Editoriale

Auguri, ragazzi! Sognando una favola di Natale alla maniera di Guareschi

Nessun mito giovanilistico, ma un augurio sincero alle generazioni cresciute in un'Italia dove si è fatto terra bruciata di valori e ideali

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

a melassa natalizia piomba a tonnellate, nauseabonda e consumistica come sempre. Non perché ci sia qualcosa di male nello scambiarsi doni , quando siano veramente sentiti e non sconquassino il già pericolante bilancio familiare: il fariseismo talebano delle  “fatwa” contro i regali  natalizi è altrettanto odioso e ridicolo della corsa a spendere l’ultimo centesimo pur di fare un regalo anche al gatto della prozia ma soprattutto a comperarsi l’ultima stupidaggine più o meno elettronica, purché firmata e di moda.  

E perché quello che dovrebbe essere un giorno dedicato prima di tutto alla spiritualità e al proprio rapporto con il Trascendente si rivela sovente una giornata finalizzata a star male di stomaco, ad annoiarsi in compagnia di parenti sgraditi o sgradevoli  e a non vedere l’ora che finisca. Non è colpa del Natale, certo, ma del degradarsi dell’istituto familiare; se per piacere a Mohammed e a Mustafà si sopprime il presepe e si dimentica che Natale è prima di tutto una festa della famiglia, sacra e terrena  (e per il non, o diversamente credente, solo terrena, ma  che senza un riferimento al Cristianesimo perde comunque di significato) è allora inevitabile che le bocche si aprano solo per ingoiare e per sbadigliare.

Sono, se si vuole, cose fritte e rifritte. Consoliamoci con Papa Bergoglio, che sta demolendo quel poco di misticismo e di senso del sacro che il precedente pontificato era pazientemente riuscito a ricostruire:  se la Chiesa deve essere solo un ospedale da campo, perché preoccuparsi dei valori morali e spirituali? E questo non perché la solidarietà, specie verso gli ultimi ,sia un fattore trascurabile per un cristiano o per qualsiasi persona con un minimo di cuore: ma a parte il fatto che Sua Santità non farebbe male a ricordare che gli ultimi in questione  non si trovano solo a Lampedusa o nei barconi, ma anche nei tanti, troppi Italiani ingoiati e stritolati nelle fauci di un sistema spietato che miete soldi solo per ingrassare la più sconcia delle caste politiche che si siano mai viste nel nostro paese e nel nostro continente, la Chiesa non può comunque essere solo solidarietà, ma anche e soprattutto spiritualità; anzi, la prima cosa è o dovrebbe essere conseguenza dell’altra, anche perché le opere benefiche le fanno pure altri, ma il contatto con il Trascendente no; e ridurre Dio a un personaggio qualunque, davanti al quale anche il pontefice inizia a non inginocchiarsi, non ha mai avvicinato l’uomo al suo creatore, ma gli ha anzi suggerito l’idea  di essere come lui, se non addirittura migliore. In fondo, cosa sibilò il serpente malefico ad Adamo ed Eva? Sarete come Dio … Pranzare con qualche barbone è sicuramente un meritorio atto di carità, soprattutto se fatto, come raccomandava il Vangelo, nel  segreto e nel silenzio e non sotto i riflettori; ma inginocchiarsi davanti a Dio è un atto di vera umiltà, questo sì da fare in pubblico e a titolo di esempio!

Ma per l’appunto è Natale e non dovrebbero partire messaggi di critica, rancore o peggio odio, anche se la situazione di oggi porterebbe  augurare a Letta,  Alfano Napolitano e compagnia pessima  che probabilmente credono e adorano devotamente solo gli scranni a cui stanno avidamente incollati come zecche su un cane in fin di vita, tutto il peggio che si possa immaginare: per loro, semplicemente, la perdita di ogni potere e magari dover lavorare sul serio anche un solo giorno. Ma è più facile credere alla Rosy … ehm alla befana che a un simile miracolo.

Vengono in mente le bellissime “favole di Natale” che scriveva il grande Giovannino Guareschi negli anni Cinquanta del secolo scorso, in un periodo certo duro e con una Italia ferita e piagata dal conflitto mondiale e dalla guerra civile: storie spesso tristi, ma sempre venate da un fondo di speranza nella propria gente, in quei valori tradizionali che  ancora permeavano almeno una parte della società del tempo: speranza negli italiani o perlomeno nei migliori di essi.

Così lo stupendo La notte dei miracoli, dove una vigilia natalizia che per un ex ufficiale reduce di guerra senza lavoro e senza speranza, ferito sin nella propria dignità di padre e di marito, potrebbe essere l’ultima della sua vita si trasforma finalmente, grazie a un incontro miracoloso,  nel momento tanto atteso del proprio riscatto.

Oggi però, quella società non c’è più e soprattutto non ci sono più personaggi come Guareschi.  In cosa può sperare dunque il nostro paese?

Nelle nuove generazioni. Non in tutti, certo: non nei discotecantropi abbruttiti, prima che dalla droga e dall’alcool, dal vuoto delle proprie scatole craniche, meri  supporti per le rispettive pidocchiere; non nei “tipi alternativi” da centri sociali e neppure negli yuppini devoti al portafoglio paterno e ai cellulari di ultima generazione. La  nostra speranza sono i ragazzi: quelli che non disdegnano ogni tanto una sbronza in compagnia (ma senza poi andare a schiantarsi con l’auto)  o una serata a ballare, che sanno ridere e vivere il motto laurenziano “quant’è bella giovinezza”. Ma che sanno anche che la vita non è solo questo e affrontare le difficoltà con il sorriso sulle labbra, stringere i denti e scuotere la testa davanti all’idiozia, all’opportunismo e al menefreghismo imperante.

Non saranno tantissimi, ma ci sono e malgrado le fregnacce di compagnucci e democratici di infimo livello, la storia sono sempre state – in bene e in male - le élites a farla, magari con le masse come … massa di manovra. Ragazzi ciascuno con le proprie idee, magari diversissime tra loro, ma comunque capaci di dire no a una “okkupazione” soprattutto quando non se ne condivide il motivo, di reagire al degrado della scuola restaurando la propria aula invece di vomitarci dentro durante una pseudo protesta; o di affrontare un esame “di maturità” con la più stupida, gretta, ignorante e carogna delle commissioni immaginabili senza vittimismi, pannolini o  mamme panzer, ma forti comunque della loro preparazione e sapendo che una volta usciti di lì avranno modo di dimostrare chi sono. E che se stanotte o domattina andranno a messa, lo faranno perché ci credono (anche se magari non ci vanno spesso) e non solo perché a Natale fa fino o perché “almeno una volta l’anno ci si deve andare”, vestiti  di nuovo, con il miglior sorriso beota sulle labbra e pronti a tirare accidenti al vicino di panca. 

A questi ragazzi si deve davvero fare gli auguri: che sappiano rimanere fedeli a se stessi, alla loro formazione, alla loro forza interiore.  Sarebbe bello sognare,  nello stile del grande Giovannino, una nuova favola di Natale: il paese in mano a loro, finalmente rinnovato e rigenerato. Auguri ragazzi, e anche se non se lo merita, fate l’immenso dono alla generazione  “adulta” di oggi (ma prima di tutto a voi stessi) di realizzare questo sogno.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 24/12/2013 13:04:18

    evviva il nostro Canapon Professor Del Nero che ci ricorda la favola di Natale del fantastico GG! che bello! siamo in quel di Sandbostel il Natale 44 e im prima fila l'ottuso ufficiale tedesco comandante del campo ride felice come solo lo posson fare gli scemi all'apparire d'un personaggio insulso e idiota che non immaginava nemmeno di lontano esser stato inventato da Guareschi proprio pensando a lui comandante... perchè non scriviamo anche noi di Totalità un bel dramma di Natale e ci ficchiamo drento tutta la pretaglia dedita alle gozzoviglie caritatevoli? alla solidarietà battuta come un cencio smesso perchè priva di Spirito? ma non vi allarmate: sono io che mi voglio divertire a scribacchiare qualcosa qui su Totalitas, il nostro diario quotidiano. io comunque stanotte prenderei tutta la pretaglia a liturgiche pedate in .... . come augurio di Natale diciamo. senza anticlericalismi preconcetti. tanto l'albero cresce lo stesso e siam noi che lo dobbiamo adornare di belle luci. ma vi avviso: non siete obbligati a parteggiare le mie smargiasserie.

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