Curiosità

Da un ristorante allo studio di Rosai

Volevo un punto di ritrovo gastronomico e mi ritrovo con uno spazio culturale multifunzionale

di Alessandro  Bedini

Da un ristorante allo studio di Rosai

Via Toscanella 1922

Via Toscanella è a pochi metri da Piazza Pitti a Firenze. Appartata, quasi nascosta, lontana dal via vai di turisti che si accalcano poco più in là per ammirare il maestoso palazzo che fu la residenza del re d’Italia quando Firenze era la capitale del paese.

In questo spicchio d’Oltrarno il tempo sembra essersi fermato, ci sono ancora le botteghe artigiane, il ferramenta i piccoli negozi di alimentari. C’è soprattutto quello che fu lo studio di Ottone Rosai, uno degli spiriti più inquieti e originali del Novecento.

Pittore di straordinario talento, amava ritrarre nei suoi quadri i quartieri popolari di Firenze e proprio dalla finestra del suo studio, che si affaccia su via Toscanella, ha ritratto la quotidianità della vita di quel microcosmo ricco di umanità e di storia. Rosai era nato a Firenze nel 1895, ad appena diciotto anni aveva aderito al movimento futurista entrando in contatto con Soffici, Carrà, Severini. Divenne amico di Papini e Palazzeschi, Vasco Pratolini si fermava spesso a dormire nello studio di via Toscanella. Quello studio oggi riprende vita grazie a un appassionato dell’arte e della cultura, Fabrizio Gori. E’ lui che ha ristrutturato le stanze al primo piano dell’edificio che ha ospitato Rosai negli anni Venti del secolo scorso, qui verranno allestite mostre, si terranno conferenze e presentazioni di libri che richiamano quella grande stagione intellettuale che vide Firenze come protagonista della cultura italiana e Europea.

Lo studio è composto da un grande salone dove il pittore lavorava, lateralmente si trovano altre stanze, disposte per lungo, che probabilmente fungevano da camera da letto e da cucina.  

Fabrizio Gori è un restauratore e uno storico dell’arte, “la mia passione per Rosai nasce quasi per caso – spiega Gori – al piano terreno volevo fare un ristorante e ho trattato con i proprietari per affittare quest’edificio. Durante la fase di progettazione venni a sapere dal proprietario che al primo piano c’era lo studio di un pittore, ma non sapevo che si trattasse di Rosai. Scoprì però che sul campanello c’era ancora il suo nome. Io mi interesso di storia dell’arte – prosegue Gori – e fui attratto da questo personaggio. Cominciai a documentarmi, cercai tutte le informazioni possibili.

E cosa scoprì?

Scoprii un personaggio molto diverso da come ordinariamente veniva presentato. Molto dolce, poetico, lontano dal ritratto che qualcuno ha voluto rappresentarne ancora oggi: teppista, fascista della prima ora, insolente.

In realtà gli studi più recenti rivalutano Rosai anche sul piano umano, lo collocano in quel contesto nel quale nascono le grandi riviste come Lacerba, Il Selvaggio, tra gli spiriti inquieti certo, ma non come un violento o peggio ancora un teppista.

Sì però l’immagine che passa è ancora per certi versi questa. Mentre dalla monografia di Pier Carlo Santini, edita nel 1972 da Vallecchi, viene fuori una persona che quando descrive Firenze lo fa in maniera delicata, quasi in punta di piedi. Ho provato a considerare i quadri di Rosai come dei paesaggi che si fermano sulla linea di confine tra astrazione e figurazione.

Dunque i criteri con i quali lei ha ristrutturato lo studio di Rosai hanno a che fare con la sua personalità, con la sua arte.

Sì, certamente, siccome l’immobile è un immobile storico, perché era la loggia in fondo al giardino di palazzo Ridolfi di via Maggio, una volta entrato nel palazzo sono venute fuori sculture di pietra e così ho restaurato e messo in visione tutto il complesso, successivamente mi sono occupato dello studio. Qui ci sono ancora delle scritte sulla parete che sono di pugno del pittore. Andando a recuperare l’imbiancatura originale, sono venute fuori varie testimonianza, compresa la firma di Rosai e delle date che lui aveva annotato sulla parete. Ci sono persino delle pennellate, come se  provasse il colore per i quadri sulle pareti dello studio. Sono particolari interessanti. Io ho cercato di conservare tutte queste testimonianze recuperandole e  mettendole in evidenza, il concetto del restauro di quest’ambiente è stato quello di preservare le tre pareti dove non vi erano strutture antiche, con il colore che c’era al tempo di Rosai e recuperare la parete quattrocentesca con i colori dell’epoca, rimettendo alla vista la pietra originale.

Lei ha ricostruito il periodo della presenza di Rosai in via Toscanella, a quando risale?

Come risulta dalla monografia di Pier Carlo Santini Rosai era già qui nel 1913, ci sono anche  due fotografie che lo testimoniano e due quadri su un cavalletto fotografati che andranno in mostra nello stesso anno in via Cavour. Fu quella la prima mostra del giovane Rosai, in quell’occasione egli fece la conoscenza dei futuristi e poi aderì al movimento.

In conclusione si può dire che lei ha recuperato un piccolo gioiello di una Firenze un po’ dimenticata. Che fine farà lo studio Rosai una volta completato il restauro?

Diventerà uno spazio multifunzionale, avrà una comunicazione interna tra il pianterreno e il primo piano, dove si trova lo studio, ma  soprattutto il mio desiderio e quello di riconsiderare, attraverso questo spazio, il rapporto artistico tra due pittori, Rosai e Berti, i quali a mio avviso sono le due linee direttrici della pittura fiorentina del Novecento  e che partono dallo stesso punto: erano entrambi innamoratissimi di Firenze.

Quindi è imminente l’inaugurazione dello studio.

Sì il 15 di giugno sarà inaugurato lo studio con un’iniziativa che parte dall’accademia reale di Anversa, nell’ambito di Pitti immagine, che consiste in un concorso che avrà per tema la tessitura. Ogni tessitore o tessitrice  produrrà una borsa d’arte. Il percorso, che proseguirà poi in altre città, avrà inizio proprio qui, dove Ottone Rosai creò i suoi capolavori

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