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Quando Ungaretti protestò

Un comunista in una redazione fascista ovvero l’Affaire Soupault

Vivace scambio di polemiche fra il poeta e Bontempelli che aveva accolto lo scrittore francese su «900»

di Ivan Buttignon

Un comunista in una redazione fascista ovvero l’Affaire Soupault

Philippe Soupault

“900”, la rivista culturale diretta dal fascistissimo Massimo Bontempelli, vanta, tra i collaboratori più assidui, un comunista: Philippe Soupault.

Il celebre scrittore e saggista francese è, nel mondo intellettuale europeo, uno dei massimi esperti di arte. Ha quindi tutte le caratteristiche per entrare a pieno titolo nelle simpatie dei novecentisti italiani e collaborare ai loro progetti letterari, cosa che prontamente Soupault fa.

Nato a Chaville, classe 1897, a soli vent’anni pubblica la sua prima raccolta di poesie Aquarium, che suscita vasto interesse tra la comunità letteraria. Due anni più tardi, nel ’19, Soupault fonda assieme a Louis Aragon e André Breton la fortunata rivista Littérature e partecipa, in compagnia con altri scrittori coordinati da Tristan Tzara al movimento dadaista.

Nello stesso periodo (siamo nel ’20) esce Les champs magnétiques, (I campi magnetici), scritto a quattro mani con Breton. L’opera è considerata la prima sperimentazione di scrittura automatica, che tende a indirizzare il dadaismo, sempre a titolo di avanguardia letteraria, a forme prossime al surrealismo.

A trent’anni Soupault cambia pelle e inizia a dedicarsi al giornalismo e al romanzo, genere fino a quel momento da lui ignorato. Nel 1937 raccoglie le sue poesie nel volume Poésies complètes, mentre nel 1947 escono le sue Odes (Odi) e nel 1949 Chansons (Canzoni).

I suoi romanzi, come Le negre (Il negro, del 1927) e l'autobiografico Les temps des assassins. Histoire du déténu N. 1934 (Il tempo degli assassini. Storia del detenuto n. 1934, del 1949), sono spesso farciti di surrealismo e quindi di uno stile espressivo nervoso e visionario.

Piuttosto longevo, muore a Parigi all’età di 93 anni.

La congiura

A Soupault, lavorare di buona lena ai progetti novecentisti evidentemente guasta. E’ infatti per questo motivo che assieme a Ribemont Dessaignes, sarà congedato dal movimento surrealista[1].

Un avvenimento singolare, che metterà un po’ di rumore fra gli scrittori francesi è il provvedimento preso del gruppo dei surrealisti parigini riguardo a Philippe Soupault e Ribemont Dessaignes. Questi due scrittori, tra i più vivi e attivi del surrealismo, sono stati espulsi dai loro compagni di gruppo per aver dato la loro collaborazione alla rivista italiana ‘900’. Il singolare provvedimento non ha motivi letterari.

Si nota difatti che la prosa data a ‘900’ (n. 1) da Philippe Soupault è comparsa poi, come espressione tipica dell’arte sua, nell’Anthologie de la Prose française edita da Kra. Essa porta il titolo Mort de Nick Carter. Per Ribemont Dessaignes il provvedimento è anche più eloquente, in quanto egli è stato espulso in seguito al semplice annunzio che una sua novella, Devant et derrière, troverà posto nel secondo numero di “900”.

Il surrealismo perde con questi due scrittori due forti affermazioni e guadagna una pessima figura davanti all’opinione europea. Resta da vedere che cosa rimarrà dei surrealisti se questo sistema sarà adottato anche in seguito: poiché ‘900’ si è assicurata anche la collaborazione di altri importanti scrittori di questo gruppo”[2].

D’altra parte però, neppure a “900” giova la collaborazione di un comunista. Come dimostra questo acceso scambio di opinioni: “Bontempelli che è anche Bontempone, ma non sa fare il buon tempo, come si vede, manda alle Gazzette che a fianco di lui reggerà le sorti della futura rivista italo-francese Philippe Soupault. Qui ancora non vorremmo sbagliare. Il ‘900’ dovrà essere ‘la rassegna dell’imperialismo fascista’. E come c’entra allora Soupault, che notoriamente è comunista? Aspettiamo di impararlo”[3].

L’autore è Ungaretti, che si assume tutta la responsabilità nella lettera pubblicata su “Il Tevere” il 6 agosto del ’26. Nel frattempo, però, Bontempelli risponde su “Il Tevere” con una lettera diretta a Interlandi: “Caro Interlandi, su L’Italiano di ieri c’è un fiero articolo contro di me. E’ firmato Torcibudella, felicissimo pseudonimo (poiché si capisce subito chi è l’autore). Ci colgo quattro grosse bugie di fatto. Le seguenti: 1) Non ho mai sollecitato la rivista ‘Commerce’ a pubblicare i miei scritti, fui io invitato e sollecitato spontaneamente. Ho le lettere d’invito: Torcibudella parla del rifiuto da parte di un’altra rivista. (Dio com’è ignobile portare questi pettegolezzi in pubblico). Verissimo: ma il lettore e consigliere per le cose italiane in quella rivista è un italiano (Giuseppe Ungaretti)”.

E ancora: “Tutta la questione che quelli là vorrebbero fare sarebbe sbagliata dalle fondamenta: perché non può volersi provocare arte regionale o arte non regionale. O si riesce a fare dell’arte, o non si riesce: e quando si riesce non è più regionale: è arte e basta. E se arte è, è nazionale automaticamente, fatalmente; e se un italiano è un vero artista, e fa un romanzo di ambiente newyorkese, fa un romanzo italianissimo. Ho già citato l’Ariosto... E per fare un esempio citando un giovane che quelli là presentano come barcollante tra i due campi, ti dirò che Aniante è molto più ‘novecentista’ nelle sue novelle di vita siciliana che non in Sara Lilas, romanzo di Montmatre. Ma va a farglielo capire a quelli là”.

E prosegue difendendosi dalla capziosità accusatoria: “Non ho mai detto né ‘mandato alle Gazzette’, e nessuno ha mai detto, e non è vero, che Philippe Soupault (che stimo molto) reggerà al mio fianco le sorti della rivista. Non ho mai scritto né detto che “900” sarà “la rassegna dell’imperialismo fascista”. (Lui virgola la frase per darle aspetto di citazione). Se lo diverrà tanto meglio”. E aggiunge: “Per tua norma io non ho mai tirato in ballo il fascismo, o spirito della Rivoluzione etc...”[4].

Ancora, secondo Malaparte il novecentista personifica “alla perfezione l’ideale piccolo borghese del letterato alla moda, sempre al corrente delle novità di Parigi, di Londra e di new York...”, che “non vuol fare a meno dei suoi Mac Orlan, dei suoi Ramon Gomez, Ivan Goll, Joyce, Paul Morand, e che si incanta agli arzigogoli della psicoanalisi di quel povero Joyce italiano che è il triestino Italo Svevo”[5].

Per conto suo, invece, lo strapaesano Berto Ricci osserva come “l’italianità di Stracittà non stesse di casa né a Firenze, né a Roma né a Trieste, né a Napoli”[6]. A questo punto, pare suggerire Ricci, ogni scelta internazionalista di stracittà è coerente con la sua “ambigua” italianità.

La diatriba continua imperterrita e l’affaire Soupault non è che una punta dell’iceberg, indice dei dissapori fra strapaesani e stracittadini.



[1] C. Alvaro, M. Bontempelli, N. Frank, Lettere a “900”, a cura di Marinella Mascia Galateria, Bulzoni Editore, Roma, p. XXI.

[2] N.F., Soupalt e Ribemont Dessaignes espulsi dal gruppo dei surrealisti per aver collaborato a “900”, in “La fiera letteraria”, 19 dicembre 1926.

[3] Torcibudella, Le disgrazie di Bontempelli, “L’Italiano”, I, nn. 10-11, 15-30 luglio 1926.

[4] M. Bontempelli, Postilla in forma di lettera, in “Il Tevere”, 5 agosto 1926.

[5] C. Malaparte, Strapaese e Stracittà, in “La Fiera letteraria”, 30 ottobre 1927.

[6] B. Ricci, “Il Selvaggio”, 18 settembre 1927.

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