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Una leggendaria ghostwriter

Ronald Reagan e Peggy Noonan, il braccio e la mente

Come si crea un Presidente. È vero che negli USA la carica trasforma l'uomo, ma solo se lo staff è eccellente

di Ivan Buttignon

Ronald Reagan e Peggy Noonan, il braccio e la mente

Non tutti sapevano che dietro le sapienti movenze e la magistrale interpretazione (non più attoriale) di Ronald Reagan ci fosse una grande ghostwriter: Peggy Noonan. Il culmine della sua carriera si dispiegò nel cosiddetto discorso di «Pointe du Hoc» di Reagan, pronunciato il 6 giugno 1984, nel quarantesimo anniversario del D-Day dalla impressionante fortificazione che domina su Omaha e Utah Beach e che i soldati dell'esercito americano attaccarono durante l'operazione Overlord. Il discorso è un denso intreccio di efficace retorica.

Reagan si rivolge a una folla di veterani sulla scena della loro battaglia più disperata, solleticando le loro emozioni e commutandole in un ammonimento sulla sua visione della Guerra fredda. Crea così un legame tra il momento storico della battaglia contro la tirannia del 1944 e il momento dell’esposizione del discorso. La pressione emotiva passa quindi dal D-Day allo scontro bipolare della Guerra fredda, che com’è noto si stava ormai esaurendo.

Reagan, convinto da sempre che la Guerra fredda fosse una battaglia dalla gravità equiparabile alla Seconda guerra mondiale a Pointe du Hoc intende commemorare i caduti in tono politico.

La stessa autrice del discorso si lamentò che nel processo di editing «il discorso stava perdendo parte del suo valore letterario per risparmiare tempo e continuavano a spingere dentro politica dell'ultimo minuto e io continuavo a tagliare righe per fare spazio»[1].

Ecco l’eccelso start-up del discorso di Reagan:

«Siamo qui per marcare quel giorno nella storia in cui le forze alleate si unirono in battaglia per riconsegnare a questo continente la libertà. Per quattro lunghi anni l'Europa era stata sotto un'ombra terribile. Le nazioni libere erano cadute, gli ebrei gridavano nei campi di sterminio, milioni chiedevano a gran voce la liberazione. L'Europa fu resa schiava, e il mondo pregò per salvarla. Qui in Normandia il salvataggio ebbe inizio. Qui gli Alleati si trovarono e combatterono contro la tirannia in un'impresa enorme senza precedenti nella storia umana».

«Milioni chiesero a gran voce la liberazione» rappresenta senza dubbio un’eco delle parole incise sulla Statua della Libertà «genti che si accalcano e anelano a respirare libere» .

Ancora: «Siamo qui in un punto isolato e ventoso della costa settentrionale della Francia. L'aria è leggera, ma quarant'anni fa in questo momento, l'aria era densa di fumo e di grida di uornini, l'aria era piena degli scoppi delle scariche di fucile e del frastuono dei cannoni».

Qui siamo in presenza dell’enargia, ovvero la figura retorica che indica la tensione dell’oratore a suggerire l’immagine di una scena o di una persona talmente vivida che il pubblico ha la sensazione che questa sia effettivamente di fronte ai propri occhi.

Il discorso continua così: «I ranger guardarono in alto e videro i soldati nemici, che dal bordo delle scogliere sparavano con le mitragliatrici e lanciavano granate. E i ranger americani cominciarono ad arrampicarsi. Gettarono scale di corde sulle pareti delle scogliere e cominciarono a spingersi verso l'alto. Quando un ranger cadeva, un altro prendeva il suo posto. Quando una corda veniva tagliata, un ranger ne prendeva un'altra e cominciava nuovamente a scalare. Scalavano, rispondevano al fuoco e mantenevano il passo. Presto, uno a uno, i ranger si spinsero in cima, riconquistando la terra ferma in cima a queste scogliere, cominciarono a riconquistare il continente europeo. Vennero qui in duecentoventicinque. Dopo due giorni di battaglia solo novanta imbracciavano ancora le armi».

Il ritmo che scandisce queste frasi assume, negli intenti della Noonan, una dura avanzata, coerentemente con il contenuto del testo.

Quindi «Dietro di me c'è un monumento commemorativo che simboleggia i pugnali dei ranger che furono conficcati in cima a queste scogliere. E di fronte a me ci sono gli uomini che li misero là. Questi sono i ragazzi di Pointe du Hoc. Questi sono gli uomini che presero le scogliere. Questi sono i campioni che aiutarono a liberare un continente. Questi sono gli eroi che aiutarono a porre termine alla guerra. Signori, io vi guardo e penso alle parole della poesia di Stephen Spender. Voi siete uomini che nelle vostre “vite combatterono per la vita... e lasciarono nell'aria vivida il segno del loro onore”».

Questa è la fase più drammatica del discorso. L'amplificazione anaforica in quattro parti, vale a dire la ripetizione di “Questi sono”, è seguita da un'apostrofe, in cui il relatore si rivolge ai veterani stessi.

La circonlocuzione «I ragazzi diPointe du Hoc» tocca il cuore perché famigliare, non appare presidenziale, bensì fraterna. E diventa ancora più commovente perché loro erano ragazzi. I ragazzi, vivi e morti, sono trasportati da quarant’anni prima e resi vivi nel qui e ora. La Noonan racconterà poi si sia trattato di un «furto felice» da un memoirsul mondo del baseball intitolato “The Boys of Summer”[2].

Reagan fu senza dubbio un maestro della rottura dello stile. In questo discorso passò da un mood evocativo, poetico e mellifluo della «libertà» a un tono fraternamente e affettivamente colloquiale.

Verso la fine, il Presidente degli Stati Uniti sentenzia: «Qui, in questo posto dove l'Occidente fu tenuto insieme, lasciateci fare un giuramento ai nostri morti». Il pubblico presente, di fronte ai ragazzi di Pointe du Hoc seduti proprio lì a osservare a uno a uno gli astanti, non ha scelta se non quella di unirsi al giuramento di Reagan.

In What I Saw at the Revolution, la Noonan, ricorderà: «Anni più tardi Ronald Reagan si girò verso di me e disse, con malinconia: 'Sai, un tempo li scrivevo io i miei discorsi'»[3].

Evidentemente è andata meglio così. Ronald Reagan il braccio, Peggy Noonan la mente[4].

 



[1] P. Noonan, What I Saw at the Revolution, Random House, 1990, p. 107.

[2] Ibidem, p. 131.

[3] Ibidem, p. 155.

[4] S. Leith, Fare colpo con le parole. Trattato spregiudicato di retorica da Aristotele a Obama, Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore), Milano, 2013, pp. 274-282.

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