Editoriale

Mentre vince l’Oscar, la grande bellezza italiana muore ogni giorno

Si sbriciola un patrimonio artistico di cui nessuno si occupa e che potrebbe rappresentare il riscatto economico di un Paese in ginocchio

Daniel Borselli

di Daniel Borselli

olby Theatre di Los Angeles, ore 3.49: in quella che, da queste parti e non solo, è probabilmente una delle notti più attese dell'anno, l'Italia torna sul tetto del mondo - mediatico, almeno - grazie alla conquista da parte di Paolo Sorrentino dell'ambito premio Oscar per il miglior film straniero.

Il regista napoletano, accompagnato dal suo "divo" Toni Servillo e dal produttore Nicola Giuliano, si vede consegnare la statuetta dall'attore Ewan McGregor quindici anni dopo la storica vittoria di Roberto Benigni (con La vita è bella) e l'altrettanto celebre siparietto che coinvolse una commossa Sophia Loren e un'improbabile scalata delle poltrone del teatro. La grande bellezza, vincitore annunciato di quest'anno dopo i successi ottenuti ai Golden Globe e ai Bafta, ha contribuito a riportare il cinema italiano all'attenzione internazionale, e, guardando in casa nostra, ha rispolverato un tema tanto centrale da sembrare scontato: la bellezza, appunto.

Negli ultimi mesi, il titolo della pellicola è divenuto quasi un'espressione formulare, un modo di dire: intorno al film - e, più in generale, attorno al tema su cui esso si incardina - si è sviluppato un passaparola la cui eco è stata ingigantita da un presupposto fondamentale, sebbene scomodo, e cioè che prima, bene o male, di bellezza si parlava molto poco. La pressoché totale assenza precedente dell'argomento dai nostri discorsi ha fatto sì che, nel momento in cui questo ha cominciato a comparire sulla bocca di tutti (si potrebbe dire, forse esasperando i toni, che sia diventato di moda) il suo suono, moltiplicato da migliaia di belanti e ripetitive voci, sia rimbombato come un'autentica esplosione.

Tutto questo, per quanto rimanga avvertibile il sapore amaro della poco cosciente e sincera omologazione, avrebbe potuto assurgere ad una funzione decisamente positiva, ossia quella di una scintilla che facesse finalmente scoppiare un fuoco di rinnovato interesse intorno ad una tematica dimenticata. Ciononostante, il clamore suscitato dal film, il dibattito che si è effettivamente riacceso nei confronti delle problematiche legate al nostro patrimonio culturale e l'uso inflazionato del titolo dell'opera di Sorrentino non ci sembra abbiano condotto da alcuna parte, se non, come d'italica malsana abitudine, al tentativo di cambiare tutto per non cambiare nulla (niente di nuovo, almeno finché qualcuno non deciderà di smacchiare pure il Gattopardo).

Tanto in fretta è divampata la fiamma della grande bellezza, quanto facilmente non è stato fatto alcunché di concreto per valorizzarla. Intendiamoci, il valore della pellicola fresca vincitrice dell'Oscar non si discute, né sarebbe corretto criticare in toto i suoi estimatori: per fortuna nel nostro Paese c'è ancora chi apprezza l'arte (e sarebbe utile, ogni tanto, ricordarsi che il cinema è, o dovrebbe essere, proprio questo). Piuttosto sgomenta l'ennesima dimostrazione di ipocrisia di quelle masse obbedienti che hanno trovato nella democratizzazione dell'arte l'occasione di sentirsi qualcuno (o, sarebbe meglio dire, qualcun altro), secondo un perbenismo e un conformismo nuovi eppure già stantii.

Delude assistere ad un'edizione del festival di Sanremo che si professa incentrata sul tema della bellezza e più volte cita esplicitamente il film di Sorrentino, ma poi propone orrori di ogni genere: dai brani - onestamente inascoltabili, ancora una volta - agli ospiti - spesso presi in prestito da un museo archeologico -per arrivare soprattutto all'impalpabile conduzione di Fabio Fazio, incapace di risollevare degli ascolti da record negativo. [1] Lascia l'amaro in bocca persino il monologo di Luciana Littizzetto, che per parlare di vera bellezza si schiera contro le chirurgie plastiche in un teatro in cui le prime tre file denunciano un tasso di silicone da effetto serra: certo, è importante sensibilizzare il pubblico su tematiche delicate come quella dei bambini down, e non c'è occasione mediaticamente migliore di quella offerta dal palco dell'Ariston. Però forse proprio quell'occasione, proprio quel palco potevano essere sfruttati anche in un altro modo, per sensibilizzare il pubblico su un tema altrettanto importante. E cioè che nelle stesse ore in cui l'Academy premiava Sorrentino con la statuetta dorata a Pompei si è registrato il terzo crollo in tre giorni di una parte degli scavi .[2] 

E mentre negli Stati Uniti riconoscono la nostra grandezza artistica, in Italia, ossia il Paese che vanta il maggior numero di siti riconosciuti come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO ,[3]ci dimentichiamo la ricchezza che quotidianamente calpestiamo, allo stesso modo in cui, distrattamente, si lascia una pentola sui fornelli. A dispetto dell'ingente numero e valore dei nostri siti culturali, i nostri musei non sono i più visitati nel mondo, e i nostri stessi ragazzi crescono senza avvertire il bisogno di usufruirne.

Sì, è vero che i citati crolli a Pompei sono fatti successivi alla kermesse sanremese, ma non sono sicuramente gli unici casi di testimonianze del degrado e dell'abbandono in cui versano i nostri beni culturali. Il discorso che si potrebbe fare al riguardo è talmente ampio da risultare scoraggiante e spaventoso, ma ogni tanto, anziché glorificarci senza cognizione di causa, bisognerebbe affrontare anche le questioni più spaventose e scoraggianti, altrimenti si finisce per dare in pasto, come nel caso del Festival della Canzone Italiana, quei "panem et circenses" utili a distogliere lo sguardo dalle vere fonti di preoccupazione e dagli autentici problemi.

Non ci si deve soltanto raccontare che la bellezza c'è, ma bisogna insegnare come tutelarla; non è necessario attaccare le pur discutibili abitudini estetiche di chi decide di ricorrere alla chirurgia per cambiare il proprio aspetto, ma ricordare come voler bene o almeno rispettare la propria cultura: perché soltanto un idiota sputerebbe nel piatto in cui mangia, o volterebbe lo sguardo di fronte al crollo di una parete di casa. D'altronde è proprio questo il problema della bellezza, quando è troppo grande: che finiamo per darla per scontata, immediatamente fruibile com'è, e perde ogni interesse. In tutto questo desolante panorama, non sbalordisce allora che, poco distante dalla Napoli ricordata da Sorrentino come fonte di ispirazione, il sito di Pompei stia crollando, un pezzo alla volta.

A proposito, il neoministro Dario Franceschini ha esultato su Twitter per la vittoria dell'Oscar del cinema italiano ;[4]speriamo si ricordi che martedì ha una riunione operativa d'emergenza per la questione Pompei...



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