LESSICO INATTUALE. UN CONSERVATORE DAVANTI AL PENSIERO UNICO

Il lessico conservatore di Malgieri secondo Giovanni F. Accolla

C’è un lemma, una voce, insomma, nel libro di Gennaro che, a mio avviso, è la chiave dell’opera e del mondo interiore del suo autore. E’ “Memoria”. Un autentico manifesto

di Giovanni F.  Accolla

Il lessico conservatore di Malgieri secondo Giovanni F. Accolla

Gennaro Malgieri

“... Chi è per le statue deve essere anche per le macerie.”

 

(Gottfried Benn)

  

Il nuovo libro di Gennaro Malgieri mi ha colpito per molti versi e per molte sue caratteristiche. Certo Malgieri scrive bene. Molto bene. Argomenta i suoi pensieri in modo chiaro e a tratti in maniera assolutamente persuasiva. Ma pagina dopo pagina di questo sua ultima fatica, egli per me ha smesso per me di essere uno scrittore, un pensatore lucido e intelligente. E’ diventato semplicemente un uomo del mio tempo: un uomo che, come me, è disperatamente in cerca di un senso ultimo e profondo in un’attualità che non gli appartiene, non ci appartiene. Siamo alberi ancora attaccati alla vita, solo perché abbiamo radici robustissime, ma le nostre fronde sono squassate da questo infinito vento invernale… 

Il vento della cosiddetta modernità che non ci fa scegliere i nostri problemi - per parafrasare Camus - ma che ce li fa subire.

Ecco, quindi, in fin dei conti, ciò che mi ha davvero… folgorato - lasciatemi usare questo temine giovanilistico -   è la grande porzione di intima verità che Malgieri  ha profuso nelle pagine di questo suo “Lessico inattuale”. Verità detta con pudore, come si confà ad un uomo della sua classe morale e intellettuale. Una verità sospirata come un dolore, soffiata sul mondo come il soffio della vita eterna. Questo è un libro importante perché nato dalla necessità. Ultima musa che abbia ancora un senso.

Gennaro Malgieri è un conservatore, uno dei massimi pensatori italiani di questa specie in via di apparente estensione. E allora ancor prima di tuffarmi nel suo libro, mi vien da pensare che  il pensiero conservatore tanto è più lucido e tanto è più perdente. Sarò prudente. Cosa ci sarà da conservare? Mi chiedo. Ecco cosa c’è, dopo tutto, da conservare, ciò me malgrado il tempo, dura. Il pensiero conservatore dura perché è intriso di senso tragico. E il tragico ha in sé durata. E’ come l’amore che non si misura con il tempo lineare, non si confronta né col prima né col dopo, ma con il tempo che è - appunto - durata. Il pensiero conservatore - che semplifica la vita e rende complesso il pensare - non è un sistema, ma un’attitudine dello spirito. Una visone morale dell’esistenza. E’ forma e stile. E per me forma è disciplina verso la bellezza. E’ in una parola, Dio.

C’è un lemma, una voce, insomma, nel libro di Gennaro che, a mio avviso, è la chiave dell’opera e del mondo interiore del suo autore. E’ “Memoria”. Un autentico manifesto.

“Uccidere la memoria equivale a svaligiare il futuro” scrive Gennaro e continua: “la memoria ha cominciato a svanire quando le ombre del sacro si sono ritratte alla nostra conoscenza e la rivelazione della povertà umana non ha armato le coscienze di fronte di fronte all’esposizione della sua nudità, ma ha convinto i maestri del pensiero ad ammantarla di orpelli fatui atti a dimostrare che perfino senza un passato, e dunque, senza ilo riconoscimento del Principio, poteva esserci un avvenire. Ecco i risultati dell’inveramento della menzogna nel popolo degli immemori. Le tracce del passato si sono cancellate, la didattica della ragione non prevede l’immersione nella liquidità delle origini, il sogno del futuro è abrogato dalle consuetudini che sistemano nelle menti l’orrore della memoria soltanto come etereo simbolo di scarnificati predecessori destinati ad essere dimenticati in pochi decenni. (…)”

Che sta succedendo intorno a noi? “Nulla sarà come prima” è il mantra che in questi giorni ascolto ovunque io vada: a pronunciarlo sono i politici, gli economisti, gli intellettuali. Lo ascolto al bar, al mercato. Me l'ha detto perfino il portiere…

Che cosa stia cambiando non è abbastanza chiaro, verso dove si vada, è ancora più difficile da comprendere. Ma è certo che l’apparenza organizzata per decenni (o forse più) dal potere (qualunque esso sia e sia stato) per dare al nostro quotidiano una norma, un piccolo sistema di certezze (costruito sull'assenza e il rifiuto di punti fermi), si sta frantumando. 

Questa che stiamo vivendo è una finestra temporale - inquietante e straordinaria -  in cui tutto pare svelarsi nella sua essenza. E’ la fine del mito, e nel contempo del mito della fine dei miti. Nella storia, raramente la realtà si é resa tanto palese: siamo rotolando in un tempo neutro, precipitiamo, senza scopo, in modo asciutto e lineare. Stiamo partecipando a una piccola e meschina apocalissi di corpi che hanno smarrito le loro anime.

Chissà forse è un bene. Se tutto questo disastro ci portasse all’Origine, nella sua assenza scopriremmo ciò che abbiamo perduto ridandogli valore e senso.

Forse é finito il tempo della confusione, dell'indecisione, dell'indefinito collettivo in cui il maschile si completava, gioco forza per sua debolezza, nel femminile e viceversa, in cui ogni oggetto prodotto di menti deboli somiglia ad un’altra cosa, tanto che nulla è per davvero ciò che sembra. É terminato, chissà, l'equivoco per il quale, in politica, la destra e la sinistra, una volta andate al potere, facevano una la politica dell'altra, lasciando sbigottiti e delusi gli elettori di entrambi gli schieramenti. 

Essere conservatori in questa accezione ontologica, come quella che almeno io ho individuato in Gennaro Malgieri è, tutto sommato, una promessa imperitura di fedeltà che si fa verso la bellezza: sommo conforto e struggimento individuale che germina la parte collettiva della nostra singola anima, verso forme di compassione e riconoscimento collettivo. La bellezza è uno dei pilastri sul quale si suggella il patto (a volte tacito e silenzioso) con tutti coloro che, come noi, sanno e hanno voluto riconoscere questa bellezza e a questa, in ultima istanza, si affidano.

Quella scelta da Malgieri è una strada in salita e senza certezza di arrivo. La gratificazione è nella scelta di mettersi in cammino. Ma va bene cosi, se l’andare verso un orizzonte di certezze significa pacificazione materialistica, compromesso ideologico, quiete beota. Se ha come ricompensa il confondere la propria voce al balbettio di una modernità che non solo ci esclude, ma non ci appartiene. Se significa accettare questo tempo contemporaneo che da post-moderno è divenuto irreversibilmente post-umanista, anzi anti-umanista.

Personalmente non sono un conservatore, piuttosto mi sento un rivoluzionario fallito, un anarca con un piede dentro e un altro ancora fuori dal bosco. Ma anch’io come Malgieri ho il terrore delle società che si basano su contratti sociali come unico sprone etico. Ha quasi ribrezzo per le analisi sociologiche che mettono a riparo le coscienze e nascondo l’indifferenza verso il singolo. Ne ha piene le palle - mi si passi il temine - di opinioni democratiche, neo-umanistiche, buone per ammansire gli animi. Sono stufo delle scuole e delle maestre di oggi, non ne posso più e ho disgusto per la tele-uguaglianza.

Né Malgieri, né io abbiamo mai creduto alla linea retta del progresso, né alla contemplazione muta dell’eterno e ora non vogliamo neanche un futuro addomesticato dall’accettazione del destino. Noi non siamo diversi, e diversamente non siamo la verità, non pretendiamo di esserlo, né di diventarlo. Noi a nostro modo la testimoniamo. Noi siamo semplicemente due esseri umani che pensano la vita come un bene da non disperdere al modo di un vuoto a perdere, né da trattare come un estraneo.  Il libro di Gennaro Malgieri  è, in ultima analisi, un atto di lealtà verso le parole e verso la vita. Una impavida testimonianza.

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