La riforma che non c'è

Dalla mala politica alla mala giustizia il passo è breve, molto breve

Più che altro dovremmo chiamarla controriforma, alla quale ha dato un grosso aiuto un magistrato ancora in servizio

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Dalla mala politica alla mala giustizia il passo è breve, molto breve

La riforma tanto osannata della giustizia è una riforma che non c’è e mai ci sarà in Italia.

E’ inutile che Renzi annunci e proclami grandi mutamenti, assecondato dall’adepto Orlando.

Quella scarabocchiata settimane fa altro non è che una pseudo riforma di sistema, cioè non esiste, non c’è nulla di nulla che possa tranquillizzare il cittadino contro questo strapotere che tutto annienta e divora.

Personalmente la chiamerei, invece, col suo nome: controriforma, alla quale ha dato un grosso contributo un magistrato ancora in servizio.

Gli italiani si sentono accerchiati soprattutto dal problema della giustizia penale, ma tutti vacillano fra la richiesta di effettività della pena, di cui ci si ricorda quando scatta qualche patteggiamento, all'indignazione vera e propria.

L’individuo ha il terrore di essere perseguito dalla legge italica, dall'idea che la giustizia si manifesti esclusivamente con la pena e solo con la condanna al carcere.

Chiunque, ora come ora, grazie ai vari siti on line tipo errorigiudiziari.com sono atterriti dai magistrati, con la politica che da oltre un ventennio ha alimentato la domanda di sicurezza rispondendo sempre con interventi emergenziali, tutti all'insegna del più carcere per tutti, più tranquillità per tutti. Peccato che dentro ci siano finiti più di 50mila innocenti.

Una mera strategia, perché diventa il modo più semplice per catturare il consenso, così come è da sottolineare la negazione della politica verso questo compito fondamentale, cioè di intervenire tra la gente per risolvere i problemi, delegando, al contrario, tutto all’azione della magistratura.

La mala politica italiana ha basato tutto il suo modus operandi sul fatto che ogni questione di allarme, di sovvertimento dell’ordine, di presa di posizione per debellare i conflitti, dovessero essere considerati solo ed esclusivamente dalla mera azione giudiziaria, dando così alla magistratura la possibilità di colpire indisturbata anche in situazione lontane, molto lontane dalle sue competenze, con il risultato finale che le galere nostrane scoppiano dal sovraffollamento.

Ecco, dunque, che –allora- per ogni minimo sospetto, dubbio, tensione che allarma la società delle toghe non c’è da aspettarsi nient’altro che una condanna, possibilmente nei Grand Hotel Carceri d’Italia.

Il passaggio successivo alla prigione preventiva, perché il criminale, non ancora definito tale da una sentenza, deve stare in gattabuia immantinente, è cosa risaputa da anni e anni.

In Italia il principio di civiltà non esiste per cui al processo si va in stato di libertà.

Da ciò e dall'idea che l'unica pena possibile sia la detenzione, nasce, di fatto, lo stato di decadimento e di barbarie dei nostri penitenziari, che ha già subito varie volte la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ma siamo uno degli ultimi Paesi al mondo per efficienza del sistema giuridico, cosa vogliamo sperare di più? 

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