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Hermann Hesse

Vita avventurosa dal lago di Costanza all'India di Siddhartha

Dalla tranquilla routine di poeta piacevole alla scoperta del subcontinente che portò in Europa

di Marino Freschi

Vita avventurosa dal lago di Costanza all'India di Siddhartha

«La mia vita esteriore per un bel po' di tempo trascorse tranquilla e gradevole. Avevo moglie, figli, casa e giardino. Scrivevo i miei libri, venivo considerato un poeta piacevole e vivevo in pace col mondo. »

Sembrava tutto in ordine. Ma in realtà niente era in ordine. E Hermann Hesse, l'autore di questo ricordo, si sentiva soffocare da questa costruzione tanto perfetta da non essere più tollerabile per uno scrittore così inquieto ed esplosivo.

Dopo l'immenso e imprevisto successo di Peter Camenzind, il romanzo giovanile, Hesse aveva abbandonato la libreria, dove era commesso, si era sposato e trasferito in un casolare mezzo diroccato, senza acqua corrente né luce elettrica, ma situato su una posizione romantica sul Lago di Costanza. Ma l'idillio si sgretolò nel giro di un paio d'anni, la moglie, una raffinata pianista, discendente di una illustre famiglia di intellettuali e artisti svizzeri, cominciò a manifestare i primi segni di squilibrio. I tre figli, nati uno dopo l'altro, non aiutarono a ritrovare quel clima di distesa operosità indispensabile a Hesse per la scrittura. E allora? La fuga, la fuga dal casolare, dalla famiglia, dall'Europa verso l'India.

L'India dove era nata sua madre, dove suo padre era stato missionario protestante e dove, soprattutto, suo nonno materno aveva vissuto per decenni riconosciuto come una autorità spirituale e culturale. Il viaggio in India fu il più strano viaggio che fosse mai stato intrapreso. Infatti giunto a Ceylon, lo scrittore compì alcune escursioni, ma poi invece di proseguire per il subcontinente indiano e raggiungere il Kerala, dove era nata la madre e dove il nonno aveva composto un dizionario, ancora oggi valido, della lingua malayalam, Hesse proseguì per la Malesia e per Sumatra. E le sue impressioni sull'India furono veramente marginali.

Eppure, il seme dell'India doveva fruttificare generosamente. Tornato in Europa, Hesse trovò la forza di traslocare a Berna, di separarsi da moglie e dai figli (affidati ad amici e  a istituzioni). Ma prima di trasferirsi pubblicò, giusto cento anni or sono, Dall'India, un libro che si apre con un sogno: «"Siamo in partenza per l'Asia" ripeté mio padre, e, all'improvviso, tutto  divenne nuovamente chiaro. Dunque, partivamo per l'Asia, un posto ben preciso e pur tuttavia misterioso. Da lì avevano avuto origine i popoli, le loro dottrine, e le loro religioni; lì erano le radici di ogni saggezza, l'oscura sorgente di ogni vita umana, le immagini degli dei e le tavole delle leggi.»

Certo Hesse non mitizza sempre l'India (almeno quella che aveva percepito). Anzi spesso le sue osservazioni sono di un realismo che non lascia nulla al folclore: «Non sentivo alcun rispetto per i miserabili sacerdoti, disprezzavo le immagini sacre e i reliquari, l'assurdo oro e l'avorio, il legno di sandalo e l'argento; sentivo piuttosto una profonda pietà per il popolo dell'India, così buono e dolce».

Hesse confermò la dicotomia tra l'Occidente, attivo, dinamico, capitalistico, politicizzato, e l'Oriente contemplativo, culla della religiosità. Questo riconoscimento doveva fermentare in lui che si era violentemente distaccato dalla tradizione pietistica della famiglia, abbandonando da ribelle il seminario teologico e disprezzando in gioventù la fede dei suoi.

Eppure il disprezzo, la ribellione, la medesima fuga in India furono le stazioni di una dolorosa ricerca che doveva culminare, con la sconvolgente esperienza della Grande Guerra e con la tremenda crisi esistenziale, parzialmente risolta da un'intensa terapia psicoanalitica junghiana (trasfigurata nel romanzo Demian ), nel trasferimento in Ticino. Là in solitudine doveva cominciare un nuovo inizio che approdò in uno dei testi più fascinosi e intensi del Novecento: Siddhartha. Un libro universale, semplice piuttosto che facile, che sotto le sembianze indiane è una parabola della liberazione occidentale. Infatti, il racconto, che attinge l'apice nel meraviglioso dialogo tra il protagonista e il Buddha, indica una via tutta individuale di realizzazione spirituale, lontana da maestri, da dottrine, da rituali e liturgie, fondata sul riconoscimento della forza interiore dell'anima di liberarsi da ogni tutela, anche della più sublime, a costo di dolori e sacrifici. Con Siddhartha l'India entra in Europa e nello stesso tempo si occidentalizza: uno dei segni più fecondi della globalizzazione.      

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 24/12/2013 11:11:30

    un grazie al Canapon Professor Freschi per le notizie inedite e rare contenute nello scritto. nel mio "piccolo" appunto del Lago di Costanza che vedevo ogni dì ed ogni sera non appena mi portavo a passeggiare sulla bellissima collina di St Gallen ricordo solo lo sparuto Zeppelin che mi sorvolava sul capo, bianco come uno fuso artico, nelle lente volute fatte per far provare ai turisti d'elite in quel di Friedrichshafen la maestosa aeronavigazione, oggi ultrasicura e poggiata sui più evoluti sistemi di controlli elettronici. mi faceva leggermente sorridere il connubio tra il principio fisico d'Archimede che sosteneva il vescicone affusolato in volo lento sopra me, se ne sentiva a basso il frullìo ecologicamente smorzato delle eliche e la la ostinata ricerca dei dirimpettati germanici di forme sempre più panciute eppure penetranti nella fredda aria alpina. e i gas leggeri e ininfiammabili e i controlli elettronici e tutto il corollario della tecnologia. ero venuto addirittura a sapere che i voli accetavano ristrettissimi gruppi di passeggeri ad altissimo costo del biglietto perchè, mi si diceva, l'emozione del viaggio in dirigibile è insuperabile. del poeta Hesse in quel soggiorno mi era venuto in mente di studiarne solo l'opera pittorica, gli acquerelli e alcuni oli. erano quelli d'un dilettante ma geniale. molto belli e poetici quando non troppo puerili nelle decorazioni in margine ai suoi manoscritti. del resto non ricordo nulla. mi piaceva molto di più passeggiare per i viottoli della campagna senza pensare a poeti in cura analitica o immersi in questioni indiane. scrivo così perchè avevo letto la prima pagina d'un volumetto dello Hesse, il Siddharta, ma dopo quindici riighe lo avevo richiuso. e il libretto avuto in regalo dalle solite donne a corto di fantasia l'avevo immediatamente scambiato. ora che da Vienna mi hanno inviato in regalo dei vecchi volumetti del poeta Weinheber leggo con molto maggior profitto la poesia di quest'ultimo. e scopro in Weinheber non solo un poeta filosofo di rango assai notevole, ma in contatto colla sua casa natale, mi hanno fatto conoscere via copie i disegni e i quadri di questo geniale interprete del fato austrogermanico. se non ci reincontriamo presso qualche altro commento, fuori dalle trite e ritrite convenzioni sempre più stanche, un augurone a tutti per questo Natale sotto l'albero.

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