Editoriale

Eutanasia della nostra civiltà, dove non osa la politica

La discutibile azione dei governati e delle opposizioni diventa marginale di fronte alla forzate e forzose modificazioni che si stanno introducendo per uccidere quello che siamo

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

n questi giorni, le cronache italiane traboccano di storie di corruzione legate ai grandi appalti, e questa marea di melma lambisce, non di rado infangandola, la politica. Tutto questo, in attesa di celebrare i prevedibili trionfi dei politicanti, di qui a fine maggio, quando si tratterà di “rinnovare” alcuni Consigli Regionali, dopo aver risolto beghe di alleanze fondate su ricatti e veti.

Come accade sempre più a questa “politica senz’anima”, le istanze – espresse ora sotto forma di silenzio, ora con le “grida di dolore” e di indignazione – dei cittadini elettori finiranno in secondo piano, nel nome dell’esercizio di un potere che assomiglia sempre più alla possibilità di gestire, magari con un patto leonino a vantaggio del vincitore di turno, ingenti masse di denaro pubblico, talora sul filo dell’illecito, talaltra in forza di leggi appositamente varate. Nel frattempo, si fanno circolare voci di una prossima uscita dal tunnel, sull’onda di riforme pretese migliorative, i cui effetti la gente comune proprio non riesce a percepire.

Non sappiamo se altrove la situazione e le prospettive siano più rosee, ma anche dalle elezioni amministrative appena svoltesi in Francia e Spagna, sembra di capire che, almeno in politica, il “nuovo” avanzi a fatica, se è vero che presso i cugini transalpini vince Sarkozy e frena il Front National (ma sarà vero?), mentre in Andalusia il tanto reclamizzato “Podemos” si ferma al 15%. Paura del “nuovo”? Può darsi; ma anche tanta confusione – nelle teste dei cittadini – e tanta inadeguatezza dei politici (le speranze suscitate in Italia dai Cinque Stelle di Grillo e in Grecia da Tsipras sono andate a infrangersi sugli scogli della realtà, gestita dai veri centri di potere sovranazionali).

Vi è però un fronte di notizie sottovalutate e che invece, a nostro avviso, riguardano fenomeni di larga portata e di lungo respiro. Non mi riferisco, si badi bene, alla piaga – diffusa anche oltre i nostri confini nazionali – della disoccupazione giovanile e del sostanziale precariato, che introduce paradossalmente fattori di stabilità negativa nella società di domani, dove in conseguenza della precarietà e addirittura della mancanza di un lavoro – che non sia un semplice “posto” – si perpetuerà l’annosa crisi demografica e l’incertezza sulla stessa vita di coppia.

E neppure mi riferisco ai problemi legati ai flussi migratori e al crescente successo del fondamentalismo islamico, i cui nessi di causalità con l’emarginazione degli immigrati sono oggetto di analisi e studi contraddittori; anzi, di tali tematiche sono pieni editoriali su carta, sul web e in video. La vera questione è, a parer mio, di natura metapolitica e risiede nella formazione e nella diffusione di una serie coerente di idee acquisite, volte a plasmare la società di domani.

Sarebbe arduo darne conto nel breve spazio di un articolo, ma può essere utile fornire alcuni esempi sparsi, con particolare riguardo al caso italiano. Intanto, è sotto gli occhi di tutti che vi sono “agenzie culturali e d’informazione” impegnate a promuovere profondi mutamenti nell’istituto familiare. E’ di pochi giorni fa la notizia di “progetti pedagogici” sperimentali, in corso di svolgimento in alcune scuole elementari di Trieste e di Cremona, dove la “cultura gender” ha fatto altri passi avanti, seminando i suoi germi velenosi tra i giovanissimi.

In quelle aule, dove un tempo si insegnava non solo a scrivere e a far di conto, ma si inculcavano i principi sani del rispetto, della laboriosità,  della lealtà, della concordia familiare e dell’amor patrio, ora vengono esposti e messi in pratica i temi dell’autoerotismo, della abolizione dei ruoli basati sul sesso (a partire da quelli di mamma e papà), della messa in discussione delle stessi leggi della biologia, nel nome di un’uguaglianza di fondo che va perfino al di là della fungibilità dei ruoli sociali di uomo e donna. In parallelo, la scienza, unitamente a spinte legislative ispirate ad un preteso liberalismo, svincolano l’atto della procreazione dalla pratica dell’amore tra uomo e donna. Su questa linea, si sta affermando anche una “scuola linguistica”, che si propone di espungere dall’uso corrente vocaboli che sarebbero espressione residuale di una “cultura maschilista”, magari sostituendoli con altri che sarebbero di genere neutro, se il neutro esistesse nella nostra lingua: cittadinanza invece di cittadini, diritti della persona invece di diritti umani, solidarietà invece di fraternità e così via. Neutro, cioè né l’uno né l’altro, nel segno  una volta di più, di una labirintica confusione, il cui filo di Arianna sembra essere costituito dal piacere personale, anche quando questo ha l’aspetto dell’amore.

In proposito, non sarebbe male tornare a riflettere su “Sesso e carattere”, di Otto Weininger (siamo nl 1903!) e, per restare nell’attualità, sul “Sii sottomesso” di ‘Eric Zemmour, dove, ovviamente con il diverso taglio delle due opere – la prima, un corposo saggio storico-filosofico, la seconda, un pamphlet che sottolinea l’omologazione al femminile della nostra società e della nostra civiltà – sono registrati e addirittura profetizzati quei mutamenti a cui si accennava.

Altro mutamento in atto, con maggiore attinenza con la politica, va ravvisato nella progressiva attenuazione, se non scomparsa, della democrazia rappresentativa fondata sulle libere elezioni. Non crediamo di dover spendere troppe parole sul fenomeno, di cui in Italia ormai da anni subiamo le manifestazioni: da un lato, si è proceduto a sostituire la rappresentanza ideale, di visione del mondo, con quella degli interessi eminentemente economici; dall’altro, sono caduti tutti i veli che ancora dissimulavano l’esistenza e l’azione di oligarchie autoreferenziali, sempre più determinanti nella vita quotidiana dei popoli (e l’Unione Europea è soltanto una delle “sedi” di tali oligarchie…).

Ancora: vogliamo parlare dell’insopportabile, univoca esaltazione della pace senza se e senza ma, predicata fin dai primi anni di apprendimento del bambino, a cui da tempo si sconsiglia di usare armi-giocattolo (mentre i suoi coetanei di altre culture sono addestrati all’uso di quelle vere). Suicidio francese, per citare di nuovo Zemmour? No, eutanasia di tutta una civiltà (tanto per accennare a un altro dei temi “sensibili” all’ordine del giorno).

Su questa frontiera, un ruolo negativo di primo piano, purtroppo, viene svolto dalla Chiesa, che non solo ha dimenticato (o condannato a mezza bocca?) gli insegnamenti di San Tommaso e del gesuita Francisco Suarez, a proposito di “guerra giusta”, ma si trova culturalmente spiazzata, di fronte alla sanguinosa offensiva mondiale contro il Cristianesimo, che non può essere affrontata soltanto con la preghiera (alla quale, peraltro, siamo disabituati, nel quadro di un forse irreversibile processo di secolarizzazione).

La nostra civiltà già oggi non appare in grado di difendersi, e non solo con le armi, ma con il radicato orgoglio della propria identità, che mal si concilia con il perdono richiesto per le – autentiche o presunte – malefatte dei secoli passati, dalle Crociate al Colonialismo. Abbiamo lasciato cadere il saggio principio secondo il quale ogni fenomeno storico ha in sé del bene e del male e che l’eredità del passato va accettata senza il beneficio d’inventario, ma affermando in ogni caso l’orgoglio delle radici. Se vuoi la pace, insegnavano gli antichi, prepara la guerra; ma, aggiungiamo, anche la guerra delle idee e delle parol

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