Editoriale

Affittare un utero è reato, ma i giudici legalizzano il risultato della transazione proibita

Si è già organizzato un business, con vere e proprie filiere che vanno dalle madri seriali alle cliniche specializzate, alle agenzie che curano la promozione e la gestione di questo tipo di maternità

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

n questi giorni si parla molto della guerra nella quale saremmo impegnati noi che viviamo in un’area geo-culturale ormai sempre più impropriamente denominata “Occidente”; una guerra mossa da frange fondamentaliste del mondo islamico, anche a dispetto e contro la grande maggioranza degli stessi musulmani, definiti “moderati” dal lessico imperante del politicamente corretto.

Sul tema abbiamo svolto e torneremo a svolgere alcune considerazioni; qui però ci preme evidenziare come questa guerra, se presenta aspetti cruenti legati ad una catena di atti terroristici in tutto il pianeta, quando ci troviamo di fronte gruppi ben individuati, investa alcuni aspetti costitutivi della nostra civiltà e trovi il suo terreno più insidioso nell’ambito della cultura, senza che si riesca, in tal caso, a guardare in faccia il nemico.

Una roccaforte tra le più bersagliate è quella della famiglia naturale, intorno alla quale, pur nelle sue trasformazioni storiche, si sono costruiti Imperi e Stati e che ora viene non solo messa in discussione, ma minata nelle sue basi biologiche, legislative e, in definitiva, culturali. La deriva parte da lontano, con le modifiche nei ruoli e nelle funzioni di padri e madri, con l’affermazione di modelli etici sempre più svincolati dai codici religiosi e imperniati sull’individualismo del desiderio che si fa diritto; ma c’è di più: con lo svilimento dei ruoli, è stato snaturato e condannato il principio di autorità, nel nome di un egualitarismo scervellato che ha compromesso non solo l’equilibrio familiare, ma, ad esempio, le fondamenta della scuola. Ora, il “lavorio” svolto da impersonali e misteriose centrali – ammesso che ve ne siano… - ha da tempo comportato l’erosione  delle basi dell’identità sessuale, nel nome della cosiddetta “cultura del Gender”, ponendo nel mirino l’istituto familiare come lo conosciamo.

In un simile contesto, la classe politica – di qualunque orientamento ideologico – è apparsa inadeguata al compito di governare il cambiamento, tenendo fermi i legami con il sistema di valori che a parole si pretendeva di salvaguardare. A volte però va detto che da queste mancate guide della società viene trasmesso un segnale di sia pur rapsodica consapevolezza dei rischi che il nostro modello culturale sta correndo. Proprio in quest’ottica, nei giorni scorsi i Dipartimenti Scuola e Università e Diritti Umani e Libertà Civili di Forza Italia, nella persona di Mara Carfagna, ha organizzato un incontro “trasversale” sul tema “L’industria della maternità surrogata: nuove forme di schiavitù”. Il confronto, svoltosi nella sala Aldo Moro del Palazzo di Montecitorio, si è svolto con l’intervento di politici di diversi schieramenti, come la già citata on. Carfagna, l’on. Fabrizia Giuliani, del Partito Democratico, l’on. Brunetta e l’on. Elena Centemero, di Forza Italia, operatori dell’informazione come Monica Ricci Sargentini del Corriere della Sera, giuristi come Emanuela Giacobbe e Benedetta Liberali, esponenti della società civile come Maria Grazia Colombo, Vicepresidente del Forum Associazioni Familiari.

I lavori sono stati aperti dall’on. Brunetta, il quale ha fatto notare come ciascuna delle tre definizioni correnti del fenomeno – maternità surrogata, utero in affitto, gestazione per altri – esprima altrettante filosofie, in vario modo collegate alla dimensione contrattuale e, dunque, economica, della fattispecie. La più esplicita di tali definizioni, recepita nel titolo stesso dell’incontro, è appunto “maternità surrogata”, per di più bene avviata a diventare “industria”.

Del resto, intorno a questo fenomeno si è già organizzato un business, con vere e proprie filiere che vanno dalle madri seriali – specie nel cosiddetto terzo mondo – alle cliniche specializzate, alle agenzie che curano la promozione e la gestione di questo tipo di maternità. Per inciso, abbiamo appreso che esponenti di una di tali agenzie internazionali si apprestano a fare un tour in Italia, e ci siamo chiesti: ma non è reato l’apologia, il favoreggiamento, la promozione e lo sfruttamento di un reato? Perché è bene non dimenticare che la pratica dell’utero in affitto è appunto un reato, punito con il carcere da 6 mesi a due anni e con un’ammenda da 600.000 a due milioni di euro.

Ovviamente, aumenta lo stupore, quando si pensa che alcune recenti sentenze hanno ignorato questa norma penale, assegnando ai genitori richiedenti il bimbo “commissionato”, concepito e partorito all’estero da una madre compiacente. A proposito di maternità surrogata, appare non meno grave, in materia di surroghe, quella che sempre più spesso pongono in essere i giudici – anche della Consulta – sostituendosi al Legislatore, nel sostanziale silenzio della Politica e dell’Informazione. Di passata, ci limitiamo a sottolineare come l’invocato principio del “bene del minore” abbia giustificato e giustifichi provvedimenti spesso odiosi, con i quali si tolgono minori a famiglie magari affettuose ma indigenti, per affidarli a genitori benestanti: quindi, non sarebbe l’amore – come invece si pretende -  il discrimine per valutare una lodevole genitorialità…

Quanto alla gratuità – altro argomento caro ai sostenitori di queste maternità anaffettive – è stato giustamente ricordato che il dono non prevede richieste e, soprattutto, che si dona qualcosa che ci appartiene… Per di più, c’è una casistica che racconta di “doni” che sono stati rifiutati, esercitando un “diritto di recesso” sconvolgente, se si pensa che l’oggetto è una vita umana; e ancora, di una regolamentazione una volta di più odiosa, ma pure lacunosa, che non disciplina i casi di complicanze, fino alla morte della gestante e del suo feto. Già, perché non solo la nostra Costituzione prevede che la madre, a tutti gli effetti, è colei che partorisce, ma la stessa scienza ci ricorda come fra la gestante e il concepito vi sia un costante scambio di materiali biologici e genetici e che poi questo presunto atto di generosità si concretizzi nel privare il bambino del calore, dell’odore, del latte di colei che l’ha partorito.

D’altra parte, i pericoli dell’ingegneria genetica erano presenti già in talune pratiche della fecondazione artificiale, e in particolare di quella eterologa, con l’intervento di terzi nel concepimento, con una serie d’implicazioni – filosofiche, giuridiche, ma anche esistenziali – che portano fuori dall’ordinario perimetro delle adozioni le tematiche della discendenza, del diritto alla riservatezza, del diritto del bambino di conoscere le proprie origini naturali.

Proprio sul fronte della famiglia, di fronte a mutamenti così profondi indotti dalla Tecnica e da un devastante ampliamento dei cosiddetti “diritti civili”, si profila un confronto con la civiltà islamica: e anche su questo fronte si giocherà la partita dell’integrazione, strettamente legata a quella della salvaguardia delle rispettive identità, non solo in ambito teologico-religioso.

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