Quando il cinema era agli inizi

Omaggio a Leni Riefensthal

D’altra parte ai fratelli Lumière si riconosce d’aver realizzato con maggiore perfezione i loro filmati del dicembre 1895 ed è per questo che essi rappresentano il punto culminante dei primordi della cinematografia

di Piccolo da Chioggia

Omaggio a Leni Riefensthal

Leni Riefensthal.

Quando in un giorno di luglio del 1902 a Berlino nasceva Leni Riefensthal, il cinema aveva solo pochi anni, dato che Skladanowsky, in Germania, e i fratelli Lumière, in Francia, erano stati i primi, a distanza di qualche tempo l’uno dagli altri, in fine dell’anno 1895, ad aver effettuato una prima proiezione di filmati in pubblico. 

Il risultato cui giungevano, Skladanowsky da una parte e i Lumière dall’altra, non arrivava come era avvenuto per l’invenzione del fonografo che fu un frutto del solo genio di Edison. Esso dipendeva piuttosto da tutta una lunga serie di ricerche compiute dalla legione dei pionieri dell’immagine in movimento attivi tanto in Europa  quanto in America. Basti rammentare e il lavoro eccezionale di Etienne Jules Marey, in Francia, compiutosi con dei veri e propri filmati di un’anatra ripresa nel volo, i quali rappresentano il primo esempio di cinematografia applicata alla biologia e alla fisiologia, e la costruzione, da parte del prussiano Ottomar Anschütz, dello Schnellseher che era una sorta di visore di immagini ravvicinate. Diversamente da Marey il quale indagava l’esatto susseguirsi dei movimenti della macchina animale, Anschütz poneva un maggiore accento sull’estetica della composizione fotografica e pur essendo come il medico francese attratto dallo spettacolo della fauna, ricercava il quadro esemplare da poter ritrarre sulla lastra impressionabile. A ragione erano ammirate per la bellezza le sue immagini di cicogne in arrivo o in distacco dal nido, nelle quali si ritraggono gli atteggiamenti delle ali aperte e scampanate ed il collo allungato e gli steli delle zampe rilasciate di questi uccelli eleganti e allampanati. Non va altresì dimenticato che alla nascente arte veloce anche l’Edison ha dato un interessante contributo con la costruzione di un'altra macchina simile allo Schnellseher, e però più versatile ed evoluta, con la quale si poteva assistere alla visione di filmati appuntando l’occhio su di un piccolo schermo come avveniva nella macchina del Prussiano. All’invenzione ingegnosa di Edison era mancata soltanto l’idea della proiezione del filmato su di un telo perché si potesse dire d’un raggiunto stadio completo della cinematografia.


Si può qui rapidamente riassumere i passi che si compiono nel breve arco di tempo coronato dalle due prime proiezioni pubbliche di filmati in pellicola. È nel 1892 che il francese Reynaud effettua una breve proiezione animata. Degli anni fra il 1889 e il 1893 sono i filmati di Marey e quelli di Edison. Di nuovo spetta a Marey d’aver realizzato una prima vera macchina da presa mentre è da ascrivere allo Skladanowsky l’aver effettuato con l’anticipo sui Lumière di un qualche tempo, ovvero di qualche settimana soltanto, la prima pubblica proiezione. Un fatto che dà ai germanici la simbolica, pure se effettiva, priorità nel cinema, rivendicata a chiare lettere dai tedeschi lungo gli anni trenta, il tempo aureo della Riefensthal. 

D’altra parte ai fratelli Lumière si riconosce d’aver realizzato con maggiore perfezione i loro filmati del dicembre 1895 ed è per questo che essi rappresentano il punto culminante dei primordi della cinematografia.


Con i lavori di Georges Mélies il cinema esce dalla fase in cui esso è ancora solo un’ulteriore curiosità per un tempo di rapidissimo cambiamento del costume e della percezione estetica dovuti all’eccezionale susseguirsi di miracolose invenzioni quali elettricità, radiotelegrafia, aeronautica, e si appresta a divenire spettacolo capillarmente diffuso fino a maturare il suo carattere specifico di arte nuova.   

La trasformazione del cinema da semplice intrattenimento ad arte avviene per gli imprestiti che si susseguono dal teatro allo stesso modo di come la fotografia assume alcuni procedimenti della composizione dalla pittura. Le forme espressive più nuove devono per forza fare tesoro di quelle vagamente affini che le hanno precedute.


D’Annunzio, ammiratore di Ovidio che è il poeta dei continui mutamenti di forme, appena negli anni intorno al 1910 dà una forma alquanto suggestiva alla trasformazione del cinema in arte immaginandone una sua nascita favolosa dal teatro musicale. In quest’ultimo, con l’avvento delle opere musicali, vi era come da scorgere la crisi della “parola”, un fatto cui doveva di necessità conseguire un predominio della musica “sempre più largo” e tale da rendere palese un aprirsi sempre maggiore all’azione mimica ed alla danza. Risultato ne era che gli attori sarebbero rimasti sempre più lontani fisicamente dal pubblico e, portando al suo estremo il processo in tal modo avviato, essi dovevano finire per stagliarsi sul “fondo” della scena. Esito di questo inesorabile allontanarsi degli attori verso il fondo scenico sarebbe stato un futuro “crearsi di tipi imprevedibili di bellezza”.

Ma il “fondo” è, nel racconto del D’Annunzio, null’altro che quel muro ricordato di un “bianco sublime” il quale, adagiato su di un fianco dell’Acropoli di Atene e rivolto verso il teatro sottostante, diviene, con altro ardito mutamento di forme, quasi uno dei “trucchi cinematografici” che il poeta aveva visti dal vero negli studi torinesi di prima della Grande Guerra, il telo candido su cui si proietta la pellicola.

Avviene così dunque l’ingresso del cinema nel novero delle arti e per esso vi è anche la bella denominazione in “arte veloce” destinata a rinnovare vivificare con “trucchi” sempre più ingegnosi l’antica e sempre verde tradizione delle Metamorfosi ovidiane.


E’ sorprendente, a questo punto, vedere come la Riefensthal evolva la sua vocazione col percorrere quasi esattamente, passo dopo passo, la traccia ideale data dal genio del poeta italiano nel suo inventare il formarsi della creazione cinematografica. Nella scuola dell’epoca guglielmina la piccola berlinese si segnala infatti per essere ben dotata a disegnare ed essere estremamente mobile; da bravissima e coraggiosa ginnasta quale è si esibisce spesso al Tiergarten in spericolate acrobazie sui pattini a rotelle catturando l’attenzione dei passanti che le si raccolgono intorno al punto da formare dei crocchi di curiosi per i quali, alla lunga, vi è intervento della polizia.  Qui abbiamo, si può dire, una prima spontanea metamorfosi ovidiana, ovvero le ali ai piedi del veloce Mercurio, divengono le rotelle ai pattini della bambina.

Ed è presto, dal 1916 in poi, la danza ad essere la vera vocazione della giovanissima Riefensthal che per la stessa non solo interpreta i ruoli stabiliti dalla tradizione dell’arte ma pure inventa nuove figure e scene da associare alla musiche.  Un incidente dovuto ad una rovinosa caduta mette però un termine alla sua promettente carriera di ballerina e coreografa e la porta a rivolgersi, intorno alla metà degli anni 20, al cinema, nel quale la sua bellezza e la sua eleganza naturale nel movimento e nella mimica lascerebbero, a prima vista, in ombra le altre notevoli capacità della berlinese che sono la buona recitazione, il coraggio fisico esibito nei suoi ruoli in film dell’allora (1928-35) fortunato tema delle storie alpinistiche, e la eccezionale bravura nella composizione fotografica e scenografica, mutuate, in grazia d’un’altra metamorfosi, dal talento pel disegno già rilevatosi nei primi anni di scuola. 

La Riefensthal arriva così a maturare, intorno al 1933/34 tutte le doti necessarie per passare alla regia cinematografica; conosce le figure della danza ed il loro ritmo interno narrativo, ad una danza ideata è in grado di associare la musica adatta, sa recitare bene ed è innovativa e classica ad un tempo nella composizione fotografica.  E, infatti, nel 1934 le viene commissionato il film documentario “Trionfo della volontà” nel quale vi sono perfino delle riprese ad obiettivo in movimento, che per quel tempo rappresentano una novità. Segue nel 1936/7 il magistrale Olympia, un documentario che non è semplice ricapitolazione della cronaca dell’avvenimento capitale dell’anno 1936, ovvero le famose Olimpiadi di Berlino, ma come ragione ultima ha la ricerca della sola bellezza. Ancora una volta è veramente interessante vedere come la regista tedesca, nel descrivere alcuni punti culminanti di Olympia, ricorra consapevolmente a immagini di metamorfosi armoniche:…”Sognai come si trasformasse la statua in un uomo di carne e sangue, mentre al rallentatore, il disco cominciava a vibrare; le statue si trasformano in danzatrici del tempio che si consumano nelle fiamme, il fuoco olimpico di cui s’infiamma la fiaccola che dal tempio di Zeus viene portata alla moderna Berlino del 1936”…  

L’”arte veloce” della Riefensthal, pur modernissima, torna nel luogo e nella “Stimmung” da dove essa trae origine, nell’Ellade arcaica dei cori e delle architetture che sono il “fondo”, insieme al cielo, delle prime immagini del film.  Per quanto poi possa inoltrarci sulla traccia di ulteriori metamorfosi vanno ricordate le splendide riprese dei tuffatori olimpici che appena levati in volo dopo il salto appaiono, nel voluto gioco di ombre e luci, come se si fossero trasformati in uccelli. Qui la fotografia rende un nuovo omaggio al volo vivente, uno dei suoi temi più belli e augurali se si rammentano le cicogne che escono dal nido di Ottomar Anschütz, o le traiettorie di gabbiani di Marey, o ancora quelle dei rapaci di Eadward Muybridge. 


Dal film Olympia verranno tratti i fotogrammi, scelti nuovamente per la sola bellezza, del volume celebrativo “Schönheit im olympischen Kampf” il quale anticipa in effetti la futura attività della regista tedesca quando, dopo la seconda guerra mondiale, per motivi politici, non le è più dato di poter girare dei film. Un futuro che la vede mutarsi in espertissima nuotatrice subacquea e fotografa della policroma flora sottomarina.

Da questa sua nuova vita nascono alcuni volumi di sole immagini dove le forme della flora degli abissi quali cerchi, figure a macchia, strisce rettilinee, curvilinee, elicoidali, sono riprese dall’obiettivo in un carnevale di intersezioni e colori che a me ricordano gli effetti d’una volontà espressiva che si compone in ritmi illogici ed arbitrari di linee colori e segni così seguendo punto per punto la regola della pittura astratta data da Julius Evola nel suo quaderno Arte Astratta.

Risulta allora naturale porre in guisa di legenda ad una qualche fotografia sottomarina della regista, scelta fra le tante, un frammento di poema raccolto entro il quaderno nominato 

 

                          

                          germogliano silenziosi fuochi d’artificio e grandi pesci diafani

                          amate gli strani cristalli neri perduti nella notte 

                          i fiori complessi carichi di Oriente


frammento suggestivo dell’assenza di suoni negli abissi d’acqua avvolti in un eterno blu notturno e del balenare colorato di forme di coralli e vegetazioni e rocce. E non è impossibile che, per una ulteriore metamorfosi apollinea ed ovidiana, vi sia chi, ammirato dalla bellezza delle foto subacquee della Riefensthal, desiderando ravvivarle ed estenderle senza gli artifici della riproduzione a stampa, non decida di tradurne forme e colori in fantastiche tele pittoriche. Che pur apparendo astratte sono però figurative d’una realtà esistente a remote profondità marine. 


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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da giò il 28/01/2015 15:12:29

    Mi sembra non si faccia riferimento al fatto che la somma regista era una nazista convinta e che le sue opere erano di sola propaganda. Qusto ad onor di cronaca.

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