Editoriale

La dittatura del presente e quella del vuoto

Due articoli di Veneziani e Galli della Loggia per capire i deserto di idee e valori

Vincenzo Pacifici

di Vincenzo Pacifici

Professore ordinario di Storia Contemporanea Roma La Sapiena

lass="Normal">Non voglio perdermi sulle e nelle diatribe europee, in cui vengono calpestati gli impegni e si è scatenata una guerra, che poteva essere scatenata prima perché prevedibile era il virus oggi esploso, remoti gli errori e profonde le prepotenze sottaciute dai padri fondatori nostrani dell’Europa, a cominciare da Ciampi, Prodi e lo stesso Napolitano.

Intendo guardare ad un “fondo” di Galli della Loggia e ad un “cucù” di Marcello Veneziani .

L’editoriale del “Corriere della Sera” reca un titolo eloquente, “Il vuoto intorno a leader”, da integrare con la frase “già sinonimo del nulla” e prosegue notando che “come unico erede nonché unico sopravvissuto sia pure di secondo grado tra tutti i fondatori della Repubblica, era giusto che dal solo Pd potesse venire la parola fine all’intero universo ideologico del Novecento italiano e delle sue culture politiche”. Ciò è potuto avvenire perché Berlusconi “non sapeva praticamente niente del vecchio, delle sue radici, della sua narrazione, delle sue mitologie”, perché “eterno dilettante ‘impolitico della scena pubblica italiana, in vent’anni non è riuscito ad essere altro che l’uomo del ‘prendi i voti e scappa’”. E qui Galli della Loggia incorre nella seconda dimenticanza (la prima è il ricordo dei 7 fratelli Cervi uccisi dai fascisti e non dei 7 fratelli Govoni uccisi dai partigiani), dal momento che gli 80 euro (2,6 al giorno) e i 100 alle neomamme (poco più di 3 quotidiani) di Renzi non sono altro che elemosine elettorali, già raccolte in occasione delle europee.

Cade onestamente Galli della Loggia nell’ampiamente opinabile, per non dire nel ridicolo, nel momento in cui attribuisce al boy scout una preparazione su temi quali “Alcide Cervi, Gramsci, il Pci, la cultura cattolica, la vicenda politica del Paese, la sua saga più o meno autentica, i suoi tabù e i suoi non detti” e addirittura lo riconosce come leader di “una rivoluzione culturale contro un insieme di stereotipi del passato che il loro habitat elettivo proprio a sinistra”.

Incorre poi nella terza dimenticanza, ovvia e scontata per lui, nel passaggio in cui notando che “Renzi manda all’aria tutto […] e smantella anche la Destra. Mostrando l’obsolescenza dell’una mostra l’inconsistenza pure dell’altra, che in Italia è stata sempre priva di una vita una vita propria”. Piacerebbe sapere se l’avverbio “sempre” ha validità assoluta o limitata per articolare una risposta di dimensioni diverse ma comunque non breve o telegrafica.

Finalmente qualcosa di utile al dibattito emerge nel capoverso conclusivo in cui Galli della Loggia rileva che “non a caso al presidente del Consiglio arride un consenso plebiscitario che non conosce confini di Destra e Sinistra, avendoli cancellati virtualmente tutti” e riconosce che “il suo successo si accompagna dunque alla solitudine. E’ la solitudine di un giovane vincitore, certo. Ma proprio in quella solitudine, bisogna dirlo, c’è qualcosa che inquieta: l’ombra di un rischio, il sentore di un eccesso”. A noi, uomini di Destra “inquieta” invece la resa di Berlusconi e l’autolesionismo inconcludente della Destra, che hanno consentito il successo, appariscente ma non efficace per l’Italia,  del venditore di pignatte.

Veneziani, invece, come è suo solito, coglie con due frasi il senso del momento, segnato dalle smargiassate esibizionistiche del Pierino della Leopolda, da alcune letture sconvenienti del Sinodo e da alcune frasi inopportune di Papa Francesco.

“C’è un legame – si chiede Veneziani – tra il nuovismo di Renzi, il politico wireless che rottama il passato e cavalca gli umori del momento, il nuovismo clericale che esorta preti e credenti ad aggiornarsi e adeguarsi all’oggi e l’imposizione dell’Europa a sacrificare la storia e il futuro delle nazioni al rigore dei conti correnti? Sì, c’è un legame profondo che attiene allo spirito dell’epoca e si può definire ‘la dittatura del presente’”. “In senso culturale – spiega, concludendo il nostro amico – dittatura del presente è una definizione pertinente perché  l’unico modo per affermarsi o restare nel giro è cavalcare gli umori del momento, adeguarsi al Canone Vigente, senza mai sporgersi a progettare il futuro e senza mai evocare la fedeltà al già stato”.   Ma perchè arrendersi, piegarsi e non reagire?

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