Editoriale

E se Putin fosse un nazional-conservatore?

Il rifiuto dell’omologazione culturale si ritrova oggi nell’azione di preservazione della Russia da parte del suo Presidente

Gennaro  Malgieri

di Gennaro  Malgieri

i più sembra incomprensibile ciò che sta accadendo nella Russia di Vladimir Putin. Sembra che l’oligarchia al potere abbia intrapreso un “grande gioco”, alla maniera delle potenze che si esercitavano in Asia nella seconda metà del XIX secolo, per destabilizzare il mondo globalizzato e ricavarne dividenti cospicui. E’ quel che appare, ma non è così. Bisogna penetrare nelle fibre più nascoste del grande Paese-continente per decifrare le ambizioni dell’autocrate del Cremlino e soprattutto da dove deriva la nuova “volontà di potenza” che sembra emergere dalla difesa della cultura e  dell’ identità russa che Putin sta portando fino alle estreme conseguenze, come dimostra il conflitto con l’Ucraina e lo scontro con l’Occidente che, paradossalmente, vorrebbe spingere la Nato fin dentro il cuore stesso della “russità”, a Kiev.

La politica patriottica putiniana  è stata di recente analizzata, tra gli altri, da Paolo Borgognone nel suo ponderoso saggio   Capire la Russia. Correnti politiche e di ami sociali nella Russia e nell'Ucraina post sovietiche (Zambon editore, pp. 679, euro 25,00), nel quale viene esaminato, con dovizia di particolari, il magmatico movimento culturale  che direttamente o indirettamente sottostà alle tendenze che ispirano la politica di Putin o comunque contribuiscono a creare consenso attorno alle sue scelte. Un movimento che, senza girarci tanto intorno, Borgognone ascrive ad un conservatorismo nazionalista (per qualcuno nazional-bolscevico del quale l’interprete principale sarebbe l’eccentrico scrittore Eduard Limonov) di nuovo conio, ma dall'anima antica che guarda all’Europa che tuttavia non lo non lo comprende.

L'autore, giovane studioso piemontese, individua gli obiettivi della "nuova cultura russa" verso la quale si mostrano sensibili gli intellettuali europei meno condizionati dalla cultura conformista ispirata da quel sentimento della decadenza e del nichilismo ormai pervasivo. Gli obiettivi, da quel che si evince dal libro di Borgognone, sono principalmente l’opposizione alla mercificazione occidentalista e alla minaccia islamista. Certo, i conservatorismi post-sovietici sono molti e talvolta contraddittori, come osserva l'autore. Ma è indubitabile che l’anima russa è la “cifra” comune che li tiene insieme nell’aspirazione, per esempio, di immaginare l’Eurasia come soggetto geopolitico del quale si è fatto promotore l’ideologo Aleksandr Dugin del quale le edizioni Controcorrente hanno pubblicato un intenso dialogo con il pensatore francese Alain de Benoist, “Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica” (pp.141, euro 10), il quale nell’introduzione osserva che i fautori dell’euroasiatismo di fronte alla nascente post-modernità “propongono una geopolitica antioccidentalista, fondata su postulati culturalisti e principi identitari che valgono per tutti i popoli”.

Il panorama politico russo che contraddistingue lo scenario relativo agli anni Duemila - scrive Borgognone citando  -, ricalca in qualche modo la passata divisione (risalente già al XIX secolo) in due correnti principali: gli occidentalisti e gli slavofili. I primi propugnavano l'occidentalizzazione del Paese per modernizzarlo; i secondi, con lo stesso scopo, immaginavano un più profondo radicamento nella tradizione russa della modernità stessa. Accanto a questa dicotomia si poteva individuarne un'altra di tipo conservatore i cui principi, come è stato osservato, si fondavano sullo spirito nazionale russo e sul mantenimento delle politiche sociali esistenti e su una struttura statale salda. A ben vedere è lo stesso spirito che ha evitato nei suoi ultimi scritti Aleksandr Solzenicyn.

Il rifiuto dell’omologazione culturale si ritrova oggi nell’azione di preservazione della Russia da parte di Putin. Sia de Benoist che Dugin, infatti, citati da Borgognone, ritengono che l’impero euroasiatista “si ispirerebbe tanto al cristianesimo ortodosso (neobizantino) quanto sall’eredità di Gengis Khan, che fu il primo a unificare il grande spazio euroasiatico, all’esperienza storica dei Romanov, che posero sotto il controllo russo (ma senza russificarle eccessivamente) le terre e i popoli del Caucaso, della Siberia e di una parte dell’Europa dell’Est, ai principi tradizionalisti di certi autori del XX secolo, come Julius Evola e René Guénon”. E’ a questo “imperialismo” che si ispira Vladimir Putin? Se non ideologicamente, fattualmente di certo. Qualcuno, ultimamente, ha scambiato l’ambizione di Putin con la volontà di riportare in auge il mito della Terza Roma che pure ebbe in tempi lontani una certa forza attrattiva. Molto più realisticamente intende affermare il ruolo della sua nazione nel consorzio delle grandi potenze senza venir meno ai valori fondanti che la animano. Ecco, dunque, l’avversione allo smantellamento delle sue radici russe ed al ridimensionamento dei suoi confini.

Su tutto questo si sofferma Nelli Goreslavskaya nella biografia  “Putin, storia di un leader” (I libro del Borghese, pp.243,euro 18,00) sottolineando come sia stato capace di volgere a suo vantaggio i pericoli della dissoluzione della Federazione russa dopo l’uscita di scena di Eltsin. Adesso, tormentato dalla crisi Ucraina, dal  fronte apertosi con l’Occidente, continua a  ritenere indispensabile l’unità politica, morale e culturale e religiosa del suo Paese, immaginando una grande alleanza con l’ondivaga  Europa a cui sente che la Russia debba essere legata tanto per difendere interessi comuni economici che per fronteggiare l’islamizzazione la cui minaccia viene soprattutto dalle regioni meridionali ex-sovietiche. Il suo potere perciò è caratterizzato da un nuovo patriottismo i cui risultati sono indiscutibili a giudicare dal  cospicuo seguito elettorale del quale, colpevolmente, l’Europa non sembra curarsi  più di tanto.  commettendo un errore esiziale che potrebbe pagare a caro prezzo.  

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