Editoriale

Premio Acqui: se non è pilotato e sceglie la trasparenza si scatenano le polemiche

La sinistra locale non tollera di non poterlo controllare e lo scorso anno un avvocato ha pure provato a sporgere querela contro il vincitore Dario Feltrilio

Gianfranco de Turris

di Gianfranco de Turris

ome si dice a Roma: rosicano, ormai dal 2006, e continuano a rosicare ogni anno che passa.

Chi? Ma ovviamente la sinistra massmediatica e pseudo-intellettuale, soprattutto di area piemontese. Per quale motivo? Perché non possono più vantare la loro egemonia su un premio prestigioso: il Premio Acqui Storia creato nel 1969 e sino al 2006, quando nel comune dell’alessandrino, famoso per le sue terme sin da epoca romana, vinse il centrodestra e divenne assessore alla cultura Carlo Sburlati, che lo ha riformato allargandone gli orizzonti. 

Aver perso potere su un qualcosa su cui credevano di avere diritti eterni e divini ha fatto anche  perdere il lume della ragione a giornali e giornalisti, a politici e a cosiddetti uomini di cultura, che la intendono a senso unico e non a trecentosessanta gradi. Nel corso di questi anni, nonostante polemiche gratuite, attacchi ideologici, tentativi di far pressione sugli enti che finanziano l’iniziativa, ricatti più o meno espliciti a livello economico e politico, il Premio Acqui è notevolmente cresciuto, aggiungendo una nuova categoria (il romanzo storico) e vedendo aumentare i partecipanti che quest’anno sono stati ben 189, cifra mai raggiunta in precedenza, segno che la sua autorevolezza non è stata intaccata, anzi è aumentata.

Perdere un pezzo del loro pervasivo potere ha fatto andare letteralmente in tilt alcuni settori della sinistra, soprattutto locale, come si è detto.

 Si pensi che l’anno scorso, dopo la vittoria del romanzo L’ultima notte dei fratello Cervi (Marsilio) di Dario Fertilio, l’Anpi locale aveva strillato alla lesa resistenza e un certo avvocato aveva presentato una denuncia alla Procura di Torino contro la giuria che aveva assegnato il riconoscimento. Ma si può? E questa sarebbe la “democrazia” cui credono gli antifascisti? 

Una follia mai vista prima che sfiora i vertici del ridicolo e che non si era vista prima in alcun Paese al mondo. Un tentativo di limitare la libertà di pensiero e di scelta. Di sindacare sul contenuto di un romanzo storico nemmeno fosse rinata l’Inquisizione o la censura preventiva di marca bolscevica. 

La minaccia di querelare se non si premiano o segnalano i libri indicati dall’Anpi? E questo soltanto perché il romanzo di un giornalista liberale, redattore del Corriere della Sera (sulle cui colonne si è dovuto difendere da sé dato che nessun suo collega ha avuto il coraggio di farlo) non accettava in pieno la vulgata su quelle sette terribili morti e avanzava subbi e sospetti non infondati già avanzati da ricostruzioni storiche? Chi tocca la resistenza muore dunque fulminato?

Il premio Acqui, con le sue tre sezioni, ha invece ampliato il giro d’orizzonte delle sue scelte non escludendo nessuno e anzi facendo rientrare in gioco idee e soprattutto autori in precedenza emarginati non perché carenti come studiosi, ricercatori, scrittori, ma soltanto perché scartati a priori a causa delle loro idee vere o presunte, cosa inaccettabile in una democrazia che sia veramente tale. 

Un giochetto che viene praticato in quasi tutti i premi letterari italiani senza il minimo scandalo mediatico e che quindi sono appannaggio dei “soliti noti”, non facendo circolare ormai da tempo più idee e punti di vista diversi da quelli patrocinati dalla egemonia progressista.

Il premio Acqui, con la sua libertà di selezione che non esclude per principio nessuno, e la mancanza di condizionamenti dei cosiddetti “grandi editori”, dovrebbe invece essere tenuto come esempio. La segnalazioni di case editrici medie e piccole che pubblicano testi di notevole interesse dovrebbe essere uno dei punti di forza dei premi, mentre invece non lo è affatto (e le polemiche che seguono le scelte dei vari Strega, Campiello, Viareggio ecc. ne sono la dimostrazione). 

E’ chiaro, ci possono essere anche errori di valutazione, ma questo sta nelle umane cose: i giurati non sono computer. Ma è importante viceversa il criterio generale in base al quale si muovono e invece non si muovevano le precedenti giurie..

Il premio Acqui dà fastidio, dunque. E lo si vede, non solo dalle polemiche ma anche dai silenzi, cere volte molto più significativi, della cosiddetta “grande stampa”. Se non se ne parla, è come se non esistesse alcunché. Ma certe volte la forza delle cose è assai superiore.

 

     

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