Mafia Capitale, i misteri dell'inchiesta

Due anni fa Buzzi aveva mandato i suoi avvocati in procura per sapere se era indagato

Franco Bechis per Libero racconta la storia incredibile di un'inchiesta che gli indagati avevano forse già scoperto. Hanno inquinato le prove? Hanno fornito false intercettazioni?

di Franco Bechis

Due anni fa Buzzi aveva mandato i suoi avvocati in procura per sapere se era indagato

L’inchiesta su Roma Capitale ha rischiato di essere compromessa fin dai suoi primi passi, e chissà che almeno parzialmente non lo sia stata. Proprio il personaggio chiave della lunga inchiesta, il capo delle cooperative rosse romane, Salvatore Buzzi, sospettava di essere controllato dalla procura di Roma.

Il 14 dicembre del 2012 i suoi avvocati, Alessandro Diddi e Mariangela Mastrodicase hanno bussato alla porta della procura di Roma e richiesto formalmente sulla base dell’articolo 335 del codice di procedura penale se esistevano iscrizioni a carico del proprio assistito. A quel punto è scattato il panico in procura.

E i tre pm che stavano conducendo le indagini - Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli - in un documento che ora è allegato agli atti di indagine riconoscono che «gli esiti delle attività intercettive hanno indotto quest’ufficio a iscrivere Salvatore Buzzi per i reati di cui agli artt. 416, 323, 326 e 319 c. p. (Buzzi risulta essere rappresentante legale della società Eriches 29 s.c.a. r. 1. - impresa edile che ha svolto i lavori concessi in appalto dal Comune di Roma per la manutenzione e l’adeguamento dei prefabbricati mobili del campo nomadi di Castel Romano - e in diretto contatto con Massimo Carminati e altri indagati, gestione illecita di appalti pubblici); nell’ambito della gestione illecita di appalti pubblici», ma aggiungono allarmati che «la comunicazione della notizia dell’iscrizione potrebbe determinare un grave pregiudizio alle indagini in corso».

Per questo dispongono «la segregazione dell’iscrizione di Salvatore Buzzi, nato a Roma, il 15 novembre 1955, per il periodo di tre mesi». Gli atti sono diventati quindi segreti, e formalmente lo sono restati fino a quando due anni dopo non sono scattati gli arresti di Roma Capitale. Resta però il dubbio iniziale: perché Buzzi ha fatto fare agli avvocati quella domanda in procura? Aveva avuto una soffiata? Si era accorto di essere intercettato?

E con quel sospetto come si è comportato nei mesi successivi? Si è accontentato della semplice risposta negativa che la procura ha dovuto dare ai legali quella vigilia di Natale 2012? Accortissimo il capo della Coop 29 giugno non è stato, vista la mole di intercettazioni che lo coinvolgono.

Ma a dire il vero un po’ di cautela è dimostrata dai corposi fascicoli allegati all’indagine: i protagonisti negativi dell’indagine hanno generalmente cercato di eludere indagini che immaginavano in corso. Hanno acquistato apparecchi tecnici che avrebbero dovuto disturbare e perfino deviare le intercettazioni telefoniche e ambientali. Hanno cercato per quanto possibile di evitare comunicazioni telefoniche.

E chissà se il contenuto di quelle che comunque la procura è riuscita ad intercettare era poi tanto genuino e non talvolta confezionato ad arte per l’ascolto degli inquirenti. Il dubbio rimane. E una certezza c’è: l’inchiesta ha non pochi buchi. Perchè la macchina degli inquirenti non è riuscita a funzionare alla perfezione come dovrebbe in questi casi. In più casi non sono riusciti i pedinamenti richiesti per colpa del traffico e delle numerose infrazioni al codice della strada compiute dagli indagati: loro passavano con il rosso e contromano, chi le seguiva non poteva farlo e banalmente se li è persi.

In un altro caso, proprio durante le ferie natalizie 2012-2013 per una serie incredibile di incomprensioni e di problemi tecnici non sono state fatte le intercettazioni telefoniche richieste. Scene da film comico: chi trasmette l’ordine? Tu? Io? E alla fine il decreto di intercettazione si è perso nei cassetti degli uffici giudiziari della Capitale. In più di un caso i colpevoli dell’incuria sono stati gli stessi intercettatori: trasmettevano in procura i brogliacci delle trascrizioni, ma si dimenticavano di unire i cartellini in cui c’era scritto quale numero era intercettato e chi ne era titolare o utilizzatore temporaneo.

Nonostante molte richieste non sono pochi gli atti ufficiali restati orfani di quella indicazione. Non saranno processualmente utilizzabili in questo modo, e quel lavoro va buttato via. Non a caso il più disperato- e talvolta proprio incazzato - dei pubblici ministeri per questo stile di indagine “all’amatriciana” è sembrato essere il pm Paolo Ielo, abituato a ben altra precisione di lavoro quando era a Milano.

I pubblici ministeri si sono accorti solo a gennaio 2013 che due numeri di telefonino chiave utilizzati dagli indagati risultavano non più intercettati durante tutte le vacanze di Natale. Hanno controllato: loro i decreti di proroga delle intercettazioni li avevano regolarmente firmati. Allarmati chiamano la dirigente di Vodafone che si occupava di queste pratiche e lei spiega: «Ho disattivato l’intercettazione della linea essendo scaduto il decreto e non avendo ricevuto alcuna proroga».

I pm cercano nei cassetti e trovano il loro decreto e anche la ricevuta di trasmissione del 28 dicembre 2012 alle ore 11 e 30 all’ufficio C.I.C.E. della procura di Roma che avrebbe dovuto trasmetterlo a Vodafone. Li chiamano e quelli candidamente ammettono di essersene dimenticati, ma che l’avrebbero trasmesso subito. Per due settimane chi aveva quel numero di telefono ha potuto fare e dire quel che voleva.

Per l’altro numero l’incidente è invece stato più tecnico: chi lo aveva con sé il 23 dicembre 2012 ha deciso di cambiare sim e telefonino, pur conservando lo stesso numero di telefono. Si è modificato il codice Imsi e chi lo intercettava non se ne è accorto. Anche qui lavoro degli inquirenti in fumo per più di due settimane. Con Carminati spesso le indagini sono andate in fumo per problemi di viabilità.

Un giorno fa i impazzire i quattro marescialli dei Ros che gli stavano alle calcagne: spostandosi cambia due macchine e prende pure un motorino. Non riescono a stargli alle calcagna. Lo seguono dalle 11 del mattino, alle 14 e 20 si arrendono: «Il servizio viene interrotto, in quanto le condizioni di traffico intenso non permettono la prosecuzione dello stesso in condizioni di sicurezza».

Un altro giorno la moglie di Carminati è osservata in negozio. Poi esce, prende il suo motorino e va contromano: i sottoufficiali non possono più seguirla. Una sera Carminati li semina bruciando con la sua auto almeno tre semafori rossi. Chi lo segue si ferma perchè ci sono troppe macchine in giro, e si rischierebbe di provocare incidenti. E il pedinamento va in fumo.

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