Editoriale

Forza Italia o delle anomalie di una “rinascita”

L'operazione voluta da Berlusconi mostra molti, troppi limiti e soprattutto non prevede un vero futuro di cambiamento indispensabile per uscire dalle sabbie mobili che ci stanno uccidendo

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

iamo degli inguaribili “nostalgici” – lo confessiamo. Non tanto del tempo che fu, quello dell’orbace e delle parate marziali, che abbiamo visto solo in “differita”, attraverso qualche cinegiornale d’epoca, essendo venuti al mondo ad  Anni Cinquanta inoltrati. Siamo “nostalgici” di una politica vissuta, partecipata, strutturata, discussa. Per questo non ci piace come sta rinascendo (è già nata ?) Forza Italia. Questione “di metodo” e “di contenuti”.

Sul primo versante,  visto che i partiti non sono solo un logo, con il corollario di qualche spot, e “cooptazione”, magari un avviso interno, con relativa consultazione (degli iscritti, degli eletti, degli organismi del PdL) andava fatta, giusto per salvare le …apparenze.

Archiviare il Popolo della Libertà, solo perché – come dice Silvio Berlusconi – ha poco appeal, e appellarsi  all’entusiasmo e alla passione degli italiani, nel nome di un generico “interesse” per il Paese, ci sembra  – passateci l’ardire – un progetto politico un tantino gracile.

Intanto perché appare come un’offesa nei confronti di quanti al PdL avevano, con tranquilla coscienza, creduto e  per esso si erano impegnati, compresi tanti ex An, che avevano dovuto bere dall’amaro calice dell’unificazione, fatta senza tanta convinzione, ma poi si erano gettati nell’impresa del nuovo partito, con lealtà e speranze autentiche.  E poi perché i vent’anni passati dalla prima  uscita di Forza Italia non sono proprio un battito di ciglia.

E qui veniamo alle questioni “di contenuto”. Allora il movimento del Cavaliere si presentava come “… risposta alla crisi dei partiti della Prima Repubblica; come reazione ad una possibile deriva illiberale del sistema politico; come offerta di rappresentanza all'area dei moderati nel quadro di una nuova democrazia dell'alternanza; come proposta di governo per realizzare una seconda modernizzazione italiana”. 

E’ proponibile, oggi e per il domani, questo quadro di riferimenti ? E l’esperienza, la concreta esperienza sul campo da parte del centrodestra,  può ritrovare nuovo smalto da una pura e semplice operazione immagine, costruita intorno al  nuovo “brand”, con  l’immancabile inno (autori Serio-Berlusconi), una bella campagna promozionale e poi l’inesauribile fiuto carismatico del leader? Il capo carismatico, espressione della società civile, quale era, nel 1994,  un Berlusconi cinquantacinquennne imprenditore di successo,  cosa ha in comune con il Berlusconi di oggi?  E il “quadro politico” ?

Allora la Lega Nord captava consensi a due cifre su tutta l’Italia settentrionale. Il Msi-Dn,  in procinto di diventare Alleanza Nazionale,  sfidava, alla pari, la sinistra alle elezioni amministrative nel Centro-Sud. Entrambi i movimenti, pur con le evidenti incompatibilità politico-culturali, riuscirono, grazie alla politica delle alleanze variabili (al nord FI + Lega, al Sud FI + AN) a portare Berlusconi al governo.

Come sembra auspicare Angelino Alfano,  può la  rinnovata Forza Italia, “da sola”, proporsi come il catalizzatore di un elettorato di centrodestra che, appena qualche anno fa, rappresentava,  nelle sue diverse componenti,  più del sessanta per cento degli elettori ed oggi è disperso in mille rivoli ?

E’ evidente che una  pura e semplice operazione restyling non può bastare a fare un partito ed una politica. Anche perché il ventennio trascorso ha pesato sull’immaginario collettivo, alimentando delusioni e creando stanchezza. Per non dire della “classe dirigente” forzista, uguale a se stessa da anni, segnata dai personalismi, culturalmente sempre più  disomogenea (che cosa hanno in comune – tanto per fare nomi – un Lupi con un Capezzone, un Formigoni con un Galan, un Fitto con un Bondi, una Santanchè  con un Brunetta ?).

Sono molti, troppi, i quesiti che la rinascente Forza Italia porta con sé. Con, al fondo, una sensazione un po’ gattopardesca, tanto lontana dall’immagine smagliante e “rampante” del movimento del ’94: tutto cambiare, per nulla veramente cambiare. E di “gattopardi” l’Italia non ha proprio bisogno.

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