Editoriale

Quella ipocrisia dell’identikit del futuro Presidente

Si oscilla fra il ridicolo e il patetico, sarebbe l’ora che sul Colle andasse un uomo eletto direttamente dal popolo

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

entre scrivo, sono in corso le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Italiana. Dopo giorni e giorni di colloqui tra le parti politiche, di interviste, di retroscena, di talk show televisivi, insomma dopo il consueto “toto-quirinale”, compreso il ricorso al web, introdotto dal Movimento Cinque Stelle e ripreso anche dal Fatto Quotidiano, si può tentare un primo consuntivo di questa fase. Intanto, dobbiamo constatare, una volta di più che, in un paese dove è universalmente riconosciuto come predominante un orientamento popolare “non di sinistra”, non si riesce a candidare credibilmente una personalità che non provenga dal mondo culturale e/o politico della sinistra. La questione assume caratteri di una goffa drammaticità quando si pensa che il candidato preferito da Forza Italia sarebbe Giuliano Amato e quello indicato dal duo Salvini-Meloni è un giornalista prestigioso sì, ma totalmente estraneo alla politica e sprovvisto di qualsivoglia esperienza internazionale.

A proposito di “identikit” – espressione abusata in questi giorni, per evitare di indicare e così bruciare possibili candidati – sono apparsi in contrasto alcuni fra i requisiti più sbandierati: da un lato, si voleva un illustre esponente della società civile, tecnici inclusi (e ne son venuti fuori, da questo “gioco di società”, da Muti a Magalli, dalla Gabanelli a De Siervo!); dall’altro si cercavano personalità con uno specchiato pedigree politico – magari che escludesse compromissioni con l’infetto ambiente romano… - e, soprattutto, con una riconosciuta stima internazionale (come dire, della burocrazia di Bruxelles e Strasburgo e dei mercati finanziari di Londra e Francoforte). Lo scopo dichiarato dai Grandi Elettori (una schiera i cui principali capitani, per motivi diversi, sono esclusi dalla cerimonia della “chiama” a Montecitorio: Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini, infatti, non sono parlamentari), ma anche dai più influenti opinionisti, sarebbe quello di dare al paese un valido garante dell’unità nazionale, un arbitro “super partes” e un forte custode della Costituzione.

Ora, se è vero che in questo momento storico l’unità nazionale non sembra messa a repentaglio da conati separatisti o secessionisti, è altrettanto vero che, volendo cercare un “idem sentire de re publica”, lo si troverebbe nella crescente avversione per la politica ed i suoi esponenti. Vale la pena di ricordare che, con una recente sentenza, la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima, per vizio della legge elettorale in vigore, l’elezione di buona parte dei parlamentari che si stanno avvicendando alle urne della Camera; vale la pena di ricordare che siamo in presenza del terzo governo designato dal Presidente della Repubblica e non eletto dal “Popolo sovrano”; vale la pena di ricordare che nelle ultime consultazioni amministrative, sono state toccate punte di astensionismo superiori al 50% degli aventi diritto. Se a tutto questo aggiungiamo quanto osservato oggi sul Corriere della Sera da Antonio Polito, a proposito di quella che definisce “opacità delle trattative”: “Ciò che vediamo non è sempre reale, e ciò che non vediamo è sospetto. I contendenti sembrano lottare, ma non possiamo escludere che i veti siano veli, elisioni reciprocamente utili. Perfino il web, luogo della trasparenza per antonomasia, rischia di essere usato dai Cinque Stelle per intorbidire le acque…”. Tanto per farci riflettere sulla legittima investitura del futuro Presidente.

Quanto poi alla difesa della Costituzione, in una fase in cui è pressoché unanimemente riconosciuta l’esigenza di porre mano a profonde revisioni, lasciamo al Lettore la valutazione dell’importanza di tale prerogativa presidenziale. Si dice poi che il Presidente dovrà essere arbitro “super partes”: una richiesta ingenerosa, qualora l’uomo prescelto dovesse provenire, come sembra, da uno schieramento e averne condiviso fino ad oggi le battaglie contro “l’altra parte”, dovendosi imporre una  rinuncia ai limiti dell’ascesi a una storia personale fatta di ideali e progetti, e, in definitiva, a un’identità plasmata in decenni di battaglie politiche. Bando alle ipocrisie ed alla retorica: a vincere è sempre stato un uomo di parte, più o meno capace di equanimità, forse con la sola lodevole eccezione dei De Nicola e degli Einaudi.

Del resto, volendo mettere il naso fuori dai confini, nella vicina Francia, perfino in frangenti tragici come quelli dei recenti attentati compiuti da terroristi islamici, un Presidente come Hollande ha dimostrato come la pretesa unità nazionale, celebrata con il massimo della partecipazione delle autorità internazionali e, si sarebbe preteso, del popolo di Francia, venga interpretata escludendo i seguaci e gli elettori di Marine Le Pen. Insomma, una riedizione in grande – e pomposo – stile “arco costituzionale”…

Insomma, quando avremo un Presidente eletto dal popolo? Mai, crediamo. O almeno, quando i Partiti decideranno di rinunciare a una parte cospicua del proprio potere, mai disciplinato – e limitato … - come prescrive la tanto osannata Costituzione. Quindi, mai. Ecco perché non ci sentiamo tanto coinvolti da queste elezioni “indirette”, indirette come quelle delle Province appena abolite (abolite?). Che venga eletta una figura incapace di fare ombra all’attuale Primo Ministro, o che dalle urne esca un altro nome della “casta”, impegnato a forzare a proprio favore la “Costituzione materiale”,  temiamo che per il cittadino cambierà comunque assai poco.

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