Editoriale

Ius soli l'identità nazionale non è più un valore, neppure per la destra

La legge approvata alla Camera con una maggioranza quanto mai eterogenea e una opposizione – Lega a parte – quanto mai flebile

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

orse lui non l’ha mai cantata. Probabile che quando risuonavano quei bellissimi versi della Compagnia dell’anello,  accompagnati dalla musica che commuoveva sinceramente i “fascisti” del Fronte della Gioventù o del Fuan lui, Gianfranco Fini, si girasse da un’altra parte, magari con il suo sorrisetto ironico: “ La terra dei Padri, la Fede Immortal, nessuno potrà cancellar/ il Sangue, il Lavoro, la Civiltà, cantiamo la Tradizion …

In fondo, è giusto così. Più che la Compagnia dell’Anello, a Gianfranco Fini si addice senz’altro l’oscuro signore e l’infame sbirraglia di Mordor,  che oggi s’incarna nella cancellazione di ogni identità, di ogni comunità e senso di appartenenza.  “ L’Italia non è solo degli Italiani ma anche di chi vi nasce e ci vive anche se non è la terra dei padri.  Dx doveva votare ius soli”. Questo il commento dell’ineffabile ex presidente della Camera, ex padre-padrone (e carnefice) di quella Alleanza Nazionale da cui qualche povero illuso vorrebbe “ripartire” per una rifondazione della “destra” italiana. Coerente sempre e solo nello “sfascismo”!

L’approvazione del c.d. “ius soli” dovrebbe essere infatti del tutto antitetica a una idea di “destra”  (nel vero e autentico senso di una parola che ormai ne conserva molto poco) e non certo per motivi “razzisti”, secondo il solito stupidario del politically correct buonista a un tanto al chilo.  Se la Destra intende ancora difendere i principi di identità e di cultura, la cittadinanza deve necessariamente significare una adesione piena, totale e consapevole a quei principi, sino al punto , se non proprio di dimenticare, quantomeno di porre del tutto in secondo piano quelli della cultura di appartenenza.  Comprensibile non la pensi così chi discende da un “internazionalismo” che si è ormai coniugato alla perfezione con le logiche di mercato e villaggio globale di chi vorrebbe per l’appunto ridurre il mondo alla più caotica delle Torri di Babele; anche perché, tanto, rimane pur sempre un linguaggio che tutti comprendono:  quello del mercato e il denaro.

Tra l’altro, la legge approvata alla Camera con una maggioranza quanto mai eterogenea e una opposizione – Lega a parte – quanto mai flebile e con l’astensione di quel Movimento 5 Stelle a cui parte dell’ex elettorato di destra  continua inspiegabilmente a guardare con fiducia,  è oltre a tutto incredibilmente ingarbugliata e caotica: il solito “pasticcio all’italiana” fatto per contentare tutti e scontentare ciascuno.  Un esempio riguarda il cosiddetto ius culturae:  “può ottenere la cittadinanza il minore straniero, che sia nato in Italia o sia entrato nel nostro paese entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è necessaria la conclusione positiva di tale corso. La richiesta va fatta dal genitore, cui è richiesta la residenza legale, oppure dall'interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. [1]

A parte che non è certo sempre facile accertare quando un minore straniero sia entrato nel nostro paese, quello che desta maggiore stupore è quanto scritto sul ciclo di studi: solo nel caso in cui la frequenza riguardi il ciclo di istruzione primaria è richiesta la “conclusione positiva” di tale corso!  Pertanto, se un ragazzino o ragazzina arriva a una media inferiore o addirittura superiore senza sapere una parola o quasi di italiano, gli basta un “parcheggio quinquennale” per ottenere la cittadinanza? E casi del genere sono purtroppo all’ordine del giorno, tanto che persino nei licei si pone il problema dell’Italiano come … seconda lingua!

Un tempo era possibile, tra l’altro, acquistare la cittadinanza tramite lo svolgimento del servizio militare; ma da quando questo non è più obbligatorio tale possibilità è venuta meno. Eppure questa sarebbe invece un’ottima strada per mettere alla prova il reale attaccamento dei giovani stranieri alla loro nuova “patria”, se veramente la sentono come tale.

Tuttavia ci si potrebbe anche chiedere, come qualcuno ha fatto, se questo sia proprio il momento più idoneo per una manovra di questo tipo e se non si tenda a confondere la già sin troppo abusata “accoglienza” con una questione delicata come la cittadinanza. Ma questo presupporrebbe l’illusione che ci governi sia in grado, o gli interessi, di cogliere tale differenza, e non solo procurarsi un nuovo bacino elettorale a buon mercato. Anche questa riforma, come quelle quanto mai sciagurate del senato e della scuola, rientra del resto nella tipica mentalità renziana per cui non è importante riformare bene, ma semplicemente cambiare.  In fondo, non è che l’altra faccia della medaglia del tradizionale e nefasto immobilismo italico, il sin troppo famoso tutto deve cambiare perché tutto resti com’è.

E si torna al punto di partenza, che è poi il vero nocciolo del problema. La mancanza di una vera “Destra”, capace di portare avanti la propria politica senza paura di dover essere legittimata dai propri avversari o di dover pagare il pedaggio alle asfissianti parole d’ordine del polically correct; e che tronchi una volta per tutte con quel “professionismo della politica” già presente in misura allarmante nel vecchio MSI, per cui la permanenza su una “poltrona” non era legata alla tanto sbandierata meritocrazia, ma diventava difesa del posto di lavoro, a qualunque posto e con qualunque mezzo.  In qualche caso, si impiantavano persino dinastie di “piccoli ras per piccoli fans”.   E il commento di Fini dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che è assolutamente impensabile, come qualcuno vorrebbe, ripartire da Alleanza Nazionale o dai suoi frammenti più o meno vaganti. Se la Lega di Salvini rappresenta per molti un punto di riferimento (l’unico forse oggi possibile per chi non si voglia omologare) tuttavia essa non può essere sufficiente. Ma proprio per questo non può essere chi ha contribuito al fallimento di una grande opportunità per l’Italia a prendere in mano l’iniziativa. L’assemblea della fondazione AN di alcuni giorni fa, col patetico tentativo di Fini e di qualche suo “colonnello” (o meglio, a questo punto, caporale) di dare vita all’ennesimo partito o movimento zombie si commenta da sé.

Il futuro può essere – forse – di  gruppi e movimenti spontanei, che stanno cercando, in qualche caso con discreto successo, di ricostruire un tessuto connettivo di comunità militanti, fatte di persone per cui la politica non è una lucrosa fonte di potere o prebende, ma una missione e un servizio. Non per nulla sono odiatissimi e contrastati con le solite demonizzazioni a senso unico dalle sinistre e dalle loro mosche cocchiere, senza che quel resta della cosiddetta “destra” ufficiale si degni di sprecare mezza parola di difesa o solidarietà. Ma non c’è da stupirsene: poltrona non olet, meglio far finta di contestare il sistema per starci comodamente al caldo dentro. Fino a quando anche l’ultima persona in buona fede non gli avrà voltato le spalle …..



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