Editoriale

La tecnica del colpo di stato

La vera eversione è distrarre gli italiani dai problemi importanti dell'Italia che devono essere affrontati immediatamente, prima di tutti il lavoro

Antonio Lombardi

di Antonio Lombardi

Presidente Alleanza per il Lavoro Network

alk show, tribune politiche, giornali e notiziari di questi giorni traboccano di inchieste e commenti sui presunti contatti nell'estate del 2011, quindi ben cinque mesi prima della nomina del Prof. Monti a Palazzo Chigi, tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex Presidente del Consiglio.

Nel delirio collettivo che una notizia come questa può generare (solo nel mondo politico però, perché gli italiani sono sicuramente concentrati su problemi ben più concreti in questo periodo, come per esempio tirare a fine mese) c'è chi grida allo scandalo, chi prospetta l'opportunità di aprire una procedura di impeachment per Napolitano, chi denuncia sdegnato vergognosi atti di mistificazione e chi parla addirittura di blitz dei poteri forti o di colpo di stato.

Poteri forti? Colpo di stato? Sorrido mentre mi torna in mente il ricordo di una vecchia canzone degli anni settanta di Stefano Rosso, “Colpo di Stato”. Quale colpo di Stato se lo Stato qui non c'è!

Che sia l'ennesimo tentativo di distogliere l'attenzione pubblica da problemi ben più seri, che non si ha nessuna intenzione di risolvere, lo abbiamo  pensato probabilmente tutti.

Si continua sterilmente a girare attorno a questioni vuote e a discorsi inutili invece di rimboccarsi le maniche e provare a rimettere in moto un sistema asfittico fermo, ormai da anni, su un binario morto.

Mentre i Premier si susseguono ormai con una velocità da primato, lo Stato, quello vero, è sempre più assente e i problemi del paese rimangono lì, dove sono stati lasciati, nelle pieghe di una Nazione che sta annaspando e in cui i disservizi e le inefficienze sono talmente tanti e macroscopici, che si avrebbe solo l'imbarazzo della scelta su dove cominciare a intervenire.

Come in un film comico apprendiamo che a causa delle copiose piogge dei giorni scorsi, nel Tribunale dei Minori di Roma migliaia di fascicoli sono andati persi perché gli archivi erano completamente allagati. I fascicoli, si intende, che non erano stati ancora mangiati dai “topolini” che avevano precedentemente invaso i locali. Volendo fare della facile ironia potremmo dire che la giustizia italiana è andata in pasto ai topi. Personale insufficiente, locali fatiscenti, lungaggini processuali a dir poco sconcertanti, sono solo alcune delle specialità del nostro sistema giudiziario.

A Palermo si sfiora la tragedia. Crolla il soffitto di una scuola elementare ferendo, lievemente per fortuna, quattro bambini e la Preside si affretta a negare la gravità di quanto accaduto “non è successo nulla” dice e anzi minaccia di denunciare per procurato allarme i mezzi di informazione.

Saltano fuori dati agghiaccianti sulla sicurezza nelle scuole italiane e nonostante gli allarmi   lanciati da anni nel nostro Paese - una scuola su due non è a norma - i nostri governatori non si degnano neanche lontanamente di intervenire attendendo probabilmente la prossima tragedia, già annunciata. Ma intanto, coerentemente, si riducono i fondi ministeriali per la scuola pubblica e, neanche a dirlo, aumentano i contributi scolastici a sostegno delle spese degli istituti, dalla primarie alle superiori, a carico dei  genitori. Si va da 60 euro fino ad arrivare punte di 300 e più, a seconda degli istituti. Contributi non obbligatori ma vincolanti, ci tengono a sottolineare con un mirabile espediente linguistico gli addetti ai lavori, come se davvero cambiasse qualcosa.

Il nostro è un Paese tartassato dalla pressione fiscale all'inverosimile, tasse da Svezia ma disoccupazione da Grecia secondo la fotografia del Rapporto Istat - Noi Italia - ma con la civilissima e iper-organizzata Svezia non abbiamo, purtroppo, davvero nient'altro in comune.

Lo stato di deprivazione colpisce più di sei milioni di famiglie, a ciò si aggiunge che un pensionato su due (il 46,3%) può contare su un reddito pensionistico inferiore ai mille euro.

Ripensandoci, forse l'unica cosa davvero invidiabile che ci rimane è il coraggio, il coraggio di chiamarlo Stato.

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