Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un “manifesto mancato” dell’esotismo francese? A guardare la data, 30 settembre 1863, Les pécheurs de perles( I pescatori di perle) di Georges Bizet (1838-1875) meglio noto come l’autore della Carmen, sembra piazzarsi in un vero e proprio “crocevia” orientalizzante: se già nel 1835 Auber musicava un libretto “cinese” (le cheval de bronze, il cavallo di bronzo) dove però la componente esotica era poco più di una superficiale vernice, in campo letterario era uscito appena l’anno prima il romanzo Salambò di Flaubert, ambientato in una Cartagine del III secolo avanti cristo che però ha molto del perverso fascino dell’Oriente: sacerdotesse e riti strani e tenebrosi, amori impossibili, vicende sanguinose in un misto di crudeltà e perversione. E che dire poi del libro “atroce” di Baudelaire, Les fleur du mal, che già dal 1857 aveva intossicato i sogni e le digestioni dei buoni borghesi parigini e che in alcune liriche conserva il ricordo del viaggio verso i lidi del Madagascar e il conturbante fascino di bellezze creole?
Tutti elementi (o quasi) che non mancano nel melodramma di Bizet che l’Opera di Firenze ha avuto l’eccellente idea di mettere in programma da domani, 24 febbraio per cinque recite, nell’allestimento del teatro Verdi di Trieste. Se l’opera è un “manifesto mancato” non è infatti certo perché non sia artisticamente valida, ma per una sorta di vera e propria maledizione che perseguitò la carriera di questo geniale compositore, tanto grande quanto sfortunato, i cui meriti furono riconosciuti solo dopo la sua precoce scomparsa. In realtà si ben può dire che questo lavoro è uno dei primi – ma forse il primo di altissima levatura, malgrado la mediocrità del libretto (non peggiore, comunque, di tanti altri) e gli infelici rimaneggiamenti di cui è stato vittima nel tempo - che cerca di affidare alla suggestione musicale, e non solo all’ambientazione letteraria, il “profumo” d’Oriente. Del resto, per quanto riguarda la struttura drammaturgica, il libretto dei Pescatori presenta evidenti analogie anche con Norma e la Vestale (l’amore “proibito” per una sacerdotessa in primis) opere che di “esotico” non hanno assolutamente nulla. Certo si tratta di periodi e scuole molto diverse, ma certi “ingredienti” nei libretti passano agevolmente da un’epoca all’altra . Comunque sia, L’oriente bussava ormai anche sui palcoscenici: basti pensare che di lì a poco, nella sola Francia, vi saranno opere come Sanson e Dalila di Saint Saens (1877) e soprattutto Lakmé di Delibes (1883).
Quello che mancò dunque ai Pescatori fu dunque il successo iniziale e per molto tempo un “lancio” adeguato. Alla prima rappresentazione il successo fu infatti piuttosto tiepido e dopo 18 repliche calò il sipario: Bizet non la vide mai più e bisognerà attendere il 1893 per rivedere una versione in Francese all’opera comique; ma nel 1889 l’editore musicale italiano Sanzogno, il rivale di Ricordi, beffò la grandeur francese presentando una versione in italiano dell’opera in occasione dell’esposizione universale parigina; versione che tra l’altro ebbe una notevole fortuna. Ma sarà solo molti anni dopo, grazie anche a una storica edizione scaligera del 1938, che il titolo tornò a circolare, anche se non con la frequenza che meriterebbe.
L’opera fu completata in dieci settimane; purtroppo, le notizie che abbiamo sulla sua gestazione sono incredibilmente scarse. Il libretto di Michel Carrè ed Eugène Cormon non solo era abbastanza debole, ma i due librettisti non erano stati capaci neppure di “escogitare” un finale adeguato: sarà infatti la conclusione del l’opera la parte più tormentata e “aggiustata”, il tutto tra l’altro dopo la morte del compositore e quindi con interventi quantomeno arbitrari. Per citare solo un finale di una versione postuma: si comincia con una scena nella quale Zurga esorta gli amici a fuggire al sopraggiungere di Nourabad, che fa il suo ingresso accompagnato da quattro notabili, e pugnala a morte Zurga, mentre nella versione originale del 1863 questi provoca un incendio nel villaggio assistendo poi sconsolato ma in fondo felice alla fuga dei due amanti da lui salvati (v. infra la trama dell’opera.)
Anche dal punto di vista dell’ apparato strumentale e vocale l’opera ha delle curiose particolarità. L’orchestra utilizza infatti un organico di dimensioni piccole, anche rispetto agli standard del periodo in cui fu composta; da notare insieme ai timpani una sezione percussiva relativamente nutrita, alla quale è affidata un’importante funzione nel determinare per via timbrica il colore esotico . Decisamente esiguo il cast vocale: tre personaggi principali e un solo comprimario. La sacerdotessa Leyla è una tipica parte di soprano lirico, in grado di mettere in evidenza la qualità timbrica dell’interprete, e che richiederebbe una voce dotata di purezza ed omogeneità di emissione nei vari registri; Nadir, nonostante la sua parte venga spesso affidata a tenori leggeri (soprattutto per la pagina più celebre dell’opera, la romanza Je crois entendre encore) sarebbe più propriamente un ruolo da tenore lirico. Dal punto di vista della “robustezza” vocale, il ruolo più impegnativo è senz’altro quello del baritono Zurga.
Infine una curiosa particolarità di quest’opera è il ruolo che vi riveste l’amicizia maschile: se da un lato, infatti, abbiamo il tipico triangolo tenore e soprano contro baritono, in questo caso Nadir e Zurga sono legati da una profonda amicizia. Il topos dell’amicizia virile è senz’altro assai diffuso nel teatro musicale dell’Ottocento (e senza “sottintesi” d’altro .. gender) ma nell’opera di Bizet il sentimento che lega Nadir a Zurga è certo più marcato del solito, tanto da costituire un nodo drammatico più importante dell’amore tra Léïla e Nadir. Quando il capo dei pescatori può vederne il volto, riconosce la sacerdotessa di Brahma che entrambi hanno amato, e viene spinto dalla gelosia a emettere una condanna a morte ma all’apertura del terz’atto, la principale preoccupazione che esprime nel suo intenso monologo va alla sorte del compagno d’un tempo . Sarebbe ovviamente del tutto forzato volervi scorgere “sottintesi” di un certo tipo, come evidenzia saggiamente anche il regista.
L’edizione
di Firenze vede sul podio il
maestro Ryan Mc Adams e la regia di Fabio Sparvoli. “Mettere in scena Les pêcheurs
de perles mi è
subito apparsa una sfida sopratutto da un punto di vista drammaturgico, che non
è inferiore a quello musicale: l’Oriente fa da sfondo fascinoso e avvolgente ad
un classico triangolo amoroso che, in questo modo, acquista tinte inusitate” –
dichiara il regista, e prosegue: “Quest’opera si sviluppa infatti su due piani
ben distinti, uno onirico ed uno realistico, a cui, in scena, corrisponderanno
movimenti differenti: nel primo caso mai interrotti e quasi immersi in uno
spazio liquescente, nel secondo aderenti alle pause ed al realismo teatrale (…)Lo
stesso rapporto di amicizia fra Nadir e Zurga, che ha sfumature certamente
molto intimiste, come peraltro hanno spesso le amicizie maschili forti, ma non
per questo con implicazioni erotiche, resta indefinito nel libretto e tale va
lasciato anche allo spettatore, che avrà così margini di libertà per
interpretarlo.
Ceylon poi è un oriente generico, esotico in quanto ai margini della reale
consapevolezza di quei territori da parte del pubblico di quel tempo e reso con
altrettanta genericità esoticheggiante da parte di Bizet, ma proprio per questo
non fa che contribuire al clima allusivo ed onirico dell’opera.”
Un discorso che “promette bene”, anche se poi ovviamente si dovrà aspettare la prova della scena. Per i ruoli vocali, in quello di Leyla si alternano Ekaterina Sadovnikova e Laura Giordano (25, 27), in quello di Nadir Jesús Garcia e Jesús León (25, 27); e Zurga sarà Luca Grassi in alternanza Stefano Antonucci (25, 27).
Rappresentazioni e orari:
Mer 24 febbraio, ore 20:00
Gio 25 febbraio, ore 20:00
Ven 26 febbraio, ore 20:00
Sab 27 febbraio, ore 20:00
Dom 28 febbraio, ore 15:30
La trama dell’opera:
ATTO I
Sull’isola di Ceylon, i pescatori di perle eleggono Zurga come loro nuovo capo.
Sopraggiunge improvvisamente Nadir, amico fraterno di Zurga assente da molto
tempo. Rimasti soli, i due ricordano la promessa fatta un giorno, quando si
innamorarono entrambi della stessa misteriosa sacerdotessa incontrata in una
città lontana e si giurarono che nessun sentimento avrebbe potuto scalfire il
loro sentimento. Dal mare arriva la piroga che come ogni anno trasporta
sull’isola una fanciulla destinata a pregare per la fortuna dei pescatori. La
ragazza velata è proprio Léïla, la sacerdotessa che tanto scosse i due amici.
Questa, nonostante riconosca immediatamente Nadir, accetta il compito e il voto
di castità che esso comporta. Viene quindi accompagnata sullo scoglio da cui
pregare il dio Brahma. Nadir, riconosciutane la voce, si avvicina e la
sacerdotessa scosta il velo che le nasconde il volto.
ATTO II
È notte e nel tempio Léïla racconta al gran sacerdote Nourabad di aver
ricevuto, ancora bambina, una collana da un uomo braccato dai nemici a cui
aveva salvato la vita. Rimasta sola, è raggiunta da Nadir e i due si dichiarano
il loro amore. Accorre Nourabad per catturare l’intruso ma Zurga, giunto appena
in tempo, ordina che la coppia sia lasciata libera. Il gran sacerdote strappa
quindi il velo di Léïla e Zurga, scoperta l’identità della donna, condanna la
coppia al rogo.
ATTO III
Nella sua tenda, Zurga è raggiunto da Léïla, venuta a sostenere l’innocenza di
Nadir. Il comandante, geloso dell’amore della ragazza, ribadisce però la
condanna. Léïla consegna allora a un giovane pescatore la collana, per farla
recapitare alla madre. Zurga, riconosciuto il gioiello, scopre di dovere la
propria vita alla ragazza. Corre quindi ad appiccare un incendio nel villaggio
per fare fuggire i due amanti nella confusione generale. Mentre i pescatori
tentano di scampare alle fiamme rifugiandosi nella foresta, Zurga attende, a
fianco della statua del dio, il compiersi del proprio destino.
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