Editoriale

Si fa presto a dire no al proporzionale, la realtà politica però è un'altra cosa

Nell 'appello corale dei leader di partito a favore del maggioritario c'è qualcosa che non quadra:l'evidenza dei fatti

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

scanso di equivoci: non sostengo, aprioristicamente, nessuna legge elettorale in particolare. Ogni sistema, infatti, genera in me molte perplessità. Nessun impianto, tra quelli più noti, mi convince appieno, soprattutto se commisurato con la nostra storia politica e - soprattutto -  se confrontato con la nostra possibile futura rappresentanza partitica.

Ma ciò che più mi lascia perplesso in questi giorni, è l’appello corale al maggioritario (Renzi in particolare ne sta facendo una bandiera) dei vari leader. C’è qualcosa che non quadra. Se le parole hanno un senso, naturalmente. Voglio dire: se maggioritario significa ridurre al minimo il numero dei partiti o riportarli in alleanze chiare, forti e tra loro nettamente differenziate.

Bene, partiamo da destra per andare verso sinistra, in una fotografia dell’attuale scena. Storace, Menia e Poli Bortone si sono appena coalizzati in un movimento indipendente e autonomo da Fratelli d’Italia, quest’ultimi, con “Officina per l’Italia”, stanno provando ad allargare l’offerta di una casa comune a diverse famiglie del centro-destra, ma in tale ambito è appena sceso in campo Corrado Passera che probabilmente proverà a federare il mondo liberale fin ora frastagliato e privo di rappresentanza incisiva. E qui siamo - al di la delle dichiarazioni e delle legittime speranze - nel novero dei partiti che potrebbero rischiare un risultato sotto la soglia introducibile dal maggioritario.

Il Pdl è oramai scisso - benché non si possa ancora dire - tra aderenti alla nuova Forza Italia e cosiddetti governativi. Tutt’è ora capire dove andranno questi centristi. Perché anche tra gli aderenti a Scelta civica, a loro volta divisi, c’è una parte (i cattolici guidati da Mario Mauro) che attende di costituire un qualcosa con i trafughi del Pdl ancora non chiaramente autonomo (si alleerebbero con la destra? E a quali condizioni?), dall’altra (i montiani e altri non cattolici) aspettano buone nuove dalle possibili trasformazioni politiche del Pd. In sintesi direi: al centro si spera sulle disgrazie altrui, ma non legittimamente sul maggioritario.

Il colpaccio, semmai, per tutti quelli della diaspora democristiana avrebbe rilevanza e senso (sempre che dal centro si combini ancora qualcosa) se a seguito dell’assalto alla segreteria del Pd, Renzi generasse uno smottamento delle componenti interne. E qui il discorso si farebbe lunghissimo e decisamente noioso, perché - per quanto mi riguarda - ripetitivo. Che Renzi vinca tutto il banco, ancora mi lascia dubbioso e l’ho scritto fin troppe volte. In caso di sconfitta, dopo tutta la cagnara che ha generato, se ne starà buono nel suo cantuccio di capo corrente?

Ecco, arrivati a sinistra, non è che il “maggioritario o morte” assuma maggior senso. Questo sistema oggi fa gola a Renzi perché - al momento e per ragioni propagandistiche -  il suo appetito politico è onnivoro e senza fondo. Mi prendo il partito, stravinco le elezioni e mi acchiappo anche il governo. E solo il maggioritario, con premio al primo partito, gli spianerebbe la strada. Questo è chiaro.

La passione del sindaco di Firenze per il maggioritario, è dunque più sintomo di smisurate ambizioni che di riflessioni politiche ponderate e di alti ideali. Sono infatti convinto - ripeto -  che se l’animatore della “Leopolda” il prossimo otto di dicembre perdesse la corsa alla segreteria del suo partito, cambierebbe repentinamente opinione. Come di diversa convinzione sono molti maggiorenti del Pd, più consci delle loro forze o soltanto portatori di altre strategie più complesse e più politiche. Perché, poi, Sinistra e Libertà dove la mettiamo? E alla base che gli raccontiamo?

E Grillo? Beh, ognuno - al solito - vuole il sistema elettorale che più conviene al momento. Un sistema “à la carte” da giocarsi all’occasione giusta. E il comico - al meno in questo - non fa differenza.

Ma chissà quale sarà l’occorrenza opportuna, perché le sorprese sono sempre in agguato e i conti in politica spesso non tornano. Soprattutto con il Cavaliere ancora vispo e - nonostante tutto - in attività.

Ora di certo una cosa la si conosce e bene: che l’astensionismo al prossimo turno elettorale rischia di essere altissimo. Con un premio molto cospicuo al primo partito - si ricordi quel che è avvenuto in Sicilia dove è bastato 17 per cento reale per aggiudicarsi il 54 per cento dei seggi - si rischia far andare al governo un vincitore di fatto delegittimato. Al meno per il mio modo di intendere la democrazia.

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