ADELAIDE BONO CAIROLI

La madre coraggio del Risorgimento che ebbe l'apprezzamento maschile come donna d'ingegno

Ebbe contatti piuttosto stretti con le emancipazioniste dell’epoca che si raccoglievano intorno al periodico La Donna

di Francesca Allegri

La madre coraggio del Risorgimento che ebbe l'apprezzamento maschile come donna d'ingegno

Madonna amabilissima Se v’è una voce che possa pesare sulle mie risoluzioni, dessa è veramente la vostra.

Così in un’accorata missiva Garibaldi scriveva nel settembre 1868 ad Adelaide Bono Cairoli, che aveva criticato la sua uscita dal parlamento: la Cairoli, l’unica che egli ritenesse degna di una approfondita spiegazione del suo gesto. Con il Generale era in corrispondenza epistolare, ma anche precedentemente con altri padri della Patria che a lei si rivolgevano per aiuto e consiglio, fra questi Mazzini; rimangono delle sue lettere in cui la prega di esercitare la sua influenza su Garibaldi medesimo. Questa donna, dunque, come del resto molte altre, merita un posto  di comprimaria nella storia del nostro Ottocento.

Adelaide Bono nasce nel 1806 a Milano da Francesca Pizzi e dal conte Benedetto Bono, avvocato, che ricoprì numerose cariche politiche sotto Napoleone e poi sotto Eugenio di Beauharnais. La famiglia è di sentimenti liberali e di idee avanzate tanto che ci si preoccupa di dare un’ottima istruzione sia ad Adelaide sia alla sorella minore Ernesta. La ragazza fu mandata, nel 1815, a studiare al reale Collegio di Verona dalla madre, dopo la morte nel 1811 del padre. Vi rimane alcuni anni, ma nel 1821 lascia il collegio anche perché soffre di una malattia nervosa che poi la perseguiterà per tutta la vita. Dopo consulti con molti specialisti la madre la porta da un medico allora di chiara fama: Carlo Cairoli. Carlo, nato in una famiglia modesta, è però riuscito a divenire un illustre clinico ed anche a mettere insieme una notevole fortuna. I due si innamorano e decidono di sposarsi, nonostante  l’opposizione della madre; questa pensava infatti che  una differenza di ventotto anni fosse eccessiva; inoltre non solo Carlo era vedovo, ma aveva due figli dalla precedente unione. Siamo, però, in epoca romantica  e si comincia a pensare che il matrimonio si deve basare più sull’affetto che su una conveniente combinazione. Ecco cosa scrive Adelaide al fidanzato: Il mio amore per te è troppo forte e fondato su una base troppo ferma perché ei possa giammai scemarsi  ei mi sarà sempre, te lo giuro, un impenetrabile scudo contro qualunque seduzione che non sarà mai tale per me. Il matrimonio, dunque, si fa nonostante i dubbi materni, ma la vita coniugale comincia subito per la coppia con pesanti disgrazie; muoiono, infatti, i figli di Cairoli: Maria Carolina moglie dell’illustre clinico Panizza a diciannove anni nel 1828 di parto e nel 1831 a ventiquattro anni Giovanni di tisi polmonare.

Tuttavia l’unione si rivela solida e nascono otto figli: Benedetto, Rachele, Emilia, Ernesto, Luigi, Enrico, Giovanni e Carolina morta infante. Di tutti quelli, che raggiungono l’età adulta, le sopravvivrà solo Benedetto, e, a parte le ragazze, i maschi daranno tutti la vita per  la causa nazionale: Luigi nella spedizione dei Mille, Enrico nell’impresa di Villa Glori dove fu ferito anche  Giovanni che non riuscì più a rimettersi e morirà qualche tempo dopo il ritorno a casa, Ernesto volontario fra i cacciatori delle Alpi di Garibaldi durante la seconda guerra di indipendenza nel 1859. Lo stesso Benedetto, prima di ricoprire importanti cariche istituzionali fra cui quella di presidente del Consiglio del neonato Stato italiano, aveva preso parte alla seconda guerra di indipendenza, alla spedizione dei Mille e anche alla terza guerra di Indipendenza sempre fra le file garibaldine.

Adelaide segue le imprese dei figli, le appoggia e, in parte le finanzia, corrisponde con loro in uno scambio epistolare intenso e commovente che suscita l’ammirazione di Mazzini e, soprattutto, di Garibaldi al quale i Cairoli, come abbiamo visto, si sentono particolarmente vicini. Dopo che questa orribile teoria di lutti, ai quali si aggiunge anche la morte del marito amatissimo nel 1849, l’ha così duramente colpita Adelaide diviene un simbolo vivente per i patrioti dell’epoca: la madre virtuosa che dà i figli, cioè la propria carne, per la patria infelice. Ma al di là del simbolo, chi fu veramente Adelaide Bono?

Spesso quando ci si trova a trattare di queste madri, che sposano totalmente e interamente le idee e le azioni dei figli, accanto all’ammirazione non si può fare a meno di provare una punta di fastidio, qualche volta un tale amore dogmatico e assoluto nasconde almeno il germe di uno dei più odiosi difetti italici: il mammismo, cioè quella forma di attaccamento cieco, che sovente esclude il marito dal rapporto madre figlio maschio, che limita la visuale, quella forma di egoismo femminile,  quel senso di rivalsa verso quello che come donna la madre non ha potuto attuare, l’esigenza acritica di vedere perfetta la propria prole a dispetto di qualunque evidenza o risultato, il completamento annullamento di sé per vivere come piovre la vita di relazione del figlio. Questo Adelaide, al contrario di altre madri della patria come Maria Drago Mazzini, questo Adelaide Bono non fu. Nel suo costante amore per i figli, nella condivisione del loro pensiero e della loro azione, Adelaide mostrò sempre forte personalità e indipendenza di giudizio nonché una formazione morale, spirituale e culturale che ne fecero un carattere assolutamente indipendente e capace di una vita interiore tutta propria.

Adelaide ebbe, per esempio, contatti piuttosto stretti con le emancipazioniste dell’epoca che si raccoglievano intorno al periodico La Donna. Ecco come lei stessa spiega chiaramente la sua formazione politico-sociale: Prima ancora dunque che alla causa femminile io mi ero votata a quella della mia patria e il mio amore per la prima nacque dal mio amore per la seconda.

 Del resto era nata in una famiglia di spirito liberale e il padre, che le morì quando era giovane, aveva istillato l’adesione alle idee più avanzate anche nella moglie. Adelaide ed Ernesta avevano avuto un’ottima educazione laica, molto più completa di quella di molte ragazze dell’epoca, anche di buona famiglia. Il rapporto fra le due sorelle fu intenso e proficuo perché ambedue condividevano, accanto agli affetti di una famiglia allargata, ma molto coesa, le stesse speranze di riscatto nazionale; da parte di Ernesta, forse, una più solida, anche se più tradizionale, fede religiosa, ma le sorelle e poi i loro figli seppero intessere uno scambio di dee  e di punti di vista aperto e  fertile. In particolare, soprattutto dopo la morte di Ernesta e delle sue proprie figlie, la Bono trovò affetto, comprensione e solidarietà nella nipote Fedelina. Fedelina, sensibile e intelligente, condivise con lei l'amore per Benedetto, l’ultimo rimasto, col quale fu sempre in corrispondenza anche dopo che questi, divenuto parlamentare, si trasferì a Firenze, allora capitale. Insieme diverranno le vestali delle memorie familiari, saranno loro, per esempio a raccogliere, l’immensa mole della corrispondenza fra i fratelli e i cugini, corrispondenza che ordinata e donata da Fedelina medesima, dopo la morte della zia, al Museo del Risorgimento di Roma diverrà una fonte delle più ricche per la ricostruzione di momenti della rivoluzione nazionale.

L’indipendenza mentale e ideologica di Adelaide è certamente dimostrata dal fatto che fin da giovane, molto prima che i figli fossero grandi, si interessa vivacemente di politica. Manifesta, per esempio, grandi speranze al momento dell’elezione al soglio pontificio di Mastai Ferretti, ha un fervido scambio epistolare con Francesco Cappa. La famiglia Cairoli, pur abitando a Pavia quindi nel Lombardo-Veneto, aveva delle tenute nella vicina Gropello che era invece nel regno di Sardegna, il farmacista Cappa, appunto di Gropello, poteva quindi procurare clandestinamente libri e opuscoli proibiti ad Adelaide ed anche al marito, che se pure più tiepidamente, condivideva gli interessi politici della moglie. Dal carteggio non si evincono solo le idee di Adelaide, ma anche come fosse ritenuta degna di commentare i fatti politici e come le sue idee fossero tenute in grande considerazione.

Dalle lettere con i figli adulti traspare, poi, non solo partecipazione, ma quasi il ruolo di ispiratrice su una strada ideale che lei per prima aveva percorsa. I figli, soprattutto Benedetto, in lei non solo trovano una madre amorosa, ma anche una mente  capace di suscitare e condividere idee, una mente profondamente politica. Nessuna sudditanza: fra madre e figli vi è completa parità intellettuale, tanto è vero, come bene mette in luce Azzurra Tafuro in un suo recente scritto sulla Bono Cairoli, che spesso le vengono affidati dei veri e propri incarichi. Nessun atteggiamento acriticamente passivo, ma spirito combattivo e intelligente energia: sarà lei per esempio a riuscire a far avere a Ernesto il passaporto sabaudo in modo che possa tornare in patria oppure ad aiutare la fuga di Benedetto prima a Lugano e poi a  Zurigo e questo durante anni che le saranno dolorosissimi (1853-1858), segnati dai lutti familiari e dal riacutizzarsi della malattia nervosa che sempre l’aveva tormentata. Ma sarà qualche tempo dopo, quando si avvertiranno le avvisaglie della seconda guerra di indipendenza, che riprenderà vigore e riuscirà, almeno in parte, a superare le sue difficoltà, per appoggiare questa nuova avventura.

Poi, negli ultimi anni, compiuta l’unità, ma anche distrutta la sua famiglia, la stima profonda di quegli uomini che tanto aveva aiutato con il sangue dei suoi, ma anche con il suo personale impegno e la sua intelligenza politica.

Rilevante, quindi, quella lettera di Garibaldi del 1868, dalla quale siamo partiti,  perché ancora una volta non è solo la madre che traspare dalle parole accorate del Generale, ma anche la mente politica di una donna che sarebbe riduttivo voler considerare solo attraverso le glorie dei figli.

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