Editoriale

Chi piange per Lahore? I bimbi straziati sulle giostre il giorno di Pasqua commuovono meno dei giovani al Bataklan o dei passeggeri della metro

Quello che emerge è che in buona parte del globo, dall’Africa all’Asia per colpire il cuore dell’Europa stessa, è in atto una durissima offensiva che colpisce soprattutto il Cristianesimo

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

n’altra follia. Un attentatore suicida si fa esplodere nel mezzo di un parco giochi, dove sono radunate decine e decine di persone: famiglie con mamme e bambini. Molti sono cristiani, persone che volevano trascorrere in gioia e serenità una delle feste più importanti della loro fede.

Chissà se questa volta avremo le immagini di questi bambini a fare il giro del web. Da quelle che circolano, si vede l’immensa disperazione dei superstiti, espressioni incredule e devastate. Ma da quanto si può vedere sino a questo momento, la strage, per quanto orrenda, non ha destato l’armata di commozione delle anime belle pronte a criminalizzare l’ Occidente (che di colpe ne ha sicuramente tantissime, non ultima proprio quello di avere incoraggiato e foraggiato il radicalismo islamico quando faceva  comodo) o a sdilinquirsi in tentativi di quadrare il cerchio tra finto rigore e asfissiante buonismo.

Come già si scrisse qualche giorno fa, a proposito dei tragici fatti di Bruxelles, è assurda l’equazione che vuole fare di ogni islamico un terrorista; ma non è altrettanto assurdo l’atteggiamento di chi si rifiuta di parlare di “terrorismo islamico”? Dovrebbe far riflettere ciò che emerge non solo dalla chiarissima rivendicazione dell’attentato di Lahore, ma anche dal fatto che, a quanto pare, gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso e del 22 marzo a Bruxelles celavano i preparativi per "un grande botto" ad altissimo impatto mediatico: far saltare in aria una chiesa con i 15 kg di TATP (perossido di idrogeno),  un  esplosivo tanto pericoloso quanto relativamente facile da produrre, rinvenuto nel covo dei terroristi di Zaventem.

Ma il punto, come al solito, non è quello di cercare la quadratura del cerchio tra lo  “scontro di civiltà” e complottismo alla Giulietto Chiesa, che ritira fuori nientemeno che la setta del “teschio e delle ossa” in cui era coinvolto anche l’ex presidente degli  Stati Uniti George Bush Jr. (e che pare si trattasse di una sorta di associazione goliardico- universitaria) e insinua che in sostanza gli attentati di Bruxelles siano solo una sorta di “montaggio”  i cui mandanti vanno cercati in ben altra direzione da quella islamica, radicale o meno che sia.   Quello che invece emerge a chiarissime lettere è che in buona parte del globo, dall’Africa all’Asia per colpire il cuore dell’Europa stessa,  è in atto una durissima offensiva che colpisce soprattutto il Cristianesimo: se si dovessero iniziare a contare tutte le persone che sono state uccise solo perché “cristiane” da qualche anno a questa parte, il bilancio sarebbe impressionante, un vero e proprio bollettino di guerra: dalla Siria, al  Pakistan, al Kenya e alla Nigeria, solo per fare qualche esempio. E se sugli attentati di  Parigi e Bruxelles qualche perplessità può anche essere lecita e forse persino doverosa (anche se in direzioni meno “fantasiose” di quelle tracciate da Chiesa)  credo sia un po’ difficile parlare di “oscuri manovratori” dietro alla strage di Lahore, così come dietro a un massacro altrettanto ignobile, quello degli studenti (sempre in maggioranza cristiani) del campus di Garissa in Kenya, nell’aprile dello scorso anno. Tutti eventi non meno strazianti e terribili delle stragi di Parigi e Bruxelles, ma di cui la memoria e la coscienza collettiva sembrano far presto  a liberarsi? Solo per la distanza geografica, o proprio invece – viene da pensarlo – per il fatto  di essere esplicitamente diretti contro obiettivi cristiani?

Parigi e Bruxelles infatti ben difficilmente possono definirsi oggi città “cristiane”, se non in un senso sempre più vagamente storico.  Gli attacchi contro di loro hanno sicuramente un significato molto più complesso: ritorsione per la politica scellerata soprattutto di Stati Uniti e Francia in Medio Oriente, senza dimenticare, per l’appunto le pesanti responsabilità  soprattutto dei primi e la loro politica quantomeno ambigua nei confronti dell’Isis, che ancora non si capisce bene (o lo si comprende sin troppo) per quale ragione non sia stata spazzata via una volta per tutte.

Ma tutto ciò premesso: per quale ragione, come si chiedeva anche Vittorio Feltri “Il giorno dopo l'ecatombe di Bruxelles nessun quotidiano italiano ha usato nei titoli il termine Islam?”[1] Dichiarare infatti che tali attentati risalgono al fondamentalismo islamico, non significa  mettere in mezzo l’Islam nel suo complesso, se questa è davvero la preoccupazione; del resto, quando anni fa si parlava di terrorismo “rosso” questo non comportava certo dire che il PCI era una centrale terrorista, o chiunque avesse idee più o meno vagamente comuniste fosse pronto a impugnare il kalashnikov . Caso mai, questa assurda generalizzazione veniva fatta quanto il terrorismo era “nero”, o presunto tale, ma questo è un altro discorso.

Non si tratta nemmeno di distinguere tra un Islam “buono” e uno “cattivo”, tra uno radicale e uno moderato. Si dovrebbe se mai avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, senza generalizzare ma anche senza nascondersi; del resto, anche in occasione della strage di Bruxelles, non sono mancate le “anime belle” alla ricerca di giustificazioni:  come il  vignettista  Vauro che dichiara di “provare pietà” per i terroristi definiti “ragazzetti”; definizione che lascia di stucco in ogni caso e si commenta da sola, e che tra l’altro dimentica come il milieu di questi “ragazzetti” si trova spesso negli immigrati di seconda di seconda generazione, spesso senza particolari problemi economici e che non si vede bene di cosa siano “vittime”, se non di loro stessi e di un fanatismo religioso scellerato.

Lahore come Bruxelles e come Parigi, dunque: potranno essere almeno in parte diverse le ragioni e le matrici degli attentati, e se non altro, in Pakistan come ieri in Kenia, non possono valere le ragioni “giustificazioniste” che cercano nel colonialismo o nell’imperialismo europeo una circostanza attenuante alle stragi di oggi. Logica tra l’altro alquanto pericolosa, perché in questo modo si rischia alla fine di trovare una “pezza” giustificativa anche per i peggiori orrori. Bisogna avere il coraggio di definire il fondamentalismo islamico come una minaccia di livello mondiale; senza dimenticare – certo – chi lo ha coccolato, protetto e se ne è servito, anche perché la vera testa dell’idra è quella e se non la si taglia ne nascerà sempre qualcuna di peggiore; a condizione però che questo non diventi il pretesto per definire i terroristi dei “ragazzetti” o per predicare la proliferazione di nuove moschee e un’accoglienza senza limiti e senza controlli di sorta, controlli tra l’altro che, almeno in certe circostanze, andrebbero estesi anche agli immigrati di seconda o terza generazione. 

Per non parlare poi dell’atteggiamento della Chiesa: il papa infatti, oltre a lavare i piedi ai pellegrini musulmani (gesto che, tra l’altro rischia di essere clamorosamente frainteso e male interpretato, oltre ad essere del tutto discutibile in sé) dovrebbe avere il coraggio di bollare i fanatici chiamandoli con il loro nome: visto che è tanto prodigo di rimproveri anche pesanti per i cristiani, perché non ammettere che c’è chi uccide in nome di Allah? Addossare poi tutta  la responsabilità degli attentati ai mercanti d’armi come ha fatto di recente il papa sarebbe come, ricordava ancora Feltri, accusare i falegnami che costruirono la croce della morte di Gesù.  Ma da Francesco c’è da aspettarsi questo ed altro, tranne forse che dica prima o poi anche qualcosa di cattolico ….



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