Motociclette da corsa di gran classe

Qualche appunto sull’estetica della motocicletta da corsa anni 30 - Sesta Parte-

Al Tourist Trophy del 1939, l’ultimo dell’”epoca d’oro”, tagliata di lì a qualche mese dalla conflagrazione bellica, appare anche la rustica NSU 350

di Piccolo da Chioggia

Qualche appunto sull’estetica della motocicletta da corsa anni 30 - Sesta Parte-

Ted Mellors fotografato in corsa al Tourist Trophy 1939


Questa potrebbe immaginarsi come una composizione pittorica di natura morta vista dagli occhi d’un ingegnere. La brocca che alberga l’ultima acqua che abbevera gli steli dei fiori recisi si è mutata nello strano parallelepipedo sul quale poggia in equilibrio il telaio della Moto Guzzi 500 bicilindrica. Steli e corolle di fiori si sono mutati nell’intricata costruzione spaziale e nei copertoni  appesi alla parete di sfondo. La macchina dà l’impressione d’una sofferta e lieve armonia per l’intrico di linee e superfici. Con 50 cavalli e oltre 200 orari questa motocicletta si afferma dal 1934 al 1937. E rappresenta l’applicazione alla meccanica della massima di Linneo natura non facit saltus: superiore in velocità e potenza alle robuste monocilindriche inglesi, le supera nel breve arco di tempo che prelude al trionfo delle possenti motociclette a motore pluricilindrico e sovralimentato quali la Rondine e la BMW alle quali deve cedere. L’immagine è scattata nel reparto corse di Mandello Lario nel 1937. Anno nel quale a Monza vince la Gilera Rondine carenata di Aldrighetti. Oltre, lungo il biennio 1938/9  sui circuiti veloci per questa macchina vi è poca storia. E altrove essa deve arrancare pure di fronte alle monocilindriche Norton e Velocette. Queste ultime infatti sono evolute con continuità e studio dai loro ingegneri e viaggiano ora a oltre 200 in rettilineo con 50 cavalli, ma con la superba tenuta di strada e in virtù d’un’impeccabile progressività nell’erogazione della potenza  hanno un’accelerazione all’uscita delle curve che permette loro di insidiare su alcuni circuiti anche le macchine sovralimentate.


Motociclette da corsa di gran classe, nella meccanica raffinate pur nella semplicità del motore monocilindrico quattro tempi, nell’estetica di sovrana eleganza: sono le Velocette da gran premio. Qui è raffigurata la 500 di Stanley Woods, di spalle col numero 18 in sosta al box con un meccanico e la graziosissima moglie. È il 1937. La macchina ha ancora il telaio rigido ma vi è impressione di slancio dinamico in tutta la motocicletta che, peraltro, oggi apparirebbe estremamente bassa. Quasi la trasposizione meccanica di un cavallino pony. Se non fosse che la coriacea monocilindrica britannica viaggia già intorno alle 125 miglia all’ora, che sono i 200 orari. Un lungo cavo parte dal coperchio del magnete e arriva al contagiri visibile nel manubrio e montato a quadro quasi verticale in modo da essere letto dal pilota anche in posizione abbassata. Lo scarico a megafono, adottato quasi da tutte le macchine da corsa all’incirca nel 1935, assicura maggiori potenze agli alti regimi di rotazione ma garantisce udibilità anche a lunghe distanze dai circuiti.

Le magnifiche Rudge Whitworth fabbricate in quel di Coventry sono rifinite impeccabilmente. Il loro motore è robusto e si presta bene come base per i preparatori. Questi motori hanno avuto infatti ampia diffusione e lungo la decade anni 30 sotto la sigla Python erano l’ideale per equipaggiare delle buone macchine da corsa. In Italia li montarono le Miller Balsamo, con una bellissima vittoria al circuito del Littorio nel 1932 quando la veloce Miller 500 batteva le Moto Guzzi bicilindriche al loro esordio. In Germania li montarono le Imperia, in Francia le Durandal.

Una Rudge 350 divenne proverbiale per la sua competitività: la macchina di Hans Richnow preparata da Brumm. Sostituite molte parti in acciaio con elementi d’alluminio si passava da 140 chili di peso a soli 118. Brumm poi progettava e faceva costruire una testata in lega leggera a quattro valvole cui accoppiava due carburatori per l’ammissione. Altre modifiche erano all’imbiellaggio. In breve si arrivò ad una macchina capace di insidiare nel campionato nazionale germanico le DKW pariclasse. Memorabile fu una corsa nella quale, dopo che nelle prove, con i dati cronometrici alla mano si era verificato che Richnow girava in tempi minori di quelli stabiliti dalle DKW dei piloti ufficiali, la squadra delle bicilindriche due tempi decideva di ritirarsi onde non correre il rischio di dover abbellire la presumibile vittoria d’una  Rudge, per giunta appartenente ad un pilota privato. Si stima che questa macchina anglogermanica rendesse sui 35 cavalli per una velocità superiore ai 180 orari. Perfettamente competitiva dunque con le DKW, le Norton e le Velocette. Nell’immagine Richnow affronta una curva ad alta velocità.  È il 1937. La Rudge Brumm monta i tromboncini allo scarico. 

 

In quel di Brooklands, lungo il 1938, un pilota si cimenta con una Norton preparata appositamente per il circuito inglese: silenziatore allo scarico per non lacerare l’udito degli abitanti limitrofi alla pista vicinissima alla cittadina, schermatura aerodinamica sulla testa di forcella in ragione del fatto che la pista è veloce e un qualche miglio in più sul giro non guasta. È plausibile che si tratti d’una macchina semiufficiale come mostra il serbatoio, eguale se non pure il medesimo, della macchina dei record del 1934 e 1935 vista in altra immagine. Vi è il freno anteriore che era assente nella Norton di Guthrie. Sono ottenute 120 miglia orarie di media sul giro più veloce, pari a 193 chilometri l’ora di media, un dato che rende presumibile che la snellissima e robusta monocilindrica britannica voli intorno ai 210 all’ora sui rettilinei.


Questi è, forse, Georges Monneret sulla Jonghi 250 bialbero. È il 1938. La piccola macchina francese è passata dai record alle corse e ai gran premi. Sul primato dell’ora aveva lasciato dietro di sé 156 chilometri percorsi con partenza da fermo. Ma era ancora il lontano 1934. In questa versione da circuito la sua velocità si attesta sui 165/170 orari, che sono sufficienti ad un bravo pilota per competere nelle corse secondarie. Con la ruota posteriore a disco, prove su strada di vari costruttori verificano un aumento di velocità intorno ai 3 chilometri orari rispetto alla stessa motocicletta equipaggiata di entrambe le ruote a raggi. 

Tuttavia nei gran premi del campionato europeo la Jonghi 250 nulla può più contro la raffinata evoluzione delle Benelli e delle DKW pariclasse. Per fare un esempio il propulsore della macchina italiana, con distribuzione bialbero comandata da cascata d’ingranaggi, eroga circa 27 cavalli che permettono al bolide di volare sui rettilinei, anche in virtù del basso peso, della ridotta sezione dei pneumatici e della limitata altezza dal suolo che riduce la sezione maestra, a velocità dell’ordine dei 175/180 orari. E questo ancora senza usare il compressore di sovralimentazione. A fine 1938, introdotto per la stagione corse 1939  dalla Moto Guzzi e dalla Benelli, il compressore anche sulle quarto di litro, le velocità si alzano drasticamente. il record dell’ora passa a oltre 180 chilometri, stabilito da Tenni sulla Moto Guzzi a Monza verso il finire dell’anno. Sui circuiti, volate a 190 orari rendono i gran premi europei del 1939 per la classe 250 una questione interna italotedesca. I costruttori inglesi e francesi, svedesi e belgi devono accontentarsi delle vittorie minori o di qualche piazzamento nei gran premi dopo essere stati regolarmente doppiati dalle macchine sovralimentate.


A incrinare la supremazia delle motociclette inglesi nella classe 350, interrotta qualche volta dalle vittorie dell’Husqvarna bicilindrica o della monocilindrica Jonghi arriva per il 1938 l’avviso di questa DKW 350 bicilindrica due tempi raffreddata ad acqua e sovralimentata dal cilindro pompa. La macchina è del tutto usuale nel telaio e per la sospensione posteriore adotta il sistema brevettato dalla Benelli. L’aspetto generale della motocicletta è massiccio ma vi è l’impiego capillare di leghe leggere che ne fanno una macchina agile e capace di insidiare su molti circuiti le perfette monocilindriche britanniche.  Veloce, affidabile e robusta, la DKW 350 compete con le pariclasse inglesi anche in grazia della forte accelerazione da fermo connaturata al motore due tempi. Questa fotografia è scattata nei pressi della fabbrica DKW. L’automobile sulla destra è pure una utilitaria DKW. La strana scenografia d’intorno, con il declivio forestato e le cime arboree in lontananza dietro la casa, sembra trasformare l’immagine in un ritratto dell’inquieta solitudine di pilota e macchina.


Al Tourist Trophy del 1939, l’ultimo dell’”epoca d’oro”, tagliata di lì a qualche mese dalla conflagrazione bellica, appare anche questa rustica NSU 350. Più che all’avanguardia è il propulsore, un bicilindrico a doppio albero a camme in testa sovralimentato dal compressore volumetrico peculiare delle macchine italiane e germaniche. Del tutto usuale al contrario il telaio, ancora senza sospensione posteriore e lontano dalla perfezione di quello delle Velocette di Woods. Questa macchina non si distinse tanto dovendo ritirarsi per avarie meccaniche e cedere la vittoria alla classiche e collaudate monocilindriche inglesi. Resta comunque un bell’esempio di motocicletta intermedia: era accreditata di 46 cavalli e capace di oltre 200 chilometri orari. Il panciuto serbatoio del carburante è necessario per gli alti consumi dei motori sovralimentati, che in quest’ultimo baleno degli anni trenta si accendono con potenti miscele di benzina ed alcol in parti eguali cui spesso è unito in emulsione un minimo di olio di ricino. La ruota posteriore che si vede spuntare sulla destra nell’immagine è quella della vincitrice della classe Lightweight, la Benelli 250 condotta con audacia spericolata da Ted Mellors sotto pioggia grandine e vento.


Ted Mellors fotografato in corsa al Tourist Trophy 1939. Con la sua vittoria si conferma che dal 1937 nella classe Lightweight la supremazia è delle macchine italiane e germaniche. Nel 1937 aveva vinto Tenni sulla Moto Guzzi, l’anno successivo Ewald Kluge con la DKW. La monocilindrica bialbero pesarese vince sulla DKW e alcuni osservatori affermano si tratti d’una prova della superiorità del motore a distribuzione bialbero sul macchinoso due tempi a debole sovralimentazione che l’anno precedente aveva vinto a media record. Ma altri ritengono vi sia una ragione più che altro nell’esperienza del circuito del pilota britannico, dato che la corsa si svolse sotto condizioni atmosferiche avverse, con pioggia e grandine.


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