Tra Mito e mitologia

Karoly Kerény e il divino

Rapporto con il divino e altri saggi, nelle librerie per la Bompiani nella prestigiosa collana “Il pensiero occidentale”, a cura di Fabio Cicero (euro 35,00)

di Giovanni Sessa

Karoly Kerény e il divino

La copertina del libro

L’ungherese Karoly Kerény è stato, senza ombra di dubbio, uno degli storici delle religioni più importanti del secolo XX. L’approccio interdisciplinare ai contenuti mitici, che ha connotato, fin dagli anni dello studentato universitario, il suo percorso di ricerca, ha reso la sua proposta culturale estremamente stimolante anche per il dibattito filosofico novecentesco. Recentemente è stata     pubblicata nel nostro paese, per la prima volta, una significativa raccolta di saggi dello studioso ungherese. Si tratta di Rapporto con il divino e altri saggi, nelle librerie per la Bompiani nella prestigiosa collana “Il pensiero occidentale”, a cura di Fabio Cicero (euro 35,00). L’opera è davvero monumentale, e non soltanto in termini di numero di pagine, corredate dal testo originale a fronte, ma per spessore ermeneutico.

     Il primo scritto che apre la raccolta e le dà il titolo, Rapporto con il divino è, a nostro giudizio,   dirimente, in quanto consente al lettore di penetrare nell’universo valoriale di Kerény per via diretta. Il filologo magiaro muove da una distinzione essenziale, quella tra mito e mitologia. Il primo è presentato come evento divino, la seconda, al contrario, è esperita quale risposta umana a tale evento. La mitologia, da sempre, è interpretazione dell’Umgang (termine di difficile traducibilità nelle altre lingue europee), del “rapporto” con il divino: “…fondazione di una tradizione che consente a tale rapporto di esprimersi riaprendo di fatto l’accesso al mondo del mito” (p. 31). Seguendo le analisi dello studioso, si coglie come la storia delle religioni sia una disciplina, per certi aspetti, problematica. Infatti, la religione presuppone sempre qualcosa che la precede, un “prima” che essa stessa dipana e racconta. Tra i mitologemi del prima vengono annoverati, in queste pagine, la storia del paradiso biblico e la descrizione esiodea della lotta tra Zeus e Prometeo. L’analisi della mitologia è interpretazione che si avvale della “parola”, ma anche delle azioni e delle immagini propriamente religiose. In quest’approccio si evince il valore veritativo che caratterizza dall’interno la mitologia stessa e la sua autonomia di significato: “(Essa) non è mitopoiesi, ma concreta intuizione di una realtà spirituale e trascendente rispetto alla coscienza che la intuisce” (p.32). E’ necessario, pertanto, prestar ascolto al suo dire, nello stesso senso in cui Heidegger ci suggerisce di “ascoltare” la parola rammemorante dell’essere in quanto evento.

     Kerény rileva che il mito, formandosi nel primissimo momento del rapporto intrattenuto con il divino, manifesta l’ethos di un dato popolo. Mito e archetipo sono in stabile relazione, poiché la dimensione archetipale fornisce l’impronta “originaria”, il sigillo costitutivo, al rapporto con il sacro, che distingue i Greci dai Romani e questi dagli Israeliti. La cosa trova conferma nel mitologema del “primo uomo”, esperito in termini assai diversi, (qui il lavoro comparativo dello storico scende nei dettagli), nella tradizione biblica e in quella greca. Nello specifico, Kerény presenta l’archetipo come intersezione di storia e sovrastoria che lo conduce ad una positiva considerazione del momento femminiledell’arché. Infatti, il momento del parto, centrale nella vita femminile dell’intero cosmo, rende le donne maggiormente legate alla dimensione astorica, in quanto: “…emergendo dall’identità con la madre devono anche scegliere di partorire nello spirito…e occuparsi in tal modo anche della propria “grande nascita”, la nascita del distacco e del nuovo inizio” (p.33).

     Il secondo saggio del volume, Il medico divino, nel presentare ruolo e funzioni di Asclepio, prende avvio dal periodo a noi storicamente più vicino. Narra di Aslepio-Esculapio a Roma. Secondo Ovidio, il dio giunse nella Città eterna agli inizi del III secolo a. C., mentre l’Urbe era afflitta dalla peste. Suo luogo di culto divenne l’isola Tiberina. In Grecia, invece, il principale santuario di Asclepio sorgeva ad Epidauro. Qui, molte iscrizioni epigrafiche presentano prodigiose guarigioni che il dio avrebbe realizzato in relazione ad Apollo. La tradizione narra di Flegias, padre di Coronide, madre di Asclepio, quale edificatore del tempio apollineo nella zona del santuario. Durante il sonno-sogno avveniva la guarigione dei malati che, sciamanicamente, avevano visione e della patologia di cui soffrivano, nonché degli eventuali rimedi per superarla. Altrettanto rilevante per il culto di Asclepio fu l’isola di Kos, dove visse Ippocrate, ritenuto il padre della medicina. Omero nell’Iliade ricorda che Asclepio non fu venerato quale dio, bensì come eroe mortale presso il   tumulo funerario, dopo la sua scomparsa. L’origine della figura di Asclepio è rintracciata da Kerény in Tessaglia. Essa è, fin dall’inizio, connotata in senso infero: Zeus lo condanna a morte per aver osato risvegliare i morti e per aver infranto le leggi delle Moire.

     Il terzo scritto, Il romanzo antico, è un trattato dedicato al romanzo ellenistico. In tale genere letterario, lo studioso legge in atto il processo di secolarizzazione e di demitizzazione del quale, nell’ultima parte della sua esistenza, si occupò sistematicamente. Kerény si sofferma nell’analisi dei topoidei romanzi più noti: l’amore fra giovani, il distacco forzato, le peripezie dei protagonisti, il ricongiungimento finale dei due. Tali temi sono legati al mito di Iside e Osiride, alla luce del quale vengono interpretati i seguenti testi: Dafni e Cloe, le Efesiache, le Avventure di Cherea e Calliroe, nonché le notissime Metamorfosi di Apuleio e il Satyricon di Petronio. Il senso dei racconti è da individuarsi nella relazione morte-rinascita (Iside-Osiride) dalla quale sorge, infine, Horus.

     Nell’organica prefazione, con persuasività di accenti e documentazione di rilievo, Fabio Cicero   ricorda che la chiave per comprendere la mitologia nella sua interezza, secondo Kerény, è fornita da Dioniso, nel quale già Schelling, aveva  intuito, in termini filosofici, il soggetto propulsore di tutto il processo teogonico. Come l’ungherese, anche l’idealista tedesco aveva acquisito contezza che solo nei Misteri appare con tutta evidenza il significato del narrato mitologico. Sulla scorta di Schelling, e in continuità con la lezione teorica di W. F. Otto e di Jung, Kerény  ha riproposto, nel secolo XX, in particolare nelle pagine del libro in questione, l’idea che la conoscenza del divino nasce dall’impatto emotivo che afferra l’uomo consentendogli una visione, un ascolto e una percezione diretta del dio: “Tutti i miti ruotano attorno ad un nucleo di impossibilità. Ma questo impossibile che ne costituisce il perno, è il dio!” (p. 12). Il medesimo impossibile testimoniato in tante pagine della tradizione ermetica, colto dagli idealisti quale principio infondato, libertà-potenza e riproposto a più riprese nella storia dell’arte: “I mitologemi sono quindi per Kerény come opere d’arte, e gli artisti di ogni epoca hanno contribuito a plasmare e modellarne i materiali, divenendo essi stessi creatori di mondi” (p. 16).

    Il libro che abbiamo brevemente presentato, riteniamo possa essere viatico essenziale per quanti attualmente siano impegnati nella preparazione-attesa di un Nuovo Inizio. Esso implica il porsi    all’ascolto delle parole del mito, al fine di realizzarne il sempre possibileevenire.

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