In teatro come nel 1847

Lady Macbeth, brutta cattiva e con la voce aspra come la voleva Verdi

Firenze: Ritorna l'opera nella quale il compositore di Busseto si misura con Shakespeare

di Domenico Del Nero

Lady Macbeth, brutta cattiva e con la voce aspra come la voleva Verdi

Lady Macbeth?  Brutta e cattiva. La voce? Aspra, soffocata, cupa e con piglio diabolico.  Così Giuseppe Verdi voleva il timbro vocale della protagonista della sua opera “fiorentina”, l’unica scritta appositamente per il proscenio della Pergola. Almeno in parte, fu accontentato:  Marianna Barbieri – Nini  era una cantante celebre per l’intelligenza ma anche per la sua bruttezza.   Ma non era tanto la bellezza a contare: per questo ruolo infatti verdi scrisse una parti sopranili più complesse (secondo alcuni, la più difficile in assoluto) nel senso dell’estensione, della coloratura e della dinamica.

Del resto, non a caso qui Verdi si confronta con uno dei suoi numi tutelari: Shakespeare, nel segno del quale chiuderà la sua carriera.  Ma allora, avrà come suo collaboratore un degno poeta e collega quale Arrigo  Boito; nel 1847 non aveva altri che il povero Francesca Maria Piave. Verdi, peraltro, lo aveva messo sotto torchio: lo strapazzava, ricordandogli che aveva a che fare con un capolavoro e ordinandogli  di comporre un libretto “sintetico” e pure con versi di stampo alfieriano, almeno nella concisione. Andò a finire che scrisse parte della musica prima che Piave avesse completato il testo e dovette pure ricorrere a un altro estro poetico non precisamente eccelso, quello di Andrea Maffei, per le parti delle streghe e degli esuli scozzesi, informandone il povero Piave a cose fatte.

Risultato?   «Macbeth. Profanazione in quattro atti di F.M. Piave  (…)  l’elemento fantastico con tutte le sue streghe, le sue apparizioni, la sue perdizioni, la sue tregende,  incompatibile co’nostri pubblici, co’ nostri teatri e soprattutto co’nostri macchinisti» .

In definitiva, un libretto «trivialissimo, scempiato, indigesto, un’arlecchinata, un ridicolo pasticcio zeppo di assurdità e madornali spropositi, che pochissimo riceve da certi  “cataplasmi”  (ovvero i correttivi di Maffei) e molto danneggia la musica». Tale il giudizio di Enrico Montazio sulla Rivista di Firenze del 27 marzo 1847 (meno di due settimane, dunque, dopo la prima. Non tutti furono così duri, ma in generale il libretto non suscitò un grande entusiasmo e anche l’accoglienza dell’opera non fu delle più calorose, malgrado il compositore ne avesse seguito con grande attenzione  la messa in scena.

 Il teatro, la sera della prima, era strapieno e non mancarono comunque omaggi ai cantanti e al musicista; ma l’esito fu comunque inferiore alle aspettative.  Probabilmente le novità dell’opera, la scelta del soggetto  e il suo sapore “nordico” sconcertarono un pubblico non ancora pronto a una simile “virata”; senza contare la mancanza di una “storia d’amore”, cosa davvero inusuale per un melodramma.

Macbeth avrà una seconda versione parigina nel 1865, con notevoli rimaneggiamenti della partitura per adattarla ai gusti del pubblico francese. Ed è questa seconda versione che di solito si esegue, soprattutto dopo la riscoperta e rivalutazione dell’opera avvenute verso la metà del Novecento. Macbeth “versione 1847” costituisce dunque la terza novità di questa edizione del Maggio Fiorentino, dopo  Britten e Vivaldi; essa infatti non mai più stata riproposta a Firenze da quell’anno.  E se il livello sarà lo stesso degli altri due eventi questa edizione del Maggio, nonostante il momento terribile, potrà dal punto di vista artistico vantare un bilancio senz’altro positivo, tanto più meritorio dato il contesto infelice. L’opera esordisce stasera, in quello stesso teatro della Pergola in cui è nata, alle ore 20,30; cinque le repliche (18,19,21,25 giugno ore 20,30; sabato 22 giugno ore 15,30)

Certo, le polemiche contro il libretto possono oggi apparire ridicole ed esagerate. Sembrano quasi una riedizione della polemica del 1816 contro Madame di Stäel, quando la scrittrice francese si era limitata (peraltro, con tutte le ragioni del mondo) a consigliare gli italiani ad ampliare un poco i loro orizzonti culturali leggendo anche qualche opera straniera,  attirandosi il cipiglio di tutte le cariatidi del Neoclassicismo terrorizzati dall’idea delle mitologie “nordiche”.

Certo a leggere certi versi del Piave vengono davvero i …. brividi e non di spavento              

M’è frullata nel pensier

La mogliera di un nocchier:

Al dimon la mi cacciò...

Ma lo sposo che salpò

Col suo legno affogherò[1]

Quella “mogliera frullata” suscita oggi più il riso che lo spavento, ma d’altra parte questa era la realtà di buona parte della librettistica italiana della prima metà (e non solo) dell’Ottocento; sotto questo aspetto, il buon Piave non era neppure tra i peggiori.

In realtà, Macbeth è un’opera importante, che segna come ricordava Claudio Casini «l’audace tentativo di uscire da una situazione di immobilismo e di realizzare la vocazione al realismo che Verdi  nutriva da tempo e che era il progetto della sua intera attività. Come tutte le innovazioni improvvise, contiene squilibri anche se, in compenso, include intuizioni che andarono al di là di quanto lo stesso Verdi avrebbe sperimentato nella sua carriera.»[2]

Per questo dunque, anche se spesso e volentieri le riproposizioni di opere del  “primo Verdi” possono essere discutibili, in questo caso è sicuramente una scelta di grande interesse, tanto per l’appassionato quanto per lo studioso. Si tratta di una nuova edizione, firmata da Graham Vick, uno dei più stimati registi d’opera sulla scena internazionale, e diretta da una bacchetta “superdoc” quale James Conlon. Purtroppo non ci sono anticipazioni sulla regia, anche se Vick in una intervista ha  condotto una interessantissima analisi sulle differenze “sceniche” tra le due versioni, evidenziando come quella fiorentina sia più incentrata sul personaggio del re, più concisa e per certi aspetti più “efficace” di quella parigina.

Si dividono il ruolo di Macbeth (baritono)  Luca Salsi e Dario Solari (18,21,25), mentre in quello della sua terribile lady (soprano)  si alternano  Tatiana Serjan e Raffaella  Angeletti  (18,21,25.); Banco (basso) è Marco Spotti.



[1] Atto primo, scena delle streghe

[2] Claudio CASINI, Verdi, Milano, Rusconi, 1994, p. 99. 

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