Teatro dell'Opera di Firenze

Va in scena il Campiello goldoniano di Ermanno Wolf ed è subito successo

Una riproposizione in chiave 900esca che non disturba e dove tutto funziona alla perfezione. Da vedere

di Domenico Del Nero

Va in scena il Campiello goldoniano di Ermanno Wolf ed è subito successo

Un amarcord goldoniano  con echi  di Richard Strauss.  Il Campiello di Ermanno Wolf –Ferrari, andato in scena per la prima volta nel 1936, è sicuramente un lavoro di grande fascino, anche se la musica non convince sempre del tutto a un primo ascolto.  Forse sarà l’impressione di un “ritardo”: bene o male i suoi modelli principali, il Falstaff verdiano e forse il  Rosenkavalier,( 1911)  sono ormai lontani e nel 1936 i sentieri del melodramma, peraltro abbastanza incerti, sembravano ormai dirigersi in ben altre direzioni.  Ma sarebbe sbagliato considerarlo uno stanco ripetitore del modello straussiano: nonostante gli indubbi richiami e lo stesso organico strumentale, la musica del compositore italo- tedesco ha una cifra personalissima e unica.

L’edizione che sta andando in scena in questi giorni al teatro dell’Opera di Firenze rende davvero al meglio tutta la carica emotiva e briosa di quest’opera, questo Goldoni riproposto in chiave novecentesca. Veramente un bellissimo allestimento, uno dei migliori di queste ultime stagioni: lo spettacolo in cui tutto funziona alla perfezione, golfo mistico e palcoscenico procedono in perfetta sintonia e la regia mantiene un sapiente equilibrio tra tradizione e innovazione.

Prima di tutto, Goldoni. La scelta di ambientare i tre atti in tre epoche diverse, pur nello stesso scenario della piazzetta (il campiello, appunto) veneziana, che pertanto malgrado gli inevitabili cambiamenti legati al tempo mantiene però la stessa fisionomia, sembra sottolineare l’attualità sempre vivissima di Goldoni, che si aggira infatti, anche se perplesso e sconcertato, nelle secondo atto (ambientato nel 1936, anno della prima dell’opera di Wolf-Ferrari) e nel terzo ( nel 2014)  sempre nel suo costume settecentesco. Una attualità  che era una ferma convinzione del musicista: Monaco e Venezia, Dante e Goldoni furono sempre i suoi punti di riferimento artistico e dal suo grande concittadino egli ricavò ben cinque opere, tra cui quelle considerate – insieme al Segreto di Susanna – i suoi lavori migliori: I quattro rusteghi e  lo stesso Campiello. Mutano così gli “accessori” nella piazza veneziana, le locande si trasformano in Alberghi, arrivano le poste e i telegrafi e i negozi di souvenirs; ma la natura umana resta la stessa, quella che Goldoni si era divertito a ritrarre con bonario anche se pensoso umorismo: ed è merito davvero non da poco del regista Leo Muscato essere riuscito a costruire uno spettacolo del tutto credibile, divertente  ma senza soffocare quella vena di malinconia che affiora in più riprese dalla partitura.  Molto ben riusciti e del tutto “intonati” alla varie epoche i costumi di Silvia Aymonino: uno spettacolo davvero di rara finezza, del tutto adeguato allo spirito del compositore.

Molto vivace e appassionata la direzione di Francesco Cilluffo, che ha saputo far brillare al meglio i vari colori dell’orchestra di Wolf- Ferrari, dalla vivacità alla malinconia, alle numerose reminiscenze settecentesche e rossiniane ma anche ai numerosi “prestiti” sempre sapientemente amalgamati : un’esecuzione che non ha soffocato la delicatezza raffinata della partitura evidenziandone però anche la forza e la vivacità. Se come scrisse Mario Morini, questa partitura risplende ammirevole “ per l ‘estrema naturalezza della musica e l’aderenza all’ambiente e al clima della vicenda, giacché Venezia  non è meno protagonista di quanto lo siano i personaggi che in essa  si riflettono e si riconoscono”, questo “clima veneziano” (ma non solo) è stato reso al meglio sia dal palcoscenico che dall’orchestra.

Molto buona la compagnia di canto, anche sul versante della recitazione, convincente e briosa ma mai sopra le righe.  Il “canto gentilmente popolaresco” (Diego Valeri) di quest’opera ha trovato interpreti validi e sicuri, soprattutto nella soprano Alessandra Marianelli, una Gasparina   sapientemente leziosa e dalla voce sicura e ben modulata, particolarmente nei pianissimi; spiritosi e “squillanti” al punto giusto i due tenori nella parte delle “vecie”  Donna Cate Panciana (Cristiano Olivieri) e Pasqua Polegana ( Luca Canonici).  L’Anzoleto di Filippo Morace, basso baritono dal ricco e prestigioso repertorio, è stato brillante e convincente come sempre, con una voce potente e ben modulata nei suoi “chiaroscuri”.   Applausi meritatissimi, ma  vuoti davvero inesplicabili tra le file. Il teatro ha tra l’altro fatto una politica di prezzi decisamente  contenuti e soprattutto con spettacoli di questo livello sarebbe dovere di tutte le persone di cultura sostenerlo. Si spera che nelle prossime repliche i vuoti vengano colmati, perché questo è uno spettacolo davvero da tutto esaurito.

Ultime repliche: martedì 30 settembre, giovedì 2 e sabato 4 ottobre, ore 20,30.

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