Editoriale

I 20 anni di Forrest Gump. I vent'anni dell'America

Due decadi seduti in un ufficio riassaporando la sua storia senza mai stancarci

 

di  

occante. Epico. Semplicistico.Disperatamente manipolatore. Rivoluzionario. Convenzionale. Apolitico.                             

Forrest Gump fugge tra le crepe dell'opinione popolare e sfida la distanza esistente tra pensiero critico e percezione popolare: nessuno nel proprio sano giudizio qualificherebbe il film come un classico, ma è già successo più di una decina di volte; questo film rimarrà indelebile nella memoria dello spettatore finché vivrà. Forrest Gump, uno degli ultimi oggetti inclassificabili del grande cinema di Hollywood, compie 20anni. “

Non ha avuto la tipica struttura di una sceneggiatura”, ammette Robert Zemeckis.

Rompe tutte le regole che conosco. Nessuno cerca qualcosa all’interno della sua struttura. Esiste solo lo spirito di Forrest Gump. E questa è la colonna portante del film”.

Forrest Gump crede solo in tre cose: in Dio, sua madre e l’adorata Jenny. Tutto il resto è uno spaccato di trent’anni di storia degli Stati Uniti.

Trenta anni in cui il paese è catapultato fuori dal bocciolo attraverso due narrative parallele unite dal conflittuale amore che lega i suoi rispettivi protagonisti: Forrest Gumpe Jenny.

E, a secondo di come si guardi, può essere interpretato come una celebrazione a tutto tondo della bontà e dell’innocenza. Oppure, una glorificazione di una posizione politica eccessivamente conservatrice dove gli stili anticonformisti non sono molto ben definiti.

Tutti ricordiamo Jenny Curran, che flirta con il suicidio al ritmo di “Free Bird.” È un punto di svolta di un personaggio che, obiettivamente, decide di far parte della controcultura statunitense. Obiettivamente, perché per Zemeckis la ragazza ha venduto la sua anima pezzetto dopo pezzetto.

Comincia nuda squarciando leggermente gli accordi di Dylan e finisce vent’anni dopo ad un passo dallo stampare le sue cervella contro il suolo, accompagnata dalla frenetica chitarra di Allen Collins. Forrest e Jenny si ritroveranno dopo vari anni. Uno all'apogeo della sua vita, lei al tramonto.

Lui è un eroe di guerra, icona sportiva e milionario. Jenny malata di Aids? (Il regista non ha mai confermato).

La malattia non è il tema che Zemeckis ha voluto mettere a fuoco, l’ha sempre detto. Ha sperimentato i principi di sopravvivenza come madre single. L'America premia la fedeltà dei suoi figli.

Chi si allontana della strada è condannato. “Quello che non volevamo fare col Vietnam è di dare una versione edulcorata della storia”, commenterà Tom Hanks.

E’ una visione del conflitto con gli occhi di Forrest. Il Vietnam è trascendentale nel film perché del protagonista emerge un'altra linea narrativa che unifica un film profondamente episodico: Forrest Gump che gioca a Football, che gioca a pingpong, che corre, che va in guerra.

Il tenente Dan Taylor, di per certo, è l'altra grande costante nella vita di Forrest. Più marcatamente metafisica. Se Jenny rappresenta il lato oscuro dell'America, il ten. Taylor è una vittima del destino.

Quando Forrest lo salva, il tenente lo incolpa di intromettersi nel suo futuro.

Esiste una certa tragedia intorno a Forrest Gump? Certo!

In primo luogo, perché il nostro mammone è un tantino “sfigatello”: la sua fidanzata muore, il suo migliore amico decede proprio nel momento in cui può riscattarsi ed il suo diretto superiore finisce sulla sedia a rotelle, privato del suo glorioso destino e ridotto alla percezione di un uomo semplice.

Io ero il Tenente Dan Taylor”, gli rimprovera. “ E lo è ancora”, gli risponde Forrest: una descrizione molto meno eroica, ma sicuramente più pragmatica. Quando qualcuno interagisce con Forrest, smette di essere quello che pretendeva di essere, e scopre quello che realmente è.

Bubba non aprirà mai un commercio di gamberi, il tenente Dan non entrerà mai nel pantheon degli eroi e Jenny non vivrà mai nella sua America libera.

E tuttavia, il mondo trova la pace, alla fine. Le ferite del tenente cominceranno a cicatrizzarsi, grazie a Forrest Gump.

Da un po’ tempo a questa parte, Forrest Gump è stato oggetto di revisioni, in merito a valori ed ideali, soprattutto nel momento in cui smettiamo di esaminare alla lettera il film.

La grande domanda nascosta in questo film è se gli uomini intelligenti che guidano l’America sanno cos’è l'amore. L'educazione in Forrest Gump non è che una transazione cinica, i milionari innocenti non esistono, Forrest viene sempre zittito. La gente non riceve quello che si merita e la vita non è giusta. È una satira molto intelligente che sottomette il sistema statunitense ad uno scrutinio morale.

E ogni volta che Forrest corre, il cambiamento corre con lui. Usa le sue gambe per lasciare dietro i bulli, per garantire il suo futuro all'università, per salvare il suo plotone da morte sicura, per trasformarsi in un’icona hippie abbracciando il suo amore nel memoriale di Lincoln e, finalmente, per unificare una società intera grazie alla sua monumentale passeggiata per l'America.

Personalmente la parte migliore della pellicola è quando tratta narrativamente una sequenza rinfrescante- ritorna la struttura ad episodi dietro una parentesi particolarmente deprimente, nel quale il nostro eroe conosce finalmente l'amore e finisce abbandonato il giorno dopo- e tematicamente paradossale perché c'è una differenza bestiale, ma bestiale, tra le intenzioni profondamente personali del nostro protagonista, impegnato a fuggire a falcate dalla depressione e la percezione profondamente commerciale che genera nella società: passo a passo, Forrest Gump si trasforma nell'uomo delle Nike Cortez, nel creatore dell'Acid, nel trending topic del giorno e, in un messia dei nostri tempi. Non c'è scena in tutto il film che rappresenti meglio la schizofrenia con la quale si contempla questo film ai nostri giorni, e nessun’altra che risulti tanto direttamente rilevante oggi come oggi.

Forrest Gump ha la fortuna che dietro la telecamera ci sia il discepolo di Steven Spielberg. Zemeckis è, fra i suoi coetanei e colleghi, quello che meglio ha compreso il potere del simbolo. Nessun momento è tanto poderoso come la delicata piuma che apre il film.

Tutti gli aspetti della metafora sono validi: come in Forrest e in tutti quelli che lo circondano, il vento che ci culla fino a lasciarci in un posto differente, dove smettiamo di essere un proiettile perso per terra e acquisiamo un'importanza propria.


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    4 commenti per questo articolo

  • Inserito da Giovanni il 24/09/2014 16:45:02

    Inutile chiedersi che fine abbiano fatto i protagonisti del film, tutt’altro che spariti dalla circolazione, eppure ne è passata di acqua sotto i ponti dalle riprese della pellicola

  • Inserito da Dani il 24/09/2014 14:58:51

    Articolo molto interessante

  • Inserito da fumatrice il 24/09/2014 14:56:25

    Vero e proprio capolavoro recensionistico, ha ragione Bea. Una struttura da uomo di cinema. Hai dato una tua sceneggiatura a chi ha visto questo film così tanto per passare due ore. Melani sei nuovo ai miei sensi, ma da oggi comincerò a leggerti visto che scrivi moltissimo su questo giornale. Collabori con altre testate? Un complimenti sincero e mille di questi articoli.

  • Inserito da Bea il 24/09/2014 14:48:53

    Mai letto una recensione ed analisi piu intelligente e stupenda come questa, un altro capolavoro tuo, Max, complimenti!

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