Editoriale

Perché dico no a Marchini

Vincenzo Pacifici

di Vincenzo Pacifici

Professore ordinario di Storia Contemporanea Roma La Sapiena

nche se chi scrive è sempre più stabilmente e convintamente deciso all’astensione, non può rinunziare a dire la sua sull’arrogante intervista rilasciata da tale Alfio Marchini, eloquentemente ripresa come apertura in I pagina dal foglio della famiglia Berlusconi con questo titolo “Novità nel centrodestra. “Mi candido io a leader”. L’imprenditore romano scende in campo e lancia la sfida a Renzi”.

   Viene immediato da chiedersi: chi è, dove è stato finora, cosa fatto per avanzare una pretesa del genere, quella di proporsi come l’anti Renzi?

   La sua protervia e la sua insipienza emergono immediatamente: infatti dopo escluso per sè le etichette di sinistra, centro e destra, affibbia al Granduca l’etichetta di “frullato ideologico”. Attacca con argomentazioni ugualmente confuse e banali anche Salvini, fino a scandire “E’ il tempo del coraggio per candidarci all’unica e ultima leadership possibile per il nostro Paese: rappresentare l’avanguardia nell’innovazione e sperimentazione sociale mondiale”. E’ arduo, se non impossibile, per chi gli voglia prestargli attenzione sciogliere frasi tanto ardue quanto generiche.

   Rivendica agli italiani l’unica possibilità di poterlo fare in termini ancora presuntuosi e quindi da respingere e da confutare senza la minima esitazione, grazie – a suo dire – a “cultura, antica tradizione democratica e destrutturazione dei tradizionali alvei politici. Qui da noi tutto nasce e muore con leggerezza, basta vedere le meteore politiche degli ultimi anni. E’ un limite ma anche una straordinaria opportunità per la sperimentazione democratica”.

   Si avventura poi nella rivendicazione aristocratica dell’ élite, che – a suo avviso e nella sua mente – “si fa carico della collettività, mette a disposizione degli altri la sua competenza, non per generosità ma perché più del cambiamento che del riconoscimento”. Chi vorrà rendere in termini fruibili ed accessibili parole, che hanno la pretesa di inaugurare una nuova stagione della politica e sono soltanto vane ed inconcludenti ?

   Sorge, forte e credibile, il sospetto che questo signore sia amico e vicino a Berlusconi, solito – e ben lo sappiamo – manovrare gli uomini, tra gli ultimi Fini e Salvini, e le situazioni, infatuando e poi distruggendo, incoraggiando e quindi demolendo. Il Marchini infatti riconosce al Cesare di Arcore “il merito di innovare lo schema del gioco”, di aver dato visibilità “a un blocco sociale composto da partite Iva, imprenditori, una grande fetta popolare”. E’ scontato domandarsi: e ai pubblici dipendenti, impiegati e dirigenti, agli operai, ai lavoratori, agli agricoltori, ai disoccupati, ai giovani, ai pensionati quale futuro e quale destino saranno riservati da questo tale, divenuto presidente del Consiglio?

   I romani ricordano una frase pronunziata da Garibaldi nei loro confronti: “Romani, siate seri”. Forse era stata coniata pensando proprio al Marchini, discendente da una nota famiglia di imprenditori “rossi”.

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