Editoriale

Battiato: intellettuale di sinistra che ha scritto canzoni di destra

L'opera e l'uomo di rado coincidono, per fortuna gli uomini passano e le opere restano

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

’ha intossicato la politica. Così Buttafuoco ha tentato di attenuare le colpe di Franco Battiato, reo – per i quotidiani e i tg di questi giorni – di aver lanciato una triviale invettiva contro le donne in Parlamento, a suo dire disposte a tutto. Il “caso Battiato” si presta a più di una considerazione di carattere generale, ben al di là della vicenda, in sé piuttosto squallida e deludente, soprattutto per gli estimatori dell’artista siciliano, che, anche per chi scrive, si trova ai vertici di quel genere capace di mescolare suggestioni musicali e culto della parola e che va sotto la riduttiva definizione di “canzone d’autore”.

Ad esempio, sul “Secolo d’Italia”, Annalisa Terranova prende le distanze da quel “popolo di destra” che, nel più fecondo periodo creativo del Maestro catanese, sopravvalutò, secondo il suo parere, le espressioni “esoteriche” di certi brani, da “Il Re del Mondo” al “Centro di gravità permanente”. Poco più che paccottiglia “new Age”, secondo la Terranova. Dal canto suo, Buttafuoco, nell’intervista rilasciata al “Giornale”, si limita a sottolineare come l’impegno politico abbia poco a che fare con gli insegnamenti di Guénon e di Gurdjieff, che pure ispirarono alcuni testi di Battiato; insegnamenti che avrebbero dovuto sconsigliare il suo conterraneo dal cedere alle lusinghe della politica e, in particolare, della pratica amministrativa.

Di passata, noto – sempre con l’amico Buttafuoco – che nessuno si era scandalizzato quando lo stesso Battiato – stavolta non già da Bruxelles, come per l’apostrofe contro le “troie”, bensì da Parigi: povera patria nostra! – aveva sdegnosamente definito l’uomo di destra “non appartenente al genere umano”.

L’argomento non è nuovo per il cantore dei “gesuiti euclidei” e dei “dervisci rotanti”, tanto che già anni fa, in un articolo sul “Giornale”, ebbi modo di far notare l’incoerenza della sua avversione al mondo ideale della destra, al quale i suoi versi, ma non solo – si pensi alle sue opere liriche, Gilgamesh in primis – decisamente lo apparentano.

Battiato di destra suo malgrado (o a sua insaputa, come ormai si usa dire)? Può darsi; anche se è fin troppo ovvio che non di destra “berlusconiana” qui si parla, né di alcuna analoga collocazione tributaria di un liberismo economico, scollacciato, superficiale ed egoista.

Certo, canzoni come “L’era del cinghiale bianco” o “L’animale” hanno ricondotto verso i gusti di tanti coetanei di schieramenti avversi i giovani che tra la fine dei 70 e i primi degli 80 erano affascianti dagli insegnamenti evoliani e guénoniani, in sé piuttosto estranianti. Ne derivò un aprirsi al mondo dal quale un’intera generazione si era autoesclusa, rinchiudendosi nel ghetto del neofascismo orgoglioso ma sterile.

Comunque, l’interdetto verso quel mondo ideale, verso l’impresentabile destra, continua; che assuma le forme esplicite usate da Lucia Annunziata nella sua trasmissione tv o sia ammantata dalla censura silenziosa decretata per la prima, menzionata uscita di Battiato, o che sia oggetto delle acute analisi di uno studioso come Ernesto Galli della Loggia. Per tacere del perdurante – e perfino autolesionistico – ostracismo bandito da Pierluigi Bersani – stavolta nei confronti dell’unica destra rimasta a spaventare i buoni borghesi progressisti, quella, appunto, berlusconiana – in occasione della patetica esplorazione tuttora in atto, mentre scriviamo, alla ricerca della quadrature del cerchio governativo.

Della destra, insomma, quale che ne sia la connotazione, nessuno sembra aver nostalgia, ad eccezione di quei ristretti cenacoli, fra i quali vanno certo annoverate testate come Totalità.

Quanto a Battiato, chi ne ha amato “Prospettiva Nevskij” o “L’ombra della luce” continuerà a farlo, dimenticando la persona del suo sprezzante e perfino triviale autore. Del resto, il frutto dell’ingegno vive di vita propria e, una volta uscito dal laboratorio dell’Artista, appartiene meno a lui che non al pubblico al quale è destinato.

Sarebbe come se volessimo sminuire “L’infinito” perché alcuni biografi meschini ci raccontano che Leopardi mandava cattivo odore o come se volessimo rinunciare alla “Conversione di Matteo”, perché Caravaggio era un tipo poco raccomandabile. Si parva licet…

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