Editoriale

La paura di dire

Misurare un cambiamento nell’orgia terminale della falsificazione mediatica a favore del modello occidentalista, liberista e capitalista

Sandro  Giovannini

di Sandro  Giovannini

on aver paura di dire…”, lo dico io ora, io che non sono nel libro/tavoletta, con questo stesso titolo, che abbiamo appena edito nella collana tabulae dell’Heliopolis, per una precisa scelta.  Starne fuori e fare solo la promozione (in senso totale) e la curatela era la condizione necessaria per non far apparire troppo condizionata la cosa, in partenza, già oltre i limiti di ciò che la nostra storia comune (e la mia poi particolare) poteva abbondantemente presupporre, sia negli honestiores che nei maliziosi. Cui prodest? Perché aprire a 360° un’indagine sui “richiesti”, oltre 250 tra i principali accademici attuali di filosofia italiana e dintorni, di cui una buona percentuale precipitati infine tra i 42 del complesso scrittorio, quando si volesse una tesi sostanzialmente precostituita, ovvero una - sia pur implicita - condanna della situazione attuale e come recitano le non molte (ma le cose cambiano) menti più versate dell’anti/establishement, dichiaratamente in alternativa organica all’attuale globalizzazione del pensiero? 
 
Forse (direbbe qualche perspicace o malizioso) - al di là dell’accettazione o meno di questa generale tesi - proprio per tarare questo cambio, che - a nostro personalissimo avviso - si affaccia ormai nell’orgia terminale della falsificazione mediatica a favore del modello occidentalista, liberista e capitalista. Orgia terminale che è quindi parossistica, necessitata da un classico in fine velocior… anche se nessuno di noi possiede la sfera di cristallo, e gli esiti potrebbero essere i più diversi, perché poi la posta in gioco è vitale per tutti e le forze in campo sono immani e quindi ognuno giocherà la sua partita senza sconti.  Sicuramente il processo che si sta determinando rivela un suo clinamen indubitabile, di stanchezza definitivamente a tutti evidente del modello occidentalista almeno nella nostra sfera culturale, che sta prendendo anche le sembianze di un nuovo populismo, tanto sguaiato e sgangherato, sostanzialmente per ora inoffensivo e pericolosamente prodromico, quanto abbondantemente e prevedibilmente bacchettato dai sapientoni dell’ortodossia al potere, in nuovamente compiaciuta arroganza subentrata ultimamente all’indifferenza… (come recita perfettamente Tarchi nell’editoriale di un suo ultimo Diorama) e che rivela una paura non secondaria o facilmente tollerabile.  Nulla a che vedere, allora, con chi giudica anche severissimamente, dovunque si situi e comunque lo faccia, l’attuale bailamme?  Ma il “non aver paura di dire…”, non è solo un atto di coraggio aperto all’incondizionato… ovvero non aiuta solo a non partire per la tangente sempre praticabile dell’astrazione - tipica la risorsa del professore (e non solo) che ben si guarda dal non essere troppo criticabile, là dove a lui serva… - (saggia opportunità? scaltro opportunismo?)  di linguaggio e silenzio, per aggiungere al già infinitamente detto qualcosa di noiosamente inutile, quanto anche “a non inciampare nelle nostre idee…” come recita scherzosamente (?!) un caro amico, che a questo titolo (ed indagine) ha dato prima origine… 
Residua ancora, come non eliminabile, che l’esito editoriale è ben più modesto dell’idea prima (avere proprio il coraggio di dire…) e questo non certo perché i testi presenti non si possano reputare all’altezza della domanda, cosa che sarebbe presuntuoso ed ingeneroso addurre, primo per la qualità indubitabile dei richiesti e degli effettivi interventi e secondo anche per un comunque altrettanto indubitabile coraggio a mettersi in gioco di coloro che poi realmente l’hanno fatto, ma proprio perché, per infiniti motivi, tutti dovuti all’attuale generale condizione, i termini della questione erano tali e tanto aperti - e le condizionalità negative così limitate - che si sarebbe ben ancor più potuto richiedere, ad una intellettualità sollecitata nel suo complesso, di avere uno scatto d’autenticità e di coraggio… cartina di tornasole.
Ma personalmente non condivido d’altronde neanche totalmente quella disposizione di alcuni che dicono… io non ho mai avuto paura di dire… e ne ho pagato il prezzo… proprio perché credo di esserne stato parte (di questa non tanta diffusa koinè) e di aver nutrito comunque continue quasi sempre inconfessabili paure, tra le poche da me non sempre espresse e spesso aggirate, di fronte alle magari enormi e macroscopiche (per altri) affrontate.  Già... quelle inaffrontabili per altri magari erano piccole per me, ma altre, invece, erano proprio difficili per me... Il mio statuto di vacuità e di destino spiega abbondantemente l’ossimoro e l’incongruenza che ci mette sempre di fronte alla nostra completa inadeguatezza, persino quando pensiamo o agiamo cose grandi… ma non ho colto il fatto personale per una risibile graduatoria quanto perché è l’unico metro che mi certifichi in e di un io che si è confrontato con la paura nel mentre cercava di costruirsi… e poi…   chi sono io (il Papa?), per ambire ad avere una dimensione di verità e dignità assolute? Per presumere della mia morale (della mia moralità), quasi fosse l’unica dimensione animica che mi competa e per la quale debba avere così tanto rispetto da non rischiarla per nulla e per nessuno? Come se questa moralità fosse un golem, a cui dare patente di persona,  trattando l’ombre come cosa salda… e non uno stato di coscienza, seppur conseguente e controllato?  O per una compiaciuta essenzialità, tuttora rincorrentesi, mai esausta (e neanche esaustiva) e sempre disperatamente tutta da dimostrarsi?  La dimensione della grande/anima supposta (il mito della maestria che tanto affascina quanti al-meno lavorino su di sé… e che è forse la maschera oltre il volto reale della paideia), e non di quella sempre in gioco e sempre a rischio caduta… Per presumere, appunto, della mia moralità?  
Io mi credo veramente un Nessuno, lampo raro di genio non unicamente linguistico… ma senza neanche la prosopopea classica di virtù ed onore, che poi, per dire proprio bene, al riguardo, era e resta comunque piuttosto problematica… infatti - come altri - ho preferito d’istinto sempre Ettore sublimato da Enea… (e viceversa… ma grandezza ineguagliabile del poeta, oltre ogni dato presumibile del reale). Opportunità ed opportunismo allora si danno la voce… si richiamano ad un gioco tragico… ad una farsa teorico/eroica (alla Noica, alla Emo), che ci giudica di una vita… il non arraffare come diceva Montherlant… (che comunque smarca sempre), ma non basta... questo forse basta per i livelli meno elevati della scala gerarchica, diciamo… per le anime piccole che ambiscano legittimamente a qualche cosa di più… invece per quelle che cercano di lavorare oltre, il non arraffare, non basta… ci vuole proprio il rifiutare… il mettersi in una condizione di contraddizione, di negatività supponibile nella possibile visibilità esterna, il farlo (nel fare) addirittura senza clamori, senza dichiarazioni, senza urli ed improperi… senza pose...  Dare impulso ed abbandonare… intraprendere e mollare… senza neanche (se non è tutto indubitabilmente, impeccabilmente, puro) la fisima eroica della nobiltà della sconfitta, sapendo che sempre conviene vincere e magari alla fine, quando hai vinto nella tua infinitesima parcellizzata occasione, lasciar perdere… lasciare agli altri vedere, commentare, appropriare, decidere ed anche far conseguente storia/verità… vacuità e destino.
Tutti quindi siamo inferiori alla richiesta e tutti incompleti alla bisogna, ma questa certezza non mi rende (parlo al singolare assoluto) meno desideroso di illusione e di utopia, di riconforto e di slancio, di lucida pietas… Certo questa pietas ci avvolge tutti, avvolgendo me per primo nella mia fervente pochezza, ma non è per nulla un nascondere, un celare, un passare oltre (…se non dopo).
Le due colonne d’Ercole sono quindi ben visibili ed i marosi correntizi pure ed i piccoli fantastici mostri marini disseminati nelle nostre ingombre coscienze pure… ma noi non vogliamo, qui, fare una piccola storia per un piccolo libro…  anche se il vero non aver paura di dire dovrebbe essere il carteggio preparatorio, molto più implicante e rivelatorio che il precipitato scritturale, forse più scontato e controllato... sarebbe giusto… ma cosa di poca durata. Invece vorremmo chiederci perché, ad esempio, ora è più facile chiedere ad un estraneo (di formazione culturale, di storia personale, di giro vocazionale) un parere libero od una domanda che si potrebbe persino rivelare insidiosa, che ad un vecchio conoscente, un vecchio compagno di strada, un antico collaborante? (troppe cose dure da ricordare?, troppe melanconiche foto di gruppo nell’armadio?). Quest’ultimo (...non l’armadio, ma proprio lui, l’ex collaborante) magari riscontrato (ritrovato), non umanamente (che sembra stagliarsi una distanza siderale…), ma sulle idee, parola per parola, gusto per gusto e magari persino disgusto per disgusto.  (…il nuovo cinquantenario degli scettici blu, anarcoidati e pronti per la - speriamo  dignitosa - pensione).  Ma il fastidio di color che pensano le stesse cose, per se medesimi, o meglio per gli altri simili a sé, ha raggiunto sovente un livello ridicolmente paradossale…  Insopportabile.  O, sempre ad esempio, come mai più ci si allontani dalla prevedibile koinè umanista e magari ci si muova in quella “a cavallo delle due culture”, subito si senta un interessamento più attento ed una comprensione più facile, meno problematica, dell’apparentemente facile domanda?  Non so rispondere perché non sono un patologo/tuttologo, ma un semplice ricercatore con quella fervente pochezza (di cui sopra) di non molti fini e strumenti… 
La prima domanda, inevasa, ci regala comunque un insegnamento definitivo: abbiamo già staccato gli ormeggi da tempo immemorabile, ma la mente troppo spesso ancora si rifugia comprensibilmente nella patria d’origine… il mare è mosso… troppi compagni persi fra le onde... ce ne intendiamo ancora poco, anche se c’è sempre una gran buona volontà e la nostra è proprio una barchetta… e la situazione, quindi,  non è rosea… così continuiamo a navigare reggendo il vento e pompando dalla sentina, ma sospettiamo l’imponderabile e temiamo l’impregiudicato, conoscendo la forza immane del mare…
La seconda, anch’essa inevasa, ci mostra campus verdi ove sogniamo d’insufflare dosi massicce di ricerca, d’eccellenza e di convivialità, come se fossimo una troppo in fretta ingrandita start-up (tanto di moda...), speranzosa ed utopica… Dappertutto impazzano i marginali, i creativi, gli esaltati, i conferenzieri ed i mondani, e noi siamo giocoforza in mezzo, convinti delle nostre buone ragioni secolari, ma circondati dal bailamme anarcoide, compiaciuto e grottesco.  Spesso gratuitamente violento.   Che Dio ce la mandi buona… 

 

Tavoletta heliopolis:   AA.VV., “non aver paura di dire...”, 130 pagine, copertina lignea incisa laser, ultimi esemplari disponibili, 50 euro.

© HELIOPOLIS EDIZIONI di  idee  e  materiali  di  scrittura,  Collana  Tabulae,

a cura di Luigi Sgroi, Gianni Bertuccioli,  Sandro Giovannini.  giovannini.sandro@libero.it

Gennaio 2015. Edizioni Heliopolis  di Astelvio Biagini, Via Scialoia 27, 61122, Pesaro, (PU). www.heliopolisedizioni.com        astelviob@libero.it        335.7664456

 

E-Book:  AA.VV., "non aver paura di dire..."- Il coraggio dell'indicibile 2.0

Edizione ampliata a cura di Roberto Guerra.

ISBN, Giugno 2015.  Euro 4,50

© Edizioni La Carmelina, Via Mazzini, 47 - 44121 Ferrara, Tel. 0532 206734

www.edizionilacarmelina.it

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