Le parole della politica

Irritualità e magistrale aggressività del discorso di Al Smith governatore di New York

Straordinaria modernità un secolo prima del premier Renzi

di Ivan Buttignon

Irritualità e magistrale aggressività del discorso di Al Smith governatore di New York

Alfred “Al” E. Smith

Alfred “Al” E. Smith rappresentò la figura di un politico straordinariamente dotato che, costretto a lavorare dalla tenera età di 14 anni per sostenere una famiglia senza padre, divenne governatore di New York nel 1919.

Ed è proprio da governatore di New York che si ritrovò attaccato formidabilmente da William Randolph Hearst, magnate della stampa, legato a doppio filo ai poteri finanziari statunitensi e non solo, nonché tra gli uomini più potenti del paese. Questi attaccò Smith perché si rifiutò, su consiglio dello stesso Hearst, di abbassare il prezzo del pane. Il magnate della stampa lo accusò allora di far morire di fame i bambini.

Smith non ci vide più e sfidò l’accusatore a un confronto pubblico in occasione di un incontro richiesto da un comitato di cittadini alla Carnegie Hall. Hearst rifiutò di presentarsi e il governatore di New York ebbe il palco tutto per sé. È da lì che partì al sonoro attacco.

Chiedendo assoluto silenzio per l’importanza dei concetti che sarebbero seguiti, e dopo aver spiegato al pubblico “Conosco bene quell’uomo e so che non ha neppure il fegato di presentarsi”, iniziò in questo modo altisonante con tanto di appello all’ethos, esprimendo solenne condivisione: “Sento di essere qui questa sera per una missione, la più importante che io possa intraprendere, non solo per me ma per questa città, questo stato, questo paese”. In questo modo il relatore costruì una solida alleanza fra i propri interessi e quelli del suo pubblico, e fra i loro interessi e qualcosa di più grande. Si nota l’amplificazione in corrispondenza al tricolon, figura retorica che rappresenta una serie di tre unità di discorso messe in fila (da sempre un pezzo forte della retorica), “questa città, questo stato, questo paese”, e attraverso l’iperbole “missione”.

Ecco allora che Smith rivolge il suo attacco, più rovente che mai, contro Citizen Kane, che ha perpetrato quello che Smith chiama “il più grande abuso di potere della stampa che sia mai stato compiuto da un giornale o da un individuo nella storia del paese”. E ancora “Non posso pensare a un uomo più spregevole”.

Dimostrandosi esterrefatto dell’accusa di Hearst, così continua:

“La mia capacità immaginativa non riesce a entrare nella prospettiva mentale di un uomo più spregevole di chi strumentalizza i poveri. Qualsiasi uomo che ti porti a credere che il tuo posto nel mondo non va bene, qualsiasi uomo che tiri fuori dal cilindro una lamentela immaginaria contro il governo o contro l'uomo alla sua guida per vantaggio personale, nutre i germi dell'anarchia e del malcontento più disastrosi per il benessere della comunità in cui si trova che qualunque altro insegnamento al quale si possa pensare, perché, almeno, l'anarchico più sfrenato, il socialista più estremo, il radicale più furioso che potete immaginare può farsi che sia se non altro sincero nel suo cuore.”

Lo spauracchio dell'anarchia e del socialismo (implicitamente, anch'essi falsi amici dei poveri) viene accostato allo stesso Hearst, che risulta peggio degli anarchici e dei socialisti, perché sia cattivo che bugiardo. Si profila qui un classico atteggiamento antiretorico.

Smith continua: “Egli [il radicale più furioso] può pensare pure di aver ragione quando predica. Ma l'uomo che predica ai poveri di questa o di qualsiasi altra comunità lo scontento e l'insoddisfazione per il suo vantaggio e per mettere in buona luce la sua argomentazione e distruggere, come egli stesso ha detto che avrebbe fatto, il governatore dello stato, è l'uomo più ignobile e meschino che io possa concepire”[1].

Notiamo le amplificazioni: la simpatica sinonimia allitterativa («lo scontento e l'insoddisfazione», che in inglese suonano “discontent and dissatisfaction”) accostano il parallelismo “per il suo vantaggio e per mettere in buona luce la sua argomentazione”.

Osserviamo anche come Smith usasse con parsimonia il nome di Hearst, definendolo invece “l’uomo che...”: figura retorica dell’antonomasia.

Insomma, più che un discorso. Un concentrato di corrosiva ed efficace retorica[2].

Dopo quasi un secolo, l’attacco di Al Smith è attuale e paradigmatico. Il dibattito presenta sempre una parte presente e una assente; una attiva e l’altra passiva; rispettivamente, una vincente e l’altra soccombente.



[1] B. McArthur (a cura di), The Penguin Book of Twentieth-Century Speeches, Viking, 1992, pp. 81-83.

[2] S. Leith, Fare colpo con le parole. Trattato spregiudicato di retorica da Aristotele a Obama, Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore), Milano, 2013, pp. 262-265.

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