Una finestra sulla storia

La verità politologica sull’intransigentismo fascista

Capita sovente che la Sinistra fascista, poco rappresentata a Roma, si schieri contro i presunti estremisti che a Roma vivono da nababbi recitando da commedianti in Parlamento

di Ivan Buttignon

La verità politologica sull’intransigentismo fascista

Fuori e dentro al Partito Nazionale Fascista agiscono diversi gruppi, più propriamente definite macrocomponenti. In primo luogo i conservatori, vale a dire la destra, propensi alla conquista dello Stato in chiave autoritaria attraverso il Parlamento, senza quindi rivolgimenti di sorta. La seconda macrocomponente è quella dei revisionisti, capeggiata da Giuseppe Bottai con la sua “Critica Fascista”, ma seguita anche da Augusto De Marsanich, Massimo Rocca e le riviste come “Nuovo Paese”, “Epoca” e “Il Corriere Italiano”[1]. Ad affiancare i revisionisti, con un pizzico di carica rivoluzionaria in più, intervengono “La Rivoluzione Fascista” a Pisa e poi a Firenze, diretta da Gherardo Casini e da Nino Sammartano; “La Montagna”, di Bruno Spampanato a Napoli; la “Grande Italia”, di Guido R. D’Ascoli ad Ancona. Infine, la più radicale di tutte, tanto da venire sconfessata, “Polemica Fascista” di Avolio Cipriani[2].

Questi auspicano la “normalità”, intesa come pace sociale e istituzionale, per iniziare così un processo di rinnovamento culturale del Fascismo. Ciò è da leggere come una reazione alla perdita di identità del Fascismo, causa la fronda conservatrice che appiana le istanze rivoluzionarie del fenomeno.

Il gruppo politico più consistente del e nel Fascismo è quello degli “intransigenti”, composto da quelli che sostengono la creazione di uno Stato nuovo e che si trovano in contrasto con tutti i principi di fondo del Governo Mussolini[3]. L’”intransigentismo” conosce al suo interno diverse componenti. In primis la sinistra sansepolcrista, fedele al programma repubblicano e di estrema sinistra dei Fasci di Combattimento. Poi, i sindacalisti integrali, che propongono l’inquadramento del leghismo autonomo dei ceti padronali in un’unica organizzazione, nella quale sarebbero presenti anche le organizzazioni dei lavoratori[4]. Ancora, i vari futuristi, dannunziani, arditi che hanno già conosciuto una rottura con Mussolini ai tempi del congresso dei Fasci del 24-25 maggio del ’20 e che mal sopportano le sbandate a destra del Duce. Infine, i farinacciani, spesso definiti dalla storiografia “intransigenti stricto sensu”.

L’arcipelago “intransigentista”, “movimentista”, che comprende tutte queste isole, può allora definirsi degli “intransigenti lato sensu”. All’interno di questo cartello agiscono varie posizioni, che si confrontano in un coacervo di interessi e volontà rivoluzionarie[5].

Capita sovente che la Sinistra fascista, poco rappresentata a Roma, si schieri contro i presunti estremisti che a Roma vivono da nababbi recitando da commedianti in Parlamento. Un attacco eloquente al finto estremismo proviene per esempio da Malaparte, che nel suo articolo “Di’ ben so’, fantèsma... ovvero i nuovi compiti dell’estremismo” discerne i falsi fascisti dagli estremisti veraci. “De Bono, al quale va oggi, ancora una volta, il nostro affettuoso e deferente saluto di fedeli gregari della Rivoluzione d’Ottobre, - spiega Malaparte - non è un fantasma. Italo Balbo non è un fantasma. Ma sono fantasmi, e dei più pericolosi, tutti quei capi mediocri che, dopo essersi trastullati per mesi e mesi con gli strumenti del potere senza mai riuscire a combinare qualcosa di sodo e di serio, ingannando in tal modo il Fascismo e la Rivoluzione, si aggrappano oggi alle falde di questo o quello, facendo risonare coi gomiti i “tam-tam” e i “gongs” dell’estremismo, con la speranza di sorprendere la buona fede e l’ingenuità degli estremisti e di spuntar nuovamente fra le quinte a far l’attor giovine della commedia politica”. L’estremismo parolaio e opportunista dei “fantasmi” va soppiantato dall’”estremismo necessario” e disinteressato dei veri fascisti. Ecco quindi il rimedio: “Conviene che i valorosi e generosi squadristi si guardino dall’estremismo interessato dei fantasmi, i quali risiedono per lo più a Roma, dove brancolano e cianciano, parlando male di Tizio e Caio e mostrandosi irriverenti perfino nei riguardi del Duce. E’ necessario che tutti i fascisti si rendano conto che un solo estremismo è legittimo e ammissibile: quello che non mira a soddisfare i rancori e i puntigli dei capi di secondo ordine andati a male per insufficienza propria, ma tende a creare e a mantenere nel partito un clima di passione e di fede indispensabile al sempre maggior potenziamento della Rivoluzione”[6].

Il lato sensu dell’intransigenza fascista, particolarmente forte nella Valle Padana e in Toscana, è compatto e fermissimo nelle posizioni fondamentali: per esempio sono contrari alla fusione con l’Associazione Nazionalista Italiana del ’23 e alla collaborazione con i Combattenti dell’ANC e i Mutilati dell’ANMIG. I primi sono infatti conservatori (liberali di destra) e le altre due organizzazioni sono di ispirazione liberaldemocratica, se non addirittura liberalsocialista. Il “cartello intrasigentista” è inoltre compatto, manganello alla mano, nel rilancio della famigerata “seconda ondata squadristica”[7].

Ancora, il conte Fani Ciotti, in arte Volt, fine politologo del tempo e fascista rigorosamente “di destra”, individua cinque tendenze principali all’interno della compagine fascista: un’estrema sinistra di Suckert e dei repubblicani nazionali; un centro sinistra di Rossoni, Grandi, Panunzio, Olivetti, Ciarlantini, ecc. che rappresenta “in seno al fascismo, il gruppo più numeroso”; un’estrema destra, vale a dire il gruppo de “L’Impero”; un centro destra, composto da ex nazionalisti e dagli integralisti stile Bottai; una frangia revisionista collegata al gruppo fiorentino di “Rivoluzione Fascista”[8].

Oltre le semplificazioni che vogliono il fascismo un blocco granitico, questa vale come una breve, veloce, sommaria classificazione del fascismo intransigente.



[1]R. De Felice, Mussolini il fascista (1921-1925) 1. La conquista del potere, Einaudi, Torino, 1966, pp. 318-517.

[2]G. Pardini, Curzio Malaparte. Biografia politica, Luni Editrice, Milano-Trento, 1998, pp. 110-111.

[3]R. De Felice, Mussolini il fascista I. La conquista del potere (1921-1925), Einaudi, Torino, 2005, pp. 540-547.

[4]I. Buttignon, Compagno Duce. Fatti, personaggi, idee e contraddizioni del Fascismo di sinistra, Hobby & Work, Milano, 2010, p. 46.

[5]G. Pardini, Curzio Malaparte. Biografia politica, cit., p. 110.

[6]“Il Selvaggio”, 5-11 luglio 1925, n. 22-23.

[7]G. Pardini, Curzio Malaparte. Biografia politica, cit., pp. 112-113.

[8]Volt, Le cinque anime del fascismo, in “Critica Fascista”, 15 febbraio 1925.

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