Un libro per l'estate

​Valerio Massimo Manfredi e il fascino eterno di un mito: Ulisse

Lo scrittore ripercorre il cammino dell'eroe con la saga in due volumi edita da Mondadori Il mio nome è Nessuno: il primo, Il Giuramento, il secondo che è già un best-seller; mentre il Ritorno, è atteso dopo l’estate.

di Laerte Failli

​Valerio Massimo Manfredi  e il fascino eterno di un mito: Ulisse

Valerio Massimo Manfredi

Odisseo, l’eroe omerico forse più caro alla nostra civiltà, è definito nel poema a lui dedicato  l’uomo dal multiforme ingegno: un’intelligenza ancora più acuta della spada che pure maneggia con grande abilità, e  di cui sa servirsi come della più micidiale delle armi. 

Dai tragici greci,  a Dante, a Foscolo, a Tennyson, al ‘900 l’elenco dei sommi e dei minori che hanno subito l’influenza del signore di Itaca è sicuramente lungo, al punto da rendere quantomeno arduo cimentarsi ancora  con lui. 

Un rischio che non ha spaventato Valerio Massimo Manfredi, archeologo, topografo del mondo antico, appassionato studioso di una vicenda epica quanto storica, la “ritirata dei Diecimila” descritta dallo storico greco Senofonte: ma soprattutto grande narratore e affabulatore, capace di far rivivere il mito e le vicende antiche con un equilibrio di storia e invenzione veramente magistrale. Dopo aver incantato il pubblico con due giganti della storia quali Alessandro Magno e Cesare, Manfredi ripercorre il cammino di Ulisse con la saga in due volumi edita da Mondadori  Il mio nome è Nessuno: il primo, Il Giuramento, uscito da alcuni mesi,  il secondo che è già un best-seller; il Ritorno,  è atteso dopo l’estate.

Il primo volume è sicuramente un  libro ….  dal multiforme fascino.  Manfredi aveva già evocato Odisseo in uno dei suoi primi romanzi, L’Oracolo,  una  singolare avventura  ambientata in Grecia al tempo dei Colonnelli e poco dopo  (e quindi negli anni ’60/70  del 900 ) ma con continui richiami al passato antico anche attraverso la figura di un personaggio misterioso che rimaneva sullo sfondo, e si scopre infine essere proprio Ulisse, ancora in attesa che si compia la misteriosa profezia che riguarda la sua morte.  Qui invece l’eroe scende in campo in prima persona, narratore delle sue stesse vicende  in un lungo flash back  che parte dalla sua infanzia e termina, nel primo volume, con la distruzione di Troia dopo la lunga e snervante guerra. 

Saggiamente però Manfredi ha evitato di incentrare il libro sul conflitto troiano,  mirando invece a ricostruire più accuratamente tutta la parte precedente della vita dell’eroe, meno nota anche perché di difficile ricostruzione, attraverso fonti  poco conosciute al grande pubblico: anche il poema omerico, come è noto, non dà molti particolari sulla giovinezza e tantomeno sull’infanzia dell’eroe, chiamato spesso  col patronimico “Laerziade”  o “figlio di Laerte”. 

E proprio il Wanax ( re in Miceneo)  Laerte, insieme al nonno materno Autolico, (figura certo più inquietante e misteriosa)  è uno dei personaggi più affascinanti del libro di Manfredi: condannato di solito, come del resto era inevitabile, alla sola parte di padre di cotanto figlio,  Laerte è invece un grande eroe che ha partecipato all’impresa degli Argonauti insieme a Orfeo ed Eracle. Manfredi rievoca, proprio attraverso le parole di Laerte al figlio, l’impresa della conquista del Vello d’oro, spogliandola della sua veste mitica e cercando di inquadrarla in una dimensione più storica. Perché Manfredi non si contenta del mito: senza distruggerne il fascino e l’incanto, cerca di darci un’immagine del mondo miceneo, della sua realtà di città-stato in potere di principi legati tra loro con vincoli di vario genere, ma anche litigiosi e pronti a scannarsi a vicenda,  che sia credibile e verisimile, basata sui documenti in nostro possesso: questo restituisce ai personaggi una dimensione umana, che lascia gli Dei solo nello sfondo (a parte la misteriosa e inquietante presenza di Atena al fianco di Odisseo)  ma li rende più vicini e coinvolgenti, in balia di  un destino cieco e misterioso a cui però rifiutano di piegarsi passivamente.  

Laerte è dunque il re saggio, primo maestro del figlio a  cui insegna non solo il mestiere delle armi ma anche la difficile arte della diplomazia; ma soprattutto lo inizia al fascino del viaggio, dell’affrontare l’ignoto in tutte le direzioni.  E quando il processo educativo è compiuto, sa farsi da parte e cedere il trono, consapevole che il destino di Odisseo è incomparabilmente superiore al suo, che pure già era stato di tutto rispetto.

E così varie vicende mitologiche, più o meno note, corrono affascinanti una  dietro l’altra, creando  un clima di  tensione e interesse  che non viene meno dalla prima all’ultima pagina e una empatia con il protagonista, visto nelle sue luci ma anche nelle sue ombre, nei suoi cedimenti, meschinità e paure oltre che nella sua indubbia magnanimità. 

Ma qual è la vera  dimensione dell’Ulisse di Manfredi?  “Ulisse, Odisseo per i Greci, siano noi, i naviganti del Terzo Millennio. Noi che come lui ci risolleviamo eternamente, non preda delle tempeste sul mare, ma delle tempeste dell’età telematica. Noi che come il figlio di Laerte non vogliamo la guerra, ma spesso siamo costretti ad ingaggiarla e a vincerla. Noi la cui virtù principale diventa la resistenza” ha  dichiarato lo scrittore in una recente intervista_. Il fascino del viaggio dunque, che può anche essere il “folle volo” di dantesca memoria,  ma che non finirà mai di attrarre chiunque voglia “servir virtute e conoscenza” 



Valerio Massimo MANFREDI,  Il mio nome è nessuno: il Giuramento, Milano, Mondadori, 2012, p. 353,  € 19,00.


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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 18/08/2013 12:51:49

    Sulla bravura di Massimo Manfredi nessun dubbio. I suoi romanzi storici sono un esempio per approfondire personaggi ed epoche che sui libri di storia vengono solo tratteggiati. Quanto ai personaggi e al mito, non sono d'accordo su Ulisse, personaggio troppo furbo. Il mito , a mio parere, riguarda Achille con il valori legati all'amicizia con il ritorno alla battaglia per vednicare la morte dell'amico Patroclo ma soprattutto Ettore, immortalato da Ugo Foscolo negli ultimi endecasillabi dell'immortale Carme "I Sepolcri", con l'inno perenne all'amor di Patria,"finchè il sole risplenderà su le sciagure umane".

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