L’arte suprematista di Malevič

Il nesso che congiunge fra loro l’arte ellenica e l’arte russa, tanto quella aristocratica che quella popolare

Queste composizioni di pure figure della geometria sono definite in virtù dello spirito che le anima...

di Piccolo da Chioggia

Il nesso che congiunge fra loro l’arte ellenica e l’arte russa, tanto quella aristocratica che quella popolare

Campa di vita sottile ma persistente il nesso che ai miei occhi congiunge fra loro l’arte ellenica e l’arte russa, tanto quella aristocratica che quella popolare. È pel tramite dell’ impero bizantino che si ravviva fin dall’epoca del principato di Moscovia un culto antico diffuso capillarmente dalla religione ortodossa e non solo limitato all’estetica delle forme ma volto pure al loro aspetto di simbolo. In accordo con il fatto che le forme non sono che l’espressione visibile di un qualcosa che ha radice nell’invisibile. Questo nesso con l’Ellade ritorna pure nell’arte suprematista di Malevič, le cui composizioni pittoriche di rettangoli, quadrati, cerchi e altre figure canoniche della geometria che navigano come satelliti su di un fondo bianco manifestano un’indomita tensione all’architettura armonica del complesso. I colori di queste figure sono sempre sgargianti: i tre primari, blu, rosso e giallo non versano in ambiguità, e ad essi si accompagnano i verdi ed il viola sul candore assoluto ed egemonico del fondo. Con una gerarchia e tecnica di sovrapposizione di colori che paiono rammentare quanto era stato codificato per le tinte da usare nelle icone dell’ortodossia cristiana. A volte il nero si impone per forme di alto rilievo quali il famoso quadrato che il Russo definisce con una formula nascente, tale da frantumare le vetuste definizioni che abbiamo dovuto subire sugli abbecedari della scuola: “il quadrato è un vivo infante reale.” Dove trovare una formula più lirica per una figura così elementare?

Queste composizioni di pure figure della geometria sono definite in virtù dello spirito che le anima, dal Malevič stesso, con l’aggettivo che non dissimula per nulla un aspetto di ordine gerarchico: suprematiste. Esse possono in alcuni casi rammentare le decorazioni a vivi colori delle arcaiche architetture elleniche, ritmate dal ripetersi intermittente, come in un verso allitterativo, di rettangoli, quadrati, intrecci a svastica di linee, corone circolari e cerchi stagliati sui muri chiari. L’ordine apollineo adombrato dalla bellezza e armonia delle composizioni suprematiste del Russo è così invulnerabile e sovrano da ammettere e “volere” il caos che si rappresenta nel disordine in cui fluttuano le figure geometriche sparse sul mare bianco, o nelle volute irregolarità dei quadrati tracciati senza riga e squadra, o nei tozzi rettangoli. Un caos volto in realtà a dissimulare per riaffermare, con giuoco non facile e ingannevole, l’ordine apollineo stesso.

“L’infinito bianco suprematista permette al raggio della vista di procedere senza incontrare un limite” scrive Malevič nel precisare il senso del fondo candido delle sue composizioni. Questo infinito bianco raffigura lo spazio interminato nel quale gli elementi geometrici che ne costituiscono la decorazione sono gli astri e il tutto diviene la rappresentazione allegorica di un cosmo. Vi è da chiedersi se qualcosa di quest’arte suprematista, così semplice negli elementi di cui si costituisce eppure così raffinata nel senso ultimo, sia stata assimilata anche dall’arte popolare russa. A suo tempo durante la rivoluzione qualche isba venne decorata di quadrati e triangoli e strisce colorate suprematiste. E così fu pure per qualche vagone di treno. Gli effetti, giudicati dalle sbiadite immagini rimaste, parevano promettenti. Si troverà un giorno un kowsch, il tradizionale mestolo del folclore russo dal quale i paesani e gli zar hanno bevuto o l’acqua o l’inebriante kvas, sormontato da un aquilotto stilizzato da soli rettangoli e triangoli suprematisti in luogo di quello finemente inciso nel legno da artigiani lungo i secoli? Se questo avviene il suprematismo scampa per davvero all’oblìo.

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