Chiusura col botto!

Da Macbeth a Maria Stuarda: finale “scozzese” per l’ottantesimo festival del Maggio

Mentre a Roma si discute della sua sopravvivenza, a Firenze il teatro del Maggio dà il meglio di sé e chiude questa stagione, per certi aspetti indimenticabile, all’insegna del melodramma storico

di Domenico Del Nero

Da  Macbeth a Maria Stuarda: finale “scozzese” per l’ottantesimo festival del Maggio

Un bagno d’entusiasmo. Mentre a Roma si discute della sua sopravvivenza, a Firenze il teatro  del Maggio  dà il meglio di sé e chiude questa stagione, per certi aspetti indimenticabile, all’insegna del melodramma storico: con la prima versione del Macbeth verdiano, quella del 1847 che proprio al teatro della Pergola ebbe i suoi natali, e la Maria Stuarda di Donizetti, eseguita in forma di concerto, con la grande soprano Mariella Devia nel ruolo della protagonista e un’altra ugola blasonata, il mezzosoprano Laura Polverelli, in quello della rivale Elisabetta: due regine del belcanto che daranno vita a una feroce rivalità politica, che si tradurrà sicuramente in una appassionante sfida all’ultima nota. Debutto stasera ore 20,30, replica domenica ore 15,30 (Teatro Comunale).

Macbeth invece è giunto a metà del suo itinerario artistico: ultime tre repliche domani e martedì alle 20,30, sabato alle 15,30. Sino a questo momento il pubblico fiorentino ha decretato all’opera un più che meritato trionfo, con un vivo slancio senza riserve e eccezioni. E sicuramente, quest’opera corrusca, passionale e ferrigna, che segna una svolta importante nella carriera di Verdi, se ben eseguita ha il potere di affascinare e coinvolgere sino all’entusiasmo, sino all’applauso a stento trattenuto  e che poi esplode come una sorta di catarsi. Non c’è nulla da fare: quando fossa d’orchestra e palcoscenico riescono a coordinarsi e fondersi in maniera perfetta, l’opera lirica è capace di sprigionare una magia difficilmente raggiungibile da altre forme di spettacolo.  Certo,  Macbeth fa pur sempre parte del “primo Verdi” e malgrado il suo autore l’abbia realizzata con molta più cura dei lavori precedenti, rimane molto di quella “rozzezza”  strumentale che in certi momenti irrita e provoca delle “cadute di stile”  sicuramente fastidiose. Ma a parte il fatto che questo è un limite di cui Verdi non si libererà del tutto che nell’ultima fase della sua produzione, in Macbeth più che altrove questa caratteristica passa in secondo piano. grazie alla straordinaria complessità della parte vocale, dei personaggi, del clima tra il soprannaturale e il guerresco che alleggia in tutta l’opera, figlia del resto (anche se un po’ bistrattata dai librettisti verdiani) del genio di Shakespeare.

Nella critica però non è mancata qualche riserva, soprattutto per la regia di Graham Vick che ha voluto attualizzare la vicenda ai giorni nostri, o meglio al ventesimo secolo. Per Paolo Isotta si tratta senza mezzi termini di una “porcheria” che ha penalizzato  il lavoro verdiano, perché a causa della regia di Vick “l’aspetto musicale passa decisamente in secondo piano”.  Inoltre egli definisce “ incongrua la recitazione dei protagonista, mentre all’esecuzione musicale non concede nulla di più che un  “corretta”.

Con tutto il rispetto per un critico illustre che ha l’ammirevole coraggio di dire sempre e comunque ciò che pensa,  questa lettura sembra però quantomeno eccessiva. Certo, paragoni con grandi edizioni del passato possono indurre a riflessioni del tipo “o tempora, o mores”! Ma sia la direzione di James Conlon che l’interpretazione dei cantanti meritano decisamente qualcosa di più di un “corretta”: vivace e coinvolgente la direzione d’orchestra,  di alto livello il Macbeth di Luca Salsi, un baritono ricco di verve e di forza interpretativa; mentre la lady di Tatiana Serjan ha dato prova di avere le caratteristiche che voleva Verdi per questo ruolo: una “strega solista” con una voce” aspra, soffocata e cupa “ (ma non senza qualche inflessione più lirica); di buon livello anche il Banco di Marco Spotti (basso) e il Macduff del tenore Saimir Pirgu .  Veramente da applauso anche la prestazione del coro: sia quello delle streghe davvero “insolite” costrette a una recitazione quantomeno … inusuale,  sia quello degli scozzesi, dei soldati e del seguito del re.

La regia di Vick ha puntato tutto su una attualizzazione che ambienta l’opera nel’900, molto accurata anche nei costumi: si va da un abito da segretaria anni’50, alle mimetiche dei soldati, a abiti da sera di diverse fogge, camerieri in giacca bianca etc; mentre, forse giocando sulla paronomasia witch/bitch  (strega/prostituta) fattucchiere e megere sono state trasformate in strambe passeggiatrici, costringendo tra l’altro le interpreti ad ancheggiamenti e atteggiamenti di cui avrebbero fatto forse volentieri a meno. Sono sicuramente immagini “forti” che possono benissimo non piacere o anche irritare, cosa che sovente accade con le “attualizzazioni a tutti i costi”, sul tipo delle nazi-tosche o della Dama di Picche ambientata in un manicomio.  Vick però ha voluto qui sottolineare con una forza straordinaria la violenza del potere e soprattutto della sua cupidigia, ricordando come questa sia purtroppo una costante dell’animo umano che ha inquinato non solo tempi lontani da noi, ma anche e soprattutto il cosiddetto secolo breve, ovvero il Novecento. Sarebbe stato discutibile se il regista fosse caduto nelle solite letture strumentali a senso unico (sullo stile, appunto della Tosca nazificata), ma qui l’impressione è che sia tutta la storia più recente a ripetere  l’eterno dramma del potere che cancella e inghiotte affetti e amicizie. E in questo contesto la recitazione di Salsi, che con molta disinvoltura accoppava gente a colpi di mitra invece di affidarsi ai certo più “credibili” scherani e sicari armati di pugnale, era sicuramente sconcertante, ma anche di grande efficacia e bravura.

Certo, si può benissimo convenire con Isotta che sarebbe stato più opportuno riprodurre non solo la partitura, ma anche il “senso scenico” dell’edizione del 1847; ma stroncare senza appello la versione di Vick sembra quantomeno eccessivo, anche perché non è affatto escluso che anch’essa lo riproduca, sia pure certo molto a suo modo.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.

TotaliDizionario

cerca la parola...