Sorelle d'Italia

Pasticcio di maccheroni: Maria Sofia di Baviera ne era golosa, provatela anche voi

Una prelibata ricetta amata dall'ultima regina di Napoli che d'Annunzio definiva “severa piccola aquila bavarese”

di Marina Cepeda Fuentes

Pasticcio di maccheroni: Maria Sofia di Baviera ne era golosa, provatela anche voi

Maria Sofia di Babiera

Quando nel 1837  Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, pubblicò a Napoli l’esauriente trattato di cucina napoletana intitolato  “La Cucina Teorico Pratica ovvero il pranzo periodico di otto piatti al giorno”, sul trono del  Regno delle Due Sicilie c’era Ferdinando II di Borbone che vi rimase fino alla morte: durante il suo lungo regnato il volume verrà ristampato ben otto volte.

Grazie al prezioso volumetto anche nelle tavole dei ricchi signori cominciarono ad apparire cibi popolari come il baccalà fritto, i polipetti in umido, le sarde in tortiera, il soffritto, la caponata e la pizza. Ebbene, due anni dopo uscì la seconda edizione con un’appendice in dialetto sulla “Cusina casarinola co la lengua napoletana”  dove, per la prima volta nella trattatistica dell’intera cucina italiana,  si fa riferimento alla pasta con il sugo di pomodoro nella ricetta dei “vermicelle con le pommodore” e poi in quella dei maccheroni “cu ‘a pummarola in cuoppa”, ossia conditi con una salsa a base di carne, cipolla e pomodoro, antesignana del celebre ragù napoletano.

Fra le molte ricette della tradizionale cucina napoletana vi si trova quella del “Pasticcio di maccheroni”, uno dei piatti preferiti dell’ultima regina di Napoli, Maria Sofia di Baviera, moglie giovanissima  di Francesco II di Borbone, chiamato affettuosamente Franceschiello, molto amato dal popolo perché, nonostante il breve periodo del suo governo, circa un anno, a soli ventitré anni fu capace di varare alcune importanti riforme.

 Il libro di Marina Cepeda Fuentes  dedicato alle donne del Risogimento di cui scopriremo i gusti gastronomici


Anche la sua illustre consorte, sorella minore della celebre Sissi Imperatrice dell’Austria, riuscì a farsi amare dai sudditi, specialmente dalle donne del popolo, che videro in lei un modello da seguire per il suo atteggiamento nei diversi eventi in cui fu coinvolta, mantenendosi fedele al marito e seguendolo nell’esilio dopo aver combattuto contro l’esercito piemontese.

La solare Maria Sofia, che aveva ereditato il carattere gaudente del padre, il duca Massimiliano di Baviera, nei pochi mesi della sua permanenza a Napoli, da gennaio 1859 a settembre 1860, imparò ad amare quella città che al tramonto assumeva colori simili a quelli dei laghi della sua Baviera; e rimase ancora più incantata dalla magnificenza della Reggia di Caserta e del grande parco. Aveva inoltre avvertito che la gioia di vivere dei bavaresi era per certi aspetti simile al carattere dei napoletani, irruenti, sempre disposti a ballare, mangiare e bere.

Nonostante ciò si sentiva prigioniera nel suo regale ruolo sicché, per sfogarsi, faceva  di nascosto interminabili nuotate nel limpido mare partenopeo, ammirata da tutti gli scugnizzi di Napoli, e lunghe cavalcate nelle campagne del casertano, dove crescevano rigogliosi ortaggi e frutteti e pascolavano le bufale; oppure usciva da palazzo in incognito andando a zonzo per i vicoli della capitale partenopea, con grande scandalo della nobiltà benpensante, assaggiando persino alcuni dei tipici  “cibi di strada”,  come la pizza e la “mozzarella in carrozza”.

Dimostrò tuttavia  la sua grinta quando, con il re e alcuni membri della corte,  dovette rifugiarsi a Gaeta il 7 settembre 1860, dopo che a Napoli era giunta la notizia dell’imminente arrivo di Garibaldi. Quando nel mese di novembre iniziò il lungo assedio della cittadina campana, Maria Sofia non esitò a indossare un costume popolare campano, dalla foggia maschile, per combattere contro i piemontesi: tutti potevano vedere la regina sui bastioni della città che accorreva in aiuto dei soldati, prodigandosi a soccorrere i feriti, a dare conforto e anche a sparare contro il nemico, quand’era necessario, senza il minimo timore dei bombardamenti sabaudi.

Il giornalista francese Carlo Garnier, presente sul posto, raccontava  nelle sue cronache di guerra le prodezze della giovane regina, che con il suo coraggio diventò il simbolo dell’assedio e diede spunto al mito dell’«eroina di Gaeta», diffuso da tutte le gazzette d’Europa.

Attratti dall’ormai leggendaria condottiera, centinaia di giovani aristocratici raggiunsero Gaeta per combattere al suo fianco, e inevitabilmente se ne innamoravano. Si mormorava che persino gli ufficiali piemontesi, quando da lontano riconoscevano Sofia che con i suoi lunghissimi capelli al vento ispezionava a cavallo una batteria, ordinassero di sospendere il fuoco per ammirarla.

Della leggendaria regina Maria Sofia sui bastioni di Gaeta  scrissero Alphonse Daudet, Gabriele D’Annunzio, che la soprannominò “severa piccola aquila bavarese”, e Marcel Proust. Ma divenne anche una sorta di leggendario modello per i borbonici che in seguito lottarono anche con i briganti per restituire il potere a Franceschiello.

Ma con la caduta di Roma e la fine dello Stato Pontificio il 20 settembre 1870, gli ex sovrani di Napoli si trasferirono a Monaco di Baviera dove lei morì nel 1920, dopo la Grande Guerra. Vi partecipò sostenendo l’Impero Austro-Ungarico, ma andava negli ospedali a portare ai soldati italiani cibo, cure, conforto e  libri in lingua italiana provenienti dalla sua biblioteca personale. Fra questi c’era anche una copia di  “La Cucina Teorico Pratica ovvero il pranzo periodico di otto piatti al giorno” del duca di Buonvicino grazie al quale poteva far preparare alcuni dei suoi piatti preferiti, specialmente il “pasticcio di maccheroni”.

*Ingredienti per 6 persone:

400 g di maccheroncini  rigati

2 cipolle

1 gambo di sedano

300 g di macinato di vitello

50 g di funghi porcini secchi

1 limone

2 uova

4 cucchiai di parmigiano grattugiato

2 cucchiai di pangrattato

150 g di caciocavallo, 100 g di provolone dolce

1 bicchiere di vino bianco secco

olio d’oliva per friggere

100 g di burro

prezzemolo

sale, pepe

una confezione di pasta frolla salata

Impastare il macinato con le uova intere,  2 cucchiai di parmigiano, 2 di pangrattato,  una cucchiaiata di prezzemolo tritato, la scorza grattugiata di mezzo limone, sale e pepe. Formare delle polpettine della grandezza di una ciliegia e friggerle in abbondante olio d’oliva. Asciugarle nella carta assorbente e metterle da parte.

Tritare la cipolla e il sedano e farli appassire in 30 g di burro. Aggiungervi i funghi, precedentemente fatti rinvenire in acqua tiepida, e bagnare con mezzo bicchiere di vino bianco: cucinare il tutto  per 15 minuti circa.

Cuocere poi i maccheroncini in abbondante acqua bollente. Scolarli al dente e condirli con il sughetto di funghi, 2 cucchiai di parmigiano, la metà delle polpettine, parte del provolone e del caciocavallo tagliati a quadratini e qualche fiocco di burro.

Ungere con un po’ di burro  uno stampo di circa 25 cm e foderarlo con la pasta frolla precedentemente ben spianata. Riempirlo con i maccheroncini, aggiungervi alla fine il resto di polpettine e di formaggi e qualche fiocchettino di burro.

Ricoprire con un “coperchio” di pasta, rigirarvi sopra  i bordi della base per chiuderlo, punzecchiare con una forchetta in vari punti e infine  spennellare con del latte. Infornare a 180° per 4o   minuti circa.

Lasciare riposare qualche minuto e servire il “regale” pasticcio caldo accompagnato da un buon rosso campano.

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