiava di venire ridicolizzato e considerato un effeminato. Proverbiali sono le folte barbe degli spartani, considerate simbolo non solo di virilità ma anche di coraggio e di valore.
Il barbuto Pericle
Appare strano che un argomento che potrebbe apparire insignificante abbia appassionato teologi, filosofi, antropologi a partire dai tempi antichi fin quasi ai nostri giorni. Basti solo pensare che da quando il cristianesimo è divenuto religione di stato e sino alla fine XVI secolo, «in alcune nazioni come la Francia e l’Inghilterra – afferma Bormiolini – i modi in cui si acconciavano i capelli e la barba costituirono questioni di stato regolamentate da decreti e leggi in cui si stabilivano tasse o ammende».
Intorno al 300 avanti Cristo compare la figura del barbiere, pare oramai certo nella Sicilia dominata dai greci. Personaggio controverso, se ne possono intuire i motivi, il barbiere era chiamato a un compito assai delicato e le sue fortune erano strettamente legate alla moda dominante. A lui nei secoli successivi, venne affidato ad esempio il compito di praticare la tonsura: farsi tagliare una parte dei capelli equivaleva a fare dono di se stessi al divino.
Ma facciamo ancora un passo indietro. I romani andarono via, via raffinando il loro aspetto attraverso il taglio dei capelli, le donne in particolare erano solite utilizzare capelli finti per sembrare ancor più capellute, proprio come avviene oggi con le parrucche. Scipione l’Africano pare sia stato il primo a radersi, mentre Seneca fece dell’ironia proprio sulle donne romane che – diceva – avrebbero preferito dei disordini nella Repubblica piuttosto che nei loro capelli.
Seneca
Comunque nel mondo romano la barba continuò a essere considerata simbolo di giovinezza. Giulio Cesare è effigiato con una barba piena sinonimo per l’appunto della sua eterna giovinezza. Il rapporto dell’uomo con la barba e i capelli presenta anche implicazioni di tipo iniziatico: Guidalberto Bromiolini si sofferma con particolare attenzione sulle tradizioni indiane, l’India era infatti considerata il luogo della sapienza per eccellenza.
«In India si effettuava un primo taglio rituale dei capelli ai neonati, e poi la barba ai giovani adolescenti come segno di iniziazione. Il mantra che accompagna la rasatura dichiara che lo scopo del taglio è di assicurare una lunga vita all’Iniziato». In ambito cristiano la barba più famosa e ovviamente più amata, è quella del Cristo. La tradizione iconografica ci tramanda l’immagine di Gesù e degli Apostoli arricchita da folte barbe. La stessa raffigurazione compare nella Sindone. E’ dunque normale che i primi cristiani portassero barba e capelli lunghi, a somiglianza del Maestro.
Mosè e Aronne
Oriente e Occidente si confronteranno e si scontreranno, in ambito ecclesiastico, anche sulla questione legata alla barba: i religiosi orientali fedeli alle origini, gli altri più inclini a sbarbarsi, assecondando una tradizione consolidatasi nell’area occidentale della cristianità. La barba di Aronne affronta dunque un argomento originale, tutt’altro che di secondaria importanza, che attraversa civiltà e culture e getta uno sguardo inusuale su come l’aspetto fisico e quello spirituale siano più strettamente legati di quanto si pensi.
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