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Grandi donne dietro grandi uomini

Galileo, Giulia la madre pestifera e Virginia la figlia di notevole ingegno

Monacata da giovinetta seppe essere il vero pilastro della famiglia comprendendo la genialità paterna

di Francesca Allegri

Galileo, Giulia la madre pestifera e Virginia la figlia di notevole ingegno

Galileo Galilei

Il motto che recita: dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna è universalmente conosciuto e forse, come accade per molti detti popolari, anche vero. Certo è che nei libri di storia o di letteratura compaiono molte figure femminili in secondo piano rispetto a mariti, padri, fratelli, amanti. Sono personalità che spesso hanno un’apparenza pallida e scialba, a confronto  con i loro, assai più noti comprimari maschili. Chi era Marietta Machiavelli? Chi Virginia Galilei? Qual era la personalità di Caterina d’Aragona? E Mariù Pascoli e Paolina Leopardi? Poi, invece, se ci avviciniamo e ne mettiamo più a fuoco i lineamenti, ecco che acquistano uno spessore rilevante e, spesso, personalità eccezionali. Donne di carattere, per lo più, ma anche valide poetesse, ottime amministratrici, pensatrici di tutto rispetto. Questo intende essere un viaggio alla loro scoperta, alla scoperta di queste ombre in controluce.    

LA SUORA DI ESQUISITO INGEGNO OVVERO LA STELLA PIÙ LUMINOSA

 Ne abbiamo visti molti di calciatori, ciclisti, cantanti, attori, scrittori dotati di famiglia strabordante.  Gente che, nel parente famoso e bravo, ha trovato un buon investimento per il futuro, soprattutto economico, e via tutti a sfruttarlo: le madri con le figlie belle, i padri con gli sportivi, le mogli con il famoso chirurgo o regista o qualunque altro.

Bene, anche la famiglia di Galileo Galilei era così. Una madre pestifera, Giulia Ammanati di Pescia, pestifera soprattutto da quando muore Vincenzo, il padre, e Galileo, il maggiore dei figli, si ritrova con tutta la baracca da mandare avanti. 

Giulia non d un attimo di pace: si mette d’accordo con un servitore perché lo spii nella lontana Padova, lo denuncia al Sant’Uffizio ben prima delle note vicende e soprattutto chiede soldi, tanti e in continuazione. Certo che all’epoca una delle maggiori preoccupazioni delle famiglie era la dote delle ragazze e in casa Galilei ce ne erano due da ammogliare convenientemente.

Galileo si fa prestare il denaro per le doti, convinto che il fratello Michelangelo, del quale avremo da dire in seguito, lo aiuterà, cosa che invece non accadrà mai. La madre lo tempesta di lettere che sostanzialmente dicono tutte la stessa cosa: paga! Paga! Paga! Mai che lo scusi con i cognati per i ritardi nello sborsare le cifre pattuite o cerchi dilazioni; il professore guadagna, il professore deve sistemarli tutti al meglio. E fra questi tutti anche Michelangelo, il fratello, buon musicista che parte per l’estero in cerca di fortuna come musico di corte e quando parte deve, assolutamente deve, essere rivestito, calzato, adeguatamente equipaggiato, naturalmente dal fratello, poi ovviamente tornerà senza aver fatta la minima fortuna e di nuovo in caccia dei soldi di Galileo, fin quando ripartirà ancora una volta per la Baviera rifiutandosi di aiutare il fratello in ogni modo.

Poi si sposerà, metterà al mondo un congruo numero di figli e anche questi, con la cognata, verranno a più riprese in Toscana a battere cassa. E quale fosse il caldo affetto che circolava in famiglia è testimoniato da queste poche righe di una lettera di Michelangelo a Galileo in cui si parla della madre ormai vecchia, siamo nel 1619, ma sempre arpia:  Di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta ce ne sarà per poco, si che finiranno le liti.

Un modo, e nemmeno tanto elegante, di augurarsi la morte della genitrice o comunque di attenderla senza soverchia pena. Qualche anno più tardi, sempre con la solita fine sensibilità, scriverà al fratello, convalescente da una grave malattia, che è naturalmente contento della guarigione, ma soprattutto perché altrimenti non avrebbe saputo come provvedere alla moglie e alla numerosa figliolanza che allora risiedeva a Firenze presso Galileo, mentre Michelangelo era ancora a Monaco.

Certo anche lo scienziato ci mise del suo per complicare una situazione già abbastanza difficile, tre figli nati fuori dal matrimonio, con i conseguenti problemi di collocazione dei medesimi, non sono cosa da poco. Affida prima le figlie alla madre, ma la convivenza con la pestifera si rivela subito difficilissima, poi decide per la monacazione, sono però ancora troppo piccole; quindi le pone in convento  e si monacheranno solo qualche tempo più tardi. Riconoscerà solo il figlio Vincenzo, anche questo con ben poca voglia di studiare e lavorare, lamentoso e incapace, sempre alla ricerca di danaro. Forse se il padre fosse campato più a lungo, e avesse avuto maggior senso degli affari, le cose avrebbero potuto essere diverse, perché Vincenzo, oltre che il grande musicista che sappiamo, doveva essere uomo di non comune intelligenza.

Leggiamo queste righe dal  Dialogo della musica antica et della moderna: Perché mi pare che faccino cosa ridicola (per non dire, insieme col filosofo, da stolti) quelli che, per prova di qual si sia conclusione loro, vogliono che si creda senz'altro alla semplice autorità, senza addurre di esse rationi che valide siano.
Viene fatto di pensare che Galileo non poteva ignorarle e che su di lui abbiamo molto inciso.

E Suor Maria Celeste, al secolo Virginia, la figlia maggiore, come si colloca in questo panorama agitato? Le sue lettere al padre delle quali non abbiamo risposte, forse perché dopo la sua morte furono bruciate in quanto ritenute pericolose poiché di un condannato dalla santa Inquisizione, sono uno specchio fedele del suo animo.

Sono scritte in anni assai significativi, soprattutto nel periodo precedente e immediatamente seguente al processo ed all’abiura. I commentatori unanimemente  mettono in luce i sentimenti di vero amor filiale, il desiderio di mettere pace fra il padre ed il fratello, l’animo pietoso verso la sorella che evidentemente mal sopportava la vita del chiostro, ed insomma tutto il bagaglio di buoni sentimenti che ci si aspetta da una monaca. Ma c’è molto di più, l’elemento che le contraddistingue è la profonda intelligenza. A differenza degli altri parenti, Suor Maria Celeste ha compreso tutto e bene, non a che fare solo con un padre molto intelligente e professore stimato, ma con un uomo eccezionale, ne ha afferrato fino in fondo il genio ed ha intuito che suo dovere è assecondarlo e stimolarlo perché niente di quella mente eccezionale vada perduto.

E allora non solo legge e rilegge le sue lettere anche alle consorelle, ma gli chiede i suoi libri, gli chiede un occhiale, non sappiamo se  un cannocchiale o un microscopio, e si informa minutamente dei suoi lavori e lo esorta a non bere e a non trascurarsi perché possa meglio lavorare. Infine si occupa  con abilità, anche dal chiuso del convento, di tutte le attività pratiche della famiglia.

Quando il padre è via per il processo, vende il vino, vende la frutta, fa affari, si cura dei lavoranti, insomma è attiva e piena di criterio. Questa ragazza, che in sostanza ha sempre vissuto rinchiusa, sembra piuttosto esperta delle cose della vita; umile, ma anche sicura di sé, a Galileo chiede che interceda perché al convento vengano mandati dei padri spirituali di spessore, in pratica vuole degli interlocutori validi in materia di fede e non nasconde il suo disprezzo per questi preti che  sanno solo andare a caccia di lepri e si legano di un’amicizia un po’ troppo stretta con alcune monache.

Non si sa come faccia, ma solo la sua acuta intelligenza e il suo spirito di osservazione possono permetterle di essere così severa e così giusta nel giudicare le persone che la circondano. Tutt’altro che debole, decide, fa, si informa, lavora. Il padre ha con lei un rapporto tipico, quale spesso si trovava nelle famiglie del passato. Il genitore maschio comincia a occuparsi dei figli solo quando, e se, questi figli diventano possibili interlocutori. Non se ne cura quando è piccola, l’affida alla nonna, poi la mette in convento e la monaca quasi da bambina, ma quando si accorge, e se ne accorge, che ha davanti a sé un essere pensante quasi al suo livello, allora le cose cambiano e cambiano radicalmente. Quel padre distaccato e, probabilmente, indifferente si mette quasi al servizio della figlia nelle piccole cose quotidiane: le ripara personalmente una finestra, lui che era artigiano abilissimo, e un orologio, le compra lo zucchero per i candire i cedri, si occupa di farle arrivare un filo di refe  particolarmente buono; piccoli, ma significativi gesti.

Quando Virginia morirà non crediamo che il suo cordoglio sia di circostanza, la lettera è del  23 luglio 1634, poco tempo dopo la morte della figlia, ad Elia Deodati:…Qui mi andavo trattenendo  assai quietamente con le visite frequenti di un monastero prossimo, dove havevo due figlie monache, da me molto amate ed in particolare la maggiore, donna di esquisito ingegno, singolar bontà et a me affezionatissima. Questa per radunanza di humori melanconici fatta in mia assenza, da lei creduta travagliosa, finalmente incorsa in una travagliosa dissenteria, in sei giorni si morì, essendo di età di trentatré anni, lasciando me in estrema afflizione. E per fare il pari con le parole di affetto del padre si trascrive qui una lettera del 19 dicembre 1625 in cui Suor Maria Celeste invia al padre un dono speciale:

Del cedro che V.S. m’ordinò ch’io dovessi confettare, non ne ho accomodato se non questo poco, che al presente gli mando, perché dubitavo che, per esser così appassito, non dovesse riuscir di quella perfezione ch’io avrei voluto, come veramente non è riuscito. Insieme con esso gli mando dua pere cotte per questi giorni di vigilia. Ma, per maggiormente rallegrarla, gli mando una rosa, la quale come cosa straordinaria in questa stagione, dovrà da lei essere molto gradita; e tanto più che insieme con la rosa potrà accettar le spine, che in essa rappresentano l’acerba passione del Nostro Signore; e anco le sue verdi fronde significheranno la speranza, che (mediante questa santa passione) possiamo avere, di dover, dopo la brevità e oscurità dell’inverno della vita presente, pervenire alla chiarezza e felicità dell’eterna primavera del Cielo: il che ne conceda Dio Benedetto per sua misericordia.

E qui facendo punto, la saluto insieme con suor Arcangela affettuosamente; e stiamo ambedue col desiderio di saper come stia V.S. al presente di sanità.

Di S. Matteo, li 19 di dicembre, 1625.

Gli rimando la tovaglia nella quale mandò involto l’agnello; e V.S. ha di nostro una federa, che mandammo colle camicie, una paniera ed una coperta.

Questa lettera, con questo scambio di doni banali e quotidiani, ci pare, però, che al meglio mostri l’affetto di Virginia, la stella più splendente dell’universo di Galileo.

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