Perché ci dimentichiamo delle altre guerre?

E' impossibile interessarsi a tutti i conflitti che ci circondano

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Perché ci dimentichiamo delle altre guerre?

Chiunque si relazioni con i mezzi di informazione si espone a ricevere giornalmente un'ondata di catastrofi internazionali e tragedie quotidiane.

Come reagiamo a queste notizieReagiamo a queste notizie con diversa intensità: la maggior parte le assorbe in silenzio, altri alzano la voce, e la minoranza è pronta ad agire. Ma reagiamo!

Perché certi racconti fanno veramente male.

E proprio perché ci fanno male, ad eccezione degli affettati diretti di cui porteremo la loro croce per il resto dei nostri giorni, retrodatiamo l'informazione a tappe più o meno profonde nel nostro cervello, e meno a fiore di pelle.

Le poche volte… dimentichiamo.

Altre, le più, immagazziniamo per migliori occasioni, e rimaniamo con un ricordo che serve a modellare la nostra visione del mondo. Ma il fatto è che perdono rilevanza, in un modo o in un altro.

Ed ogni volta che un evento del passato - che in realtà non è mai sparito, ma si è limitato ad occupare stabilmente un secondo posto- torna a riattivarsi, appaiono voci di condanna che c'accusano di avere reagito apertamente in un momento puntuale, e ci fanno sentire colpevoli per non avere mantenuto un'implicazione costante.

Nel peggiore dei casi, ci rendiamo conto che ci stiamo autoaccusando di opportunismo.

Che ci accusiamo di smemoratezza e ci imputiamo di mancare al nostro dovere di persone sociali.

Per poi gettare la colpa addosso alla nostra biologia e ai mezzi d’informazione.

Avete tentato, amici e amiche.

Avete cercato di rispondere al mondo che vi circonda dichiarandovi persone coscienti e responsabili, ma a volte la migliore intenzione del mondo non è sufficiente. Oh.

Avete bisogno di prove!? Ottimo!

Quello che segue è un grafico che mostra il numero di ricerche su Google sul termine "Siria" , teatro di una guerra civile dal 2011.

E ora, un confronto con il recente conflitto di Gaza. 

Evidenzio quest’ultimo, per mero esempio, perché ci sono stati altri precedenti nel tempo. 

Scoperto qualche indizio iniziale?

Guardate i picchi d’intensità, ripetuti nel tempo, che con l’ultimo annullano le menzioni alla guerra nel Paese arabo.

E abbiamo il coraggio di dire che siamo coscienti e responsabili?

La nostra persona digitale è orribile, e io sono il primo di questa lista. 

Il Web  ha amplificato i fenomeni sociali, ma, incredibilmente, è diminuita la qualità della partecipazione delle persone, secondo uno studio della Rutgers University e il Centro Studi Pew, il quale conclude affermando che gli utenti attivi nelle reti sociali si mostrano sempre meno inclini a esprimere opinioni divergenti fuori dal mondo digitale e le reti di discussione tendono alla polarizzazione. 

Ma non fraintendetemi, per favore.

L’incremento delle opinioni, di per sé, appare meraviglioso. Ciò che m’infastidisce sono gli scarsi punti d’intersezione che aiutano a migliorare il livello del dibattito.

Non che avvenga sempre, niente affatto, ma questo punto intricato è il massimo della nostra meraviglia nel mondo reale che spesso è direttamente proporzionale al nostro livello di stupidità dietro una tastiera. 

Coloro che stanno in silenzio, lo fanno in parte a causa della paura della disapprovazione massiccia, esacerbata dalla nostra tendenza ad attaccare la persona invece di discutere della questione sulla visualizzazione della sua opinione, qualcosa di infinitamente meno nocivo, e perché essi sono consapevoli che il dialogo sui social network è inesistente perchè l’abbiamo cancellato con una serie di aforismi che riflettono il nostro desiderio di "avere sempre e comunque l'ultima parola." 

Le opinioni moderate, generalmente più lunghe di 140 caratteri, non ridondano nel successo popolare né trascendono nel momento di cambiare una corrente di pensiero.

La mera espressione individuale nelle reti sociali si è convertita, in sé medesima, in un fenomeno virale, per il quale si biasima " il parlare molto, ma poco il fare."

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