Artemisia Gentileschi

Conclusa la mostra, a Palazzo Reale di Milano, della celebre pittrice

Sono state presentate per la prima volta cinque lettere autografe della artista

di Michela Gianfranceschi

Conclusa la mostra, a Palazzo Reale di Milano, della celebre pittrice

Artemisia Gentileschi, Autoritratto.

Si è conclusa da pochi giorni a Palazzo Reale a Milano la mostra sulla celebre pittrice romana Artemisia Gentileschi (1593-1654), le cui gesta sono particolarmente ricordate a causa di una torbida vicenda biografica. Con più di cinquanta opere e documenti inediti è stata presentata la più completa esposizione monografica dedicata alla affascinante pittrice romana.

Sembra impossibile, all’inizio del terzo millennio, che una mostra su una artista donna non abbia a che veder con le sue esperienze sessuali. Vero è anche che Artemisia Gentileschi vanta una biografia rocambolesca e ricca di elementi scabrosi che sembrano perfetti per l’odierna pruriginosa curiosità popolare. Tuttavia l’apertura di questa mostra, peraltro bella e ricchissima di capolavori, ci è sembrata eccessivamente sopra le righe e tutto sommato scontata.

Entrando nella prima sala dedicata all’esposizione, ci si imbatte in un grande letto disfatto, illuminato da luci danzanti e inondato dalle ombre delle parole vergate sulla carta dalla stessa artista. I fogli pendono sopra le lenzuola in una danza macabra, ma al contempo sensuale, mentre una voce di donna, registrata in sottofondo, legge le terribili parole un tempo pronunciate dalla giovane durante il famoso processo per stupro in cui fu coinvolta. Non è possibile infatti raccontare le gesta pittoriche di questa artista senza includere le passioni e i dolori della sua movimentata esistenza.

Ma andiamo per ordine. Artemisia nasce a Roma, primogenita del pittore toscano Orazio Lomi (ma noto a Roma come Gentileschi, appellativo completo della sua famiglia d’origine) e di Prudenza Montoni romana. Presto orfana di madre, la giovane è affidata alle cure del padre che la inizia, insieme agli altri figli, alle pratiche della sua bottega. Qui Artemisia, oltre a posare come modella, impara a mescolare le polveri colorate, a preparare le tele, a stendere la base per la pittura. Secondo gli studi le prime prove artistiche, i suoi primi autonomi tentativi, risalgono agli anni 1608-1610.

Il 6 maggio 1611 è il giorno che cambierà per sempre la vita di Artemisia: è il giorno in cui viene violentata dal pittore Agostino Tassi, grande quadraturista (sofisticata tecnica prospettica che permetteva di dipingere incredibili scorci architettonici nelle volte e sulle pareti affrescate). Costui era stato incaricato dal Gentileschi di istruire la pittrice in erba sulla complessità della pittura di prospettiva e di guidarla nei suoi studi. Tassi, giovane affascinante e di talento, promette tuttavia di salvare l’onore di Artemisia sposandola, ma dopo alcuni mesi in cui la relazione prosegue nella clandestinità, Orazio disperato decide finalmente di denunciare e rendere pubblico lo stupro ai danni della figlia, inviando una supplica al papa Paolo V.

Il 27 novembre 1612 è emessa la sentenza del processo che sancisce la colpevolezza di Tassi e lo condanna all’esilio da Roma per cinque anni. Ma la terribile vicenda segna per sempre l’animo di Artemisia, che deve affrontare l’orrore degli interrogatori processuali, la pubblica vergogna, e sopportare l’allontanamento dall’uomo di cui si era infatuata, pur senza speranza (Tassi era infatti già sposato e dunque impossibilitato ad unirsi nuovamente in matrimonio).

Tra le prime opere che incontriamo nelle sale di Palazzo Reale allestite per la mostra vi è l’emozionante tela con Giuditta che decapita Oloferne dipinta da Artemisia nel 1612, lo stesso anno del processo per stupro. È difficile non cadere nella tentazione di collegare l’opera alla traumatica vicenda subita dalla giovane e infatti molti studiosi hanno letto una confessione intima nella coinvolgente composizione di luce e figure realizzata da Artemisia. È questo il momento in cui, dal punto di vista pittorico, ella si distacca dallo stile del padre e afferma la propria indipendenza.

Successivamente Artemisia, andata in sposa al fiorentino Pierantonio Stiattesi, figlio di un amico di Orazio, viaggia attraverso l’Italia, stanziando a Firenze, nuovamente a Roma, e poi a Venezia e Napoli. Già nei primi mesi del 1613 la giovane coppia è a Firenze alla corte del Granduca di Toscana. Qui Artemisia allestisce il suo personale studio di pittura e si fa conoscere. In una missiva del 1615 il segretario di Cosimo II de’Medici si riferisce alla pittrice come a «un’artista ormai molto conosciuta a Firenze». Ella gode infatti della incondizionata protezione di Cristina di Lorena, madre di Cosimo II, che le garantisce regolari ingaggi presso la corte, e ne favorisce l’inserimento nella selezionata cerchia di Michelangelo Buonarroti il Giovane e di Galileo Galilei.

La mostra milanese ha presentato per la prima volta cinque lettere autografe di Artemisia, parte di un carteggio intrattenuto da lei e da suo marito con il facoltoso gentiluomo fiorentino Francesco Maria Niccolò Maringhi, amante della pittrice. «Mio carissimo core» lo appella la giovane, auspicando di rivederlo al più presto.

In seguito Artemisia con il marito si ferma a Roma per qualche anno e nel 1627 parte alla volta di Venezia, dove rimane per circa tre anni, secondo le testimonianze documentarie. Al 1630 risale la tela dell’Annunciazione, conservata oggi a Capodimonte, che rappresenterebbe la prima commissione pubblica ricevuta da Artemisia a Napoli.

La città partenopea era all’inizio del Seicento la più grande città d’Europa, dopo Parigi, e vantava un primato anche come città d’arte. Qui era passato Caravaggio tra il 1606 e il 1607 e dopo di lui numerosi pittori del centro Italia, e qui avevano soggiornato alcuni pittori della corrente classicista tra cui Guido Reni, Domenichino e Lanfranco. Artemisia lavora attivamente in un ambiente così vivace culturalmente, collaborando talvolta con artisti locali e continuando anche a mantenere i rapporti con committenti fuori città. Alla metà degli Trenta la pittrice fu invitata in Inghilterra dal re Carlo I al fine di collaborare con il padre Orazio che dal 1628 era ospite presso la corte inglese e aveva con probabilità promosso il lavoro della figlia.

Di ritorno dall’Inghilterra nel 1641 ella riprende la propria attività a Napoli, dedicandosi prevalentemente a opere di grande formato; i suoi dipinti ospitano perlopiù eroine della storia sacra o della mitologia. In ognuna di esse sembra possibile individuare qualcosa della personalità della pittrice; in ognuna sembra possibile ravvisare il suo sguardo e percepire il suo forte spirito di sopravvivenza.

I documenti e i dipinti che testimoniano la vita di Artemisia ci accompagnano fino all’anno 1654, quando la pittrice riceve la commissione di tre quadri da realizzare insieme al napoletano Onofrio Palumbo, con cui negli ultimi anni era solita collaborare. Alcune fonti sette-ottocentesche riferiscono, ma senza riscontri certi, che l’artista fu seppellita a Napoli nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da artemisia ha avuto una figlia? ci sono documenti in proposito? il 25/08/2019 16:37:08

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